lunedì 25 maggio 2015

Da bigotti a luce del mondo per i diritti


Carlo Biancheri

Sic l’Irlanda per i mass-media di ispirazione massonica  o seguaci dell’ultima novità di successo, a proposito della modifica della costituzione irlandese per consentire i matrimoni tra le persone dello stesso sesso.
Come è stato possibile in un paese che  ancora non molto tempo fa considerava reato i rapporti
omosessuali? La spiegazione dei giornalisti - la cui diffusa ignoranza è un problema serissimo e sta diventando insopportabile anche  perché, molte volte, propalano sciocchezze, influenzando l’opinione pubblica: negli anni ’60, quando si studiava ancora, si faceva l’esempio della guerra sino-americana, provocata da notizie  stampa rivelatesi false… - è quella che l’Irlanda è ormai un paese evoluto con un’economia ruggente, una sorta di tigre europea con bassa tassazione e non più di contadini o allevatori, ecc…e qui casca l’asino.
In effetti l’Irlanda ha fatto concorrenza per anni ai centri off-shore nel settore dei servizi finanziari (quelli della lista nera, per intenderci), trasformando  Dublino in un paradiso fiscale e, se non deregolamentato, a causa della normativa europea, supervisionato da fanciulle, mediamente diciottenni, ignare di tutto… Con la crisi del 2008, il laissez faire ha provocato una catastrofe per il paese, privo di una seria vigilanza nel settore finanziario,  con la nazionalizzazione dell’intero sistema bancario per impedirne il fallimento. Il paese si è impoverito  con caduta del PIL e la chiusura di attività produttive;mentre la disoccupazione giovanile  elevatissima  ha costretto ad emigrare, quelli
stessi che sono tornati in patria per dire sì al matrimonio gay. Non propriamente un modello di prudenza e di equilibrio… quello irlandese.
Del resto il loro cattolicesimo, lontanissimo da quello di certi grandi santi italiani, sembrava caratterizzato da un diffuso conformismo ed era più che altro un dato identitario; le ragazze madri finivano, perseguitate dalle suore, in certe case dove erano costrette a far le lavandaie;  e un buon numero di scandali di pedofilia causati da un clero cinico venivano messi a tacere. Quindi, l’Irlanda, roccaforte della cattolicità, non direi…Va ricordato che gli scrittori irlandesi più interessanti, nel secolo scorso, sono tutti degli emigrati o discendenti da emigrati, in primis l’anticonformista Flannery O’Connor ma anche Joyce.
E vediamo quale luce del mondo possa venire da quello gaelico dove, per inciso, non si riesce a mangiare in modo decente e neppure un pasticcino (non ce n’è, veramente…) che non contenga un chilo di burro.
L’equiparazione del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale è una sciocchezza,a nostro debol parere, anche se è la moda in tutto il mondo occidentale: non c’è da stupirsi se il propagarsi di una società edonista porti come reazione, in altre culture, alle barbarie cui stiamo assistendo  nel mondo islamico. In Occidente ci sono molti apprendisti stregoni ed orecchianti che avviano processi che poi non controllano ma nessuno si indigna…
Perché non si possono equiparare le famiglie naturali e quelle omosessuali? Per i figli, innanzitutto. A voglia ad esibire quelli nati in utero in affitto o fecondati da donatori, forse si abitueranno, ma sarà dura per loro…, a viver con due padri o con due madri e, tuttavia, saranno stati privati di qualcosa: dell’interrelazione tra diversi, un maschio ed una femmina, che si amano  - quando davvero si amano… ed  hanno un progetto comune –  e che custodiscono, anche psichicamente, la vita; i bambini di una coppia omosessuale sono un po’ come zoppi e ostaggio di un progetto che non hanno scelto. E tutto ciò a motivo di che? Il diritto a soddisfare il  proprio piacere istintuale dove l’io individuale è sganciato dal contesto sociale: normalmente i figli nascono  con la generazione naturale… Gli omosessuali istintuali, perseguitati per secoli, sotto tutte le latitudini, fino all’infamia dei campi di concentramento e da noi al confino perché diversi e costituenti una potenziale minaccia e fonte di disordine nella società, restano, loro malgrado dipendenti della trasmissione della vita da parte degli eterosessuali. Sì, l’omosessualità esiste anche nel mondo animale ma è un’eccezione e si può, forse, stabilire una regola, una norma in base ad eccezioni?
Il segreto di una coppia eterosessuale, conscio o non conscio, è quello di esser potenziali creatori di un altro soggetto e divenire capaci di riscoprire la propria identità profonda nell’alterità che in questo caso è il bambino. Narcisismo, 'fissazione' ad uno stadio di evoluzione dalla sessualità al tempo di Freud e Thomas Mann ma anche di Jung…, si spiegava così il comportamento omosessuale… Non c’è ancora una spiegazione chiara, crediamo, ma anche se i rapporti sono duraturi - e non è la regola – l’esperienza del trascendersi non va oltre il rapporto di amicizia, in senso aristotelico, seppur intenso.
L’omofobia è certamente un crimine ma l’equiparazione al matrimonio di un’unione omosessuale non tiene conto del bene comune complessivo della società e del suo futuro; che lo facciano i Celti o i giacobini francesi o gli estremisti spagnoli o gli ugonotti non ci turba.


