Rosa Elisa Giangoia
L’intensificarsi a tempi sempre più ravvicinati di attentati terroristici da
parte di nuclei islamici a danno della nostro mondo occidentale deve farci
riflettere sul fatto che situazioni ed eventi molto simili a quelli che stiamo
vivendo sono già avvenuti nel passato, per la precisione in due momenti storici
lontani e diversi tra di loro.
Dapprima ci sono stati gli
scontri tra cristiani e mussulmani conclusisi con le battaglie di Poitiers (732)
e Akroinos (740), la cui realtà storica sfuma nella rielaborazione letteraria
cavalleresca, mentre più precisi e confrontabili con gli attuali sono gli eventi
verificatisi nell’arco di tempo che va dalla fine dell’Impero Romano d’Oriente
con la caduta di Costantinopoli (1453) alla battaglia di Lepanto (1571).
Infatti i Turchi, che i
missionari bizantini avevano inutilmente cercato di convertire al cristianesimo,
furono facilmente affascinati dall’islam per opera di imam e califfi arabi, in
quanto si trattava di un credo molto più congeniale al loro temperamento, anche
perché lo si praticava con la scimitarra. Ed essi accettarono con l’entusiasmo
dei neofiti gli ordini impartiti ai “veri credenti” da Maometto, impegnandosi a
fare «la guerra a coloro che non professano la credenza della verità», avendo
fede che «chi cade sulla strada della jihad avrà i favori e la
misericordia di Allah». Di qui si sviluppò la “guerra di corsa” praticata dai
corsari barbareschi contro la cristianità. Nelle loro scorrerie nel Mediterraneo
essi attaccavano e saccheggiavano le navi e i villaggi cristiani, dividevano il
bottino sulla base di determinate carature, riservando sempre il dovuto “quinto”
alla Sublime Porta, ossia al sultano che regnava a Costantinopoli e del quale
essi erano fedeli vassalli, essendo stati nobilitati con “patenti” che non solo
autorizzavano, ma incoraggiavano e sostenevano queste loro delittuose azioni.
Così, mentre gli eserciti islamici penetravano minacciosamente nel cuore
dell’Europa, giungendo fino alle porte di Vienna e sfilando per le strade di
Ratisbona (1529), i traffici marittimi erano quotidianamente messi a repentaglio
dagli assalti a sorpresa dei veloci vascelli con la bandiera verde con la
mezzaluna. Nello stesso tempo le coste, soprattutto quelle italiane, venivano
continuamente saccheggiate dai corsari islamici avidi non solo di tesori ma
anche di uomini, di giovani e belle donne, nonché di fanciulli per alimentare il
loro fiorentissimo mercato degli schiavi.
Se leggiamo le testimonianze sulle incursioni dei barbareschi nelle località costiere italiane, possiamo notare che esse non sono quasi mai avvenute a casaccio, ma suggerite e pianificate da una “mente” militare. Le loro azioni risultano spesso precedute da un’attenta raccolta di informazioni (confessioni estorte a prigionieri o delazioni di rinnegati) e quindi messe a punto come una moderna operazione di commando. Anche se gli aggressori risultano essere un’accozzaglia di gente di varia provenienza (berberi, turchi, moriscos, rinnegati europei di vari paesi) tutti operano con ordine e disciplina. L’obbiettivo scelto è quasi sempre una località priva di difese e facile a essere colta di sorpresa, grazie anche alla leggerezza delle imbarcazioni e all’agilità degli assalitori.. La tattica privilegia l’attacco nel cuore della notte con lo scatenarsi tra urla e schiamazzi per creare scompiglio. Il saccheggio viene effettuato con metodicità, mentre gli assaliti non hanno né tempo né modo per organizzare la difesa. La spietatezza dei corsari è feroce: chi si difende viene ucciso, così i vecchi, i malati e coloro che non appaiono “vendibili”. Le persone abili (uomini, donne e fanciulli) vengono invece incatenate e caricate sui vascelli. Nello stesso tempo non tralasciano mai di devastare le chiese, di bruciare le immagini sacre e di distruggere le odiate campane. Per i prigionieri c’era solo la possibilità di un riscatto da parte dei loro congiunti, che arrivavano a dissanguarsi vendendo tutto e indebitandosi, o per intervento delle confraternite che sempre più spesso si costituivano.
Se leggiamo le testimonianze sulle incursioni dei barbareschi nelle località costiere italiane, possiamo notare che esse non sono quasi mai avvenute a casaccio, ma suggerite e pianificate da una “mente” militare. Le loro azioni risultano spesso precedute da un’attenta raccolta di informazioni (confessioni estorte a prigionieri o delazioni di rinnegati) e quindi messe a punto come una moderna operazione di commando. Anche se gli aggressori risultano essere un’accozzaglia di gente di varia provenienza (berberi, turchi, moriscos, rinnegati europei di vari paesi) tutti operano con ordine e disciplina. L’obbiettivo scelto è quasi sempre una località priva di difese e facile a essere colta di sorpresa, grazie anche alla leggerezza delle imbarcazioni e all’agilità degli assalitori.. La tattica privilegia l’attacco nel cuore della notte con lo scatenarsi tra urla e schiamazzi per creare scompiglio. Il saccheggio viene effettuato con metodicità, mentre gli assaliti non hanno né tempo né modo per organizzare la difesa. La spietatezza dei corsari è feroce: chi si difende viene ucciso, così i vecchi, i malati e coloro che non appaiono “vendibili”. Le persone abili (uomini, donne e fanciulli) vengono invece incatenate e caricate sui vascelli. Nello stesso tempo non tralasciano mai di devastare le chiese, di bruciare le immagini sacre e di distruggere le odiate campane. Per i prigionieri c’era solo la possibilità di un riscatto da parte dei loro congiunti, che arrivavano a dissanguarsi vendendo tutto e indebitandosi, o per intervento delle confraternite che sempre più spesso si costituivano.
