giovedì 5 gennaio 2012

LA POLITICA E I SUOI TRAGUARDI

Rosa Elisa Giangoia

In relazione alle recenti vicende che hanno visto le dimissioni del governo Berlusconi e la formazione dell’esecutivo presieduto da Mario Monti, sarebbe stato necessario, in una corretta analisi politica, mettere maggiormente in evidenza come il governo Berlusconi sia stato nella realtà un fallimento, in quanto le promesse fatte in campagna elettorale, con il famoso “Patto con gli italiani”, dal milione di posti di lavoro a varie riforme, non sono stati assolutamente mantenuti, mentre si sono verificati altri fatti negativi in ambito economico che hanno portato l’Italia, come è stato detto, sull’orlo di un precipizio.
Nella concezione moderna, quella che facciamo risalire alle teorizzazioni di Machiavelli ne Il Principe, la linea politica si valuta in base ai traguardi che riesce a raggiungere partendo dagli obiettivi che si è posta: in questo sta la definizione stessa di politica, in quanto non può essere mera aspirazione, ma essendo l’arte di esercitare la prudenza, incentrandosi cioè sulla capacità di scelta adeguata ed appropriata dei mezzi rispetto ai risultati che ci si prefigge di ottenere, deve per definizione aver successo, altrimenti non è semplicemente cattiva politica, ma non è politica in quanto tale.
Anche il fatto che per la difficile situazione economica in cui siamo precipitati si invochino cause esterne, di portata internazionale, non torna certo a giustificazione di chi ci ha governato. Basta infatti rileggere il cap. XXIV sempre del Principe di Machiavelli, dove si ragiona di “virtù” e “fortuna”, per rendersi conto che, anche in questo caso, la “virtù”, in senso classico, tutta laica ed operativa, che noi potremmo rendere con “abilità”, avrebbe dovuto mettere in guardia contro la “fortuna”, anche qui classicamente vox media, nel senso di sorte, cioè di ciò che può imprevedibilmente succedere. Appunto, come insegna Machiavelli con l’efficace metafora del corso d’acqua a regime torrentizio, per il quale, quando è in secca, bisogna predisporre argini per fronteggiare le imprevedibili, ma sempre possibili piene, anche nella nostra recente situazione politica la prudenza e il discernimento stavano proprio nel predisporre per tempo quegli accorgimenti che potessero permettere di sostenere eventuali nuove difficoltà economiche (memori anche della crisi del 2008) con i minori rischi possibili.
Nulla di tutto questo è stato fatto. Perché? Più che per insipienza, ci sarebbe da dire per demagogia, per quella degenerazione populista della democrazia, che cerca di soddisfare i desideri del popolo, in questo caso sovrano con il suo diritto di voto, nell’immediato e nell’auspicato, escludendo processi complessi, prospettive più lunghe e decisioni che in qualche modo possano suscitare, anche solo in certi gruppi, malumori e dissenso..
Per queste ragioni il comportamento politico del passato governo non ammette giustificazioni, in quanto non si tratta di aver commesso qualche errore, di fronte al quale ci si possa scusare con il dire che qualche sbaglio lo fanno tutti, come si sente da parte di Matteo Salvini o Roberto Maroni, con un atteggiamento ammiccante all’elettorato. E’ questo un linguaggio sgangherato da bar Sport, ma che sottende una captatio benevolentiae ed un pressapochismo che generano molta confusione. Non si tratta di aver fatto qualche errore, si tratta di aver fallito nel considerare il nesso fondamentale su cui si regge la politica, fatto di progetti e di realizzazioni, ma anche di accortezza e di vigilanza continua, appunto nella dialettica tra “virtù” e “fortuna”.
Questo vuol dire considerare la politica dall’efficacia dei suoi risultati, pur senza cadere nel marxismo che fa della prassi il criterio di verità. Occorre però riconoscere che la prassi è uno dei criteri di verità, anche se non l'unico. Per questo, se uno fa sbagli in politica, vuol dire che la sua è una cattiva politica e che la sua visione è sbagliata perché non realizzabile in quel frangente storico. Che la prassi non sia il criterio per eccellenza con cui valutar la politica, ce lo insegnano molte posizioni e teorizzazioni al di là del marxismo, che, oltre tutto, vede un unico tipo di prassi, quello che attraverso la lotta del proletariato porta alla presa del potere da parte di questa classe. La storia ci ha insegnato quanto sia rischiosa questa strada e quanto facilmente possa degenerare in eccessi tirannici. Così come anche le teorie del Machiavelli che hanno come unico scopo il raggiungimento del potere da parte di un “principe” ed il conseguente mantenimento. L’agire politico deve avere altri intenti ed altri obiettivi, in particolare deve mirare al bene comune, che non è solo bene economico, ma qualcosa di molto più sfaccettato, per realizzare il quale è importante tornare a riflettere su Aristotele che insegna che «bisogna far sì, partendo dal bene di ciascuno, che i beni in senso integrale divengano beni di ciascuno».