lunedì 11 maggio 2015

PASSATO E PRESENTE


 Rosa Elisa Giangoia

   Anche se non è del tutto vero che l’historia sia magistra vitae nel senso che, conoscendo gli errori del passato si eviterà di ripeterli nel presente e nel futuro, anche perché Cicerone con questa sua frase  (De Or., II, 9, 36) voleva soprattutto esortare gli uomini del suo tempo a guardare ed imitare i grandi esempi di virtù morale e civile del passato, è pur vero che certe situazioni della storia possono fornire utili indicazioni per meglio comprendere il presente ed aiutarci ad individuare linee d’indirizzo per il futuro.
   A questo proposito è interessante notare che in Francia attualmente è molto vivace il dibattito sul libro dello storico e giornalista Michel De JaeghereLes Derniers Jours. La fine de l’empire romaine (Les Belles Lettres, Paris 2014), un saggio di oltre seicento pagine che induce a riflettere sulle ragioni di uno degli eventi più importanti della storia universale, evidenziando certe analogie con la nostra attuale società.
   Innanzitutto De Jaeghere sottopone ad analisi critica quello che ormai è ovvio per gli storici accademici, cioè che l'Impero Romano non cadde per colpa del cristianesimo. La tesi secondo cui i cristiani, con il loro messaggio di amore e di pace, avrebbero reso l'Impero imbelle di fronte ai barbari – già presente in polemisti pagani dei primi secoli, come Celso - è stata elaborata e diffusa dall'Illuminismo, in particolare da Voltaire, e poi ripresa da Edward Gibbon. Ma, come evidenzia De Jaeghere, non è sostenibile. Agli inizi del V secolo, infatti, i cristiani nell'Impero Romano d'Occidente erano solo il 10%, mentre erano maggioranza nell'Impero d'Oriente, che invece resisterà alle invasioni e durerà ancora mille anni. Bisogna ricordare invece che è proprio quella minoranza cristiana, di alta levatura intellettuale, che cerca di mantenere in vita Roma, con figure come Ambrogio e Agostino, ma anche con generali, come Stilicone ed Ezio, che combattono contro gli invasori. Ci sono sì processi nei confronti di singoli soldati che rifiutano di prendere le armi, in quanto cristiani, ma sono una minoranza così esigua che non possono pesare sul piano militare.
   Rimossa questa motivazione, resta pur sempre la domanda su come l’Impero Romano sia potuto cadere. De Jaeghere considera con attenzione la motivazione della “decadenza” al cui riguardo oggi gli storici sono molto cauti. È vero che in quella che è l'attuale Italia, negli ultimi secoli dell'Impero, 200.000 capifamiglia avevano diritto a somministrazioni gratuite di cibo, che lavorassero o meno, situazione che ci riporta alle attuali sempre più incalzanti proposte di reddito di cittadinanza.  Inoltre i cittadini romani che lavoravano, militari esclusi, avevano 180 giorni di vacanza all'anno, allietati da spettacoli spesso crudeli, di cattivo gusto, tali da sollecitare gli istinti peggiori. Ma di questo tipo di decadenza gli scrittori latini avevano iniziato a lamentarsi fin dagli inizi dell’Impero, quando Roma era ancora militarmente molto forte. Ed anche questa dell’assecondare il cattivo gusto è una tendenza crescente ai nostri giorni, favorita e alimentata da internet e da un certo tipo di programmazione televisiva.
   La categoria di «decadenza», però, secondo De Jaeghere, è fondamentale per comprendere questo rilevante fenomeno storico, ma essa non è una causa di per sé, in quanto è essa stessa determinata da un insieme di fattori che creano un «processo», in cui le diverse cause si legano ed interagiscono tra di loro.
   Lo storico francese identifica come causa principale all'origine del processo la denatalità. Anche se il controllo delle nascite presso i Romani non aveva i mezzi tecnici di oggi, diffusissimi erano l'aborto e l'infanticidio, mentre andava sempre più aumentando il numero di maschi adulti che preferivano relazioni omosessuali. Il risultato di conseguenza divenne nel giro di poco tempo demograficamente disastroso: Roma passò, infatti, dal milione di abitanti dei primi due secoli dell'Impero ai 20.000 della fine del V secolo, con una caduta del 98% della popolazione. Le statistiche sulle campagne sono meno sicure, ma dal 30% al 50% degli insediamenti agricoli vennero abbandonati negli ultimi due secoli dell'Impero, non perché non fossero più redditizi, ma in quanto mancava la mano d’opera per coltivare la terra. Ma perché si verificò questo fenomeno che potremmo chiamare «suicidio demografico»? Lo storico francese sostiene che vennero lentamente meno i due pilastri della cultura romana, la pietas e la fides, la lealtà alle tradizioni morali e religiose trasmesse dai padri e la fedeltà alla parola data e agli impegni assunti come cittadino romano nei confronti della patria. 