Gli schiavi fornivano
soprattutto la forza motrice per muovere le navi, le famose galee, dove le
condizioni di vita erano disumane, regolate dall’aguzzino a colpi di fischietto
e di staffile. Infine, quando non servivano più, venivano uccisi. Altri finivano
nei “bagni”, una sorta di lager in cui le condizioni di vita erano orribili come
si può evincere dalle lettere, conservate negli archivi di alcuni centri
costieri italiani, che i disperati prigionieri riuscivano in qualche modo a far
giungere per narrare il loro dramma.
Su questo scenario si
intrecciarono storie più o meno romanzesche, con protagonisti come il corsaro
Barbarossa, rinnegato calabrese, e il suo giovane luogotenente Dragut, e anche
il ritorno sulla scena del vecchio ammiraglio Andrea Doria insieme a Marcantonio Colonna, finché, dopo l’assedio di Malta e l’assedio di Famagosta,
si arrivò all’epilogo con la battaglia di Lepanto.
Questi pochi cenni storici
sembrano sufficienti per ricordare che il soffrire acute sofferenze a
causa dei seguaci dell’islam non è una novità, ma una ricorrenza storica che
riemerge quando si vengono a creare determinate situazioni di conflittualità tra
il mondo mussulmano e l’occidente.
Per due volte nel corso dei
secoli la situazione è stata superata: ci ritroviamo nuovamente in un’emergenza
che, seppure ingigantita dai mezzi tecnici oggi a disposizione, presenta analogie con
quanto già avvenuto e soprattutto è motivata e sostenuta sempre da
istanze analoghe, anche se, ora
come nel passato, possono mascherare più subdoli interessi economici. Ad essere
diversi oggi siamo noi, che abbiamo compiuto un più lungo cammino mentale e
culturale che ci ha portato ad allontanarci sempre più dall’idea della
contrapposizione con il nemico e a privilegiare il dialogo e le situazioni di
pace rispetto a quelle belliche.
Ma dobbiamo avere chiara
consapevolezza che la responsabilità del momento presente nei confronti della
storia è enorme. La generazione attualmente al potere in occidente ha in mano un
nodo di portata determinante che richiede lungimirante capacità d’azione. Non
limitiamoci alla solidarietà nei confronti della Francia, ovvia da parte di chi,
come tutti noi, può essere ugualmente oggetto d’attacco, ma esprimiamola con uno
sforzo di riflessione che porti ad azioni risolutive per tempi lunghi, i tempi
della storia. Evitiamo soprattutto la superficialità degli esibizionismi di
gusto carnevalesco come quelli che in troppo alta misura circolano in questi
giorni, dal farsi fotografare con la bandiera francese tatuata sulla guancia al
velare con i colori della bandiera francese la propria immagine in facebook.
Questi atteggiamenti sono
speculari a quelli di chi vive di sola gioia materiale, di chi va a sentire chi
canta Kiss the devil…, alle commemorazioni di chi si sente offeso per il
furto del ‘tempo libero della nostra gioventù…’.
Va ricordato che tra le vittime del terrorismo islamico ci
sono molti eroi musulmani anche in Occidente che non hanno esitato a
sacrificarsi per altri,cristiani e non, tuttavia concordiamo con quanto
sostenuto dal candidato democratico/avversario
della Clinton, Bernie Sanders, nelle presidenziali americane che sostiene la necessità che quanti nell’area mussulmana
si professano islamici moderati, specie nella regione in conflitto, lo dimostrino e si oppongano veramente all’Is, invece di
tacere, come sta avvenendo ora. Questo vale anche per le moschee in Occidente dove
continuano ad esserci iman ambigui… (il papa più volte in Turchia ha chiesto a
coloro che hanno posizioni eminenti nell’Islam di pronunciarsi contro la
violenza ma il suo appello è rimasto senza esito…). Con ciò non vanno
beatificati gli Sciti, anzi bisogna prendere atto della realtà dei fatti,
ricordando, ad esempio, che Rohani, lo scorso anno, ha pronunciato ben 2000
condanne a morte, come denunciato dall’associazione “Nessuno tocchi
Caino”... Gli
americani in tutto questo disastro hanno responsabilità indiscusse: l’Is faceva
gioco per contrastare l’Iran e gli Sciti…, i sauditi, alleati dei salafiti, sono
stati sempre protetti dagli Stati Uniti,
pur consapevoli che nel Golfo c’erano i finanziatori di Al Qaeda e dell’Is…