   Già da tempo, però, la società romana aveva iniziato a trasformarsi: nel I secolo d.C. l'aristocrazia romana da élite guerriera e militare tendeva a diventare progressivamente un’élite terriera e latifondista, che riceveva a Roma i proventi dei propri possedimenti, sovente senza neppure mai visitarli. Questa nuova élite era più interessata ai piaceri della vita (e molti testi ce lo dimostrano, dal De re coquinaria di Apicio alle opere poetiche di Marziale, Lucilio e Persio) che alla difesa dell'Impero, considerato eterno e invincibile. In questo clima la natalità diminuisce, appunto, in modo vertiginoso: tutte le famiglie tradizionalmente aristocratiche dell'età di Augusto si estinguono prima del 300 d.C. tranne una, la gens Acilia, convertitasi al cristianesimo. L'esempio delle classi dirigenti, come sempre accade, trovò facilmente seguaci, per cui la moda del figlio unico, o di nessun figlio, arrivò in breve fino alla plebe. 
      L'obiezione degli storici, soprattutto di area anglosassone, è che tutto questo riguarda soprattutto Roma o comunque le grandi città, mentre ancora nell'ultimo secolo dell'Impero la stragrande maggioranza della popolazione vive nelle campagne. Ma anche qui, nota De Jaeghere, vengono meno la pietas e la fides, soprattutto in quanto l'Impero, troppo multiculturale e cosmopolita, è percepito come una lontana burocrazia che prende decisioni troppo spesso incomprensibili e si fa viva quasi esclusivamente per aumentare le tasse. Il piccolo proprietario di campagna nel migliore dei casi è disposto a battersi per difendere il suo villaggio, non i remoti confini di un Impero che percepisce come lontano e verso il quale non sente più nessun sentimento di «patriottismo», nel peggiore, accoglie i «barbari» come liberatori dal fisco romano che lo sta mandando in rovina.
   All’origine del declino della pietas vi è certo il declino della religione pagana che avrebbe potuto essere sostituita dal cristianesimo (come di fatto avverrà, ma più tardi) il quale, come dimostra Sant'Agostino, avrebbe saputo trovare in sé le ragioni per difendere l'Impero e la cosa pubblica, di cui non si disinteressava affatto. Ma, come si è già visto, nell'Impero Romano d'Occidente, anche quando lo professavano gli imperatori, il cristianesimo era minoritario. 
    Vediamo più in dettaglio le conseguenze della denatalità, molte, e tutte negative. Dal punto di vista economico, meno popolazione significa meno produttori e di conseguenza meno soggetti che pagano le tasse. L'Impero Romano cedette già allora alla tentazione di tanti Stati che anche in seguito nella storia si vennero a trovare in condizioni simili. Aumenta le tasse, fino a ridimensionare pesantemente l'economia con la conseguenza di incassare sempre meno tasse, dato che, se le imposte aumentano troppo, lo Stato finisce per incassare di meno, perché molti vanno in rovina per cui non pagano più nulla. La caduta dell'Impero è annunciata nel suo ultimo secolo dal precipitare del 90% degli introiti fiscali. Nelle campagne molti piccoli proprietari, che non possono più pagare le tasse, si danno alla criminalità e al banditismo.
   Interessante è anche considerare il sistema di produzione basato sulla schiavitù. Di fronte alla denatalità degli uomini liberi la soluzione si cerca nell'aumentare la natalità degli schiavi, vietando loro di praticare l'aborto e inducendoli a fare più figli con vari metodi di persuasione. Nell'ultimo secolo dell'Impero nel territorio dell'attuale Italia gli schiavi rappresentano il 35% della popolazione, ma non pagano tasse, lavorano con poco impegno e quindi in modo scarsamente produttivo e non hanno alcun interesse a difendere con le armi i loro padroni in caso di guerra. Inoltre bisogna considerare che l'economia schiavista degli ultimi secoli dell'Impero diventa anche statalista, in quanto sempre di più è lo Stato a gestire grandi imprese agricole dove lavorano esclusivamente schiavi. Questa situazione, sia pure con caratteristiche diverse, ricorda quella dei lavoratori e dei contadini sovietici, per lo scarso contributo alla crescita economica.
   Quando scarseggiano i cittadini, a causa della denatalità, e gli schiavi non risolvono i problemi, gli Stati e gli imperi ricorrono di solito, per ripopolare i loro territori, all’ immigrazione, anche in forma massiccia. A proposito della caduta dell’Impero Romano si parla per abitudine storica dei barbari invasori che avrebbero conquistato l’impero. Ma si dimentica, come fa notare De Jaeghere, che l’invasione più rilevante non è avvenuta per conquista, ma per immigrazione. Ad esempio, le misure prese per indurre popolazioni germaniche a immigrare, non solo legalmente ma addirittura con facilitazioni, per fare fronte al problema della denatalità, portano nel territorio imperiale dal 376 al 411, un milione di immigrati. Certamente i «barbari» emigrano nell'Impero, o lo invadono, perché nei loro territori la situazione è pesante per la pressione degli Unni provenienti dall'Asia Centrale. Così è per i Visigoti di Alarico che si stanziano nell’Impero in 250.000.
   Oltre alle facilitazioni, è da imputare alle classi dirigenti romane la decisione di reclutare gli immigrati per l'esercito, cosa che avrà conseguenze rilevanti e fatali. Di fronte all’obiezione che non sono cittadini romani, si concede loro rapidamente la cittadinanza, con la conseguenza di snaturare le legioni. All'inizio del V secolo l'esercito romano è più del doppio rispetto ai tempi di Augusto: da 240.000 uomini si è passati a oltre mezzo milione. Il problema è che più della metà sono immigrati di origine germanica. Di conseguenza sono «barbari» in maggioranza i legionari, anche se continuano ad essere romani i comandanti e soprattutto gli imperatori da cui le legioni prendono ordini, ma ad un certo punto i «barbari» si rendono conto appunto di essere la maggioranza dei soldati, così non accettano più la dirigenza militare dei Romani e, alla fine, uccidono i generali e li sostituiscono con uomini loro, per cui si uniscono agli invasori, in quanto etnicamente affini, anziché respingerli e pongono fine all’Impero, impadronendosene.
   Del resto, secondo De Jaeghere, da secoli Roma aveva un atteggiamento d’invito all'immigrazione nei confronti delle popolazioni germaniche. Le foreste del Nord sembravano ai Romani un mondo caotico, dove bande e capi si uccidevano tra loro, inoltre lo consideravano un territorio con poche ricchezze da portare a Roma. Di qui la decisione di disinteressarsi di una vasta area nord-europea, lasciando che lì si formassero lentamente le forze che poi avrebbero aggredito e distrutto l'Impero, anche perché la rete dei commerci informava questi «barbari» delle ricchezze e del benessere di Roma, scatenando i loro desideri.
    Pur con tutte le cautele che richiede ogni paragone fra epoche storiche molto diverse, la caduta di Roma mostra come anche grandi civiltà possano finire, e che una delle cause più rilevanti della loro scomparsa è quella demografica, in quanto la denatalità innesca una spirale di altre cause, dalle tasse non più sostenibili, allo statalismo dell'economia, all’immigrazione senza regole, all’indebolimento degli eserciti.
   Occorre, però evidenziare in particolare una differenza: gli immigrati e gli invasori di Roma erano molto diversi dagli immigrati di oggi per mentalità e cultura. Infatti, in gran parte germanici, non erano portatori di una cultura forte, per cui riconoscevano la superiorità di quella romana e di conseguenza cercarono di appropriarsene con ogni mezzo e in ogni aspetto, fino a convertirsi al cristianesimo. Oggi, invece, gli immigrati e soprattutto gli aspiranti invasori in armi, come il Califfato, sono portatori di un pensiero fortissimo: non pensano di dover assimilare la nostra cultura, ma vogliono convincerci della superiorità della loro, il che rende la situazione ancora più difficile e pericolosa. 
    Il saggio di De Jaeghere è una lettura molto interessante, appassionante per come è condotto il lavoro, con ricchezza di documentazione e vivacità espositiva. È senz’altro un testo capace di stimolare la discussione e aprire prospettive d’indagine anche da noi, per cui è auspicabile una buona traduzione nel nostro paese per renderlo disponibile al vasto pubblico.
 



venerdì 1 maggio 2015

ASSALTO A MILANO

  
Carlo Biancheri

  E così l’assalto dei facinorosi desiderosi di menare le mani, alcuni dei quali provenienti dall’estero, ha puntualmente avuto luogo, come annunciato.
   La strategia della polizia è all’evidenza inefficace se questi episodi si ripetono: il monopolio della forza è gestito in modo amatoriale, come la politica del resto, a scapito degli inermi. A meno che… da parte di chi mangia ‘pane e volpe’ ci sia una scelta precisa di laissez faire… Tanto peggio, tanto meglio.
Gli eventi di oggi dovrebbero interpellare in un paese serio i seguenti soggetti:
-          gli eletti che dovrebbero approvare una legge in una settimana che comporti il fermo immediato di chi partecipa ad una manifestazione con caschi ed i volti coperti;
-          il Consiglio superiore della Magistratura che dovrebbe  aprire subito un fascicolo per chiedere conto ai magistrati che hanno dato dieci giorni di tempo ai fermati stranieri che sono stati espulsi per lasciare il territorio nazionale. Lo prevede la legge? Benissimo, si cambia. Il Parlamento è forse pagato per sentire  teorie di dilettanti che parlano di argomenti imparati sul Bignami, che ripetono l’ultima battuta di successo e che non hanno alcuno spessore né capacità di proposta , che scambiano per costituzionalisti gente che  di fronte a un Mortati farebbe meglio a dedicarsi all’ippica?
-          gli organizzatori di queste manifestazioni che sistematicamente si trasformano in tumulti: i famosi No TAV, Rifondazione, ecc. che oltre a diffondere concetti stupidi tra i ragazzi ‘le banche sono l’emblema della ricchezza e quindi vanno combattute’- vogliamo tornare al baratto? – patrocinano un’economia pseudo-localistica che porterebbe alla fame non solo i paesi poveri, ma anche  molti di quelli sviluppati (la lotta allo strapotere delle multinazionali si fa con le norme, non bruciando i McDonald’s…). Questi signori – si fa per dire…-  intervistati rispondono come anime belle: noi non c’entriamo, i black block erano distanti, ma… fatalmente ci sono sempre… in casi del genere. Con questa cultura il degrado urbano, la violazione di legge  da parte dell’ultimo venuto , sia italiano o straniero, che vuole imporre su tutti la sua volontà è assicurato. I non violenti come Luther King che predicavano la disobbedienza civile si riferivano allo stendersi per strada non a buttare bombe Molotov…
-          gli insegnanti e la scuola in generale che si preoccupano di insegnare la teoria del gender, elaborata da quei grandi intellettuali degli americani e dai loro supporters nord-europei, ma non sono in grado di far capire i primi rudimenti di una cultura di almeno duemilacinquecento anni che postula il rispetto dell’altro e che l’ingiustizia non si combatte provocando un male maggiore, specie quando non si è in grado di proporre un’alternativa  e che esistono diritti e doveri perché questa è la garanzia di sopravvivenza del ‘patto sociale’. Anche i governi, spesso guidati da soggetti tronfi, possono esercitare la violenza quando emanano norme arbitrarie e l’arbitrio è violenza: la decisione della Corte costituzionale sul blocco dell’adeguamento al costo della vita delle pensioni dovrebbe far riflettere tutti i Soloni…, se sono in grado di farlo…
Era tutto previsto, purtroppo…