mercoledì 20 agosto 2014

GUERRA GIUSTA



  Rosa Elisa Giangoia


 Il Papa, durante il viaggio di ritorno dalla Corea del Sud, a proposito dei conflitti in Siria e Iraq, ha affermato che «è lecito fermare l’ingiusto aggressore»  e ha poi aggiunto «Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito.» A suo giudizio, questo compito di valutare e scegliere come intervenire spetta all’ONU e non può essere assunto da una sola nazione.
   Queste parole del Papa, secondo quanto sostiene Massimo Cacciari nell’intervista pubblicata oggi su «Repubblica», aprirebbero una nuova visione della guerra da parte del Pontefice, che avrebbe superato la teoria della “guerra giusta” con una visione, a suo dire, “laica”, diversa da quanto affermato tradizionalmente dalla Chiesa fino a Giovanni Paolo II. Ma, se si leggono i documenti della Chiesa al riguardo della “guerra giusta”, nulla di sostanzialmente nuovo e contrastante si può rilevare nelle parole di papa Francesco.
   Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2309 giustifica la «legittima difesa con la forza militare», purché sottoposta ad alcune condizioni: che l’uso della forza sia l’extrema ratio; che il danno da cui difendersi sia durevole, grave e certo; che ci sia speranza di successo; che la risposta difensiva non provochi più danni di quelli che si intende evitare. Poi al numero successivo (2310) precisa: «I pubblici poteri, in questo caso [quando vi siano le suddette previste condizioni], hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale».
    Occorre poi prendere in considerazione la Gaudium et Spes e la Populorum progressio.
    Il documento conciliare al n. 79 dice: «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.
Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace.»
     L’enciclica di papa Paolo VI al n. 31 legittima la guerra civile, purché ricorrano le condizioni indicate. Dice infatti: «E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.»
     Prima di trarre avventate conclusioni dalle parole del Papa anche Cacciari farebbe meglio a documentarsi sul Magistero della Chiesa...
 

NEL MONDO DI TWITTER


 Carlo Biancheri

Noi non siamo affatto tra i cantori della superiorità del sistema statunitense, del sogno americano. Ci siamo stati là e abbiamo potuto renderci conto che c'è chi vive bene in senso materiale e chi vive malissimo. Colpisce l'appartenenza ad un gruppo quale che sia, come condizione di sopravvivenza. Non c'è vera solidarietà, c'è invece molta retorica e soprattutto un equilibrio nel fare delle cose, la famosa performance, in altri termini nell'avere e non nell'essere... La mancanza di un futuro, che non sia secondo i canoni di Disneyland, suscita angoscia, nevrosi nella gente. Le case, salvo rare eccezioni per i super ricchi, sono tutte uguali, come quelle dei quadri di Hopper; si può sognare qualcosa che non sia di celluloide in quel paese? Tra le molte meraviglie che abbiamo importato da loro e che ci hanno svuotato, c'è anche twitter: si comunica con 140 caratteri. Che senso ha? Slogans... basta. Tipico esempio di questo tipo di cultura è la teorica del giovane degagé, parlamentare di 5 stelle che si è avventurato ad analizzare gli atti di terrorismo con mezzi culturali rudimentali, non dissimili da quelli del capo-comico, guida e fondatore del movimento. E sì, secondo il nostro parlamentare, non resta che farsi saltare in aria in una metropolitana se non si può, in altri modi, far valere le proprie ragioni. L'ineffabile Pannella ha tenuto subito bordone ricordando che lui voleva dialogare con le Brigate rosse... Peccato che Bonhoeffer non avesse alcuna intenzione di dialogare con i nazisti...; e quello "era un uomo"... Il disprezzo per la vita umana, forse sarebbe meglio dire la totale nescienza di questo valore, porta a privilegiare l'obiettivo, di per sé abietto perché basato sulla prevaricazione e sulla violenza - qualsiasi cosa uno sostenga è legittima?-, a scapito dei mezzi. Nella mente di chi formula certi interrogativi la morte degli innocenti e il suicidio sono poca cosa rispetto al risultato: colpire l'avversario. Riconoscere uno status culturale a questi dell'ISIS è di per sé aberrante: gente da twitter, appunto. I terroristi sono capaci di una messinscena disgustosa, come quando fanno lanciare ad un prigioniero accuse tremende contro i suoi, subito prima di ucciderlo. Se si dà un minimo di credito a questi soggetti che hanno smarrito la loro umanità, significa che ciò che conta nella vita è il successo, l'obiettivo da raggiungere, quale che sia, o l'immagine di sé come in Narciso e Boccadoro... E' per questo che si può trasgredire ed insultare gli altri in un dibattito politico perché non c'è più alcuna norma comune che ci consenta di riconoscerci. Se io devo provocare un male ingiusto ad un altro per raggiungere il mio obiettivo, che problema c'è? Fa' parte dei costi del mio operare...; creerò, forse, una società più giusta con la violenza, le uccisioni ecc. quando avrò raggiunto il mio obiettivo? Quel che ci preoccupa è che ci si debba confrontare con simili riflessioni: significa che siamo caduti molto in basso e che abbiamo affidato i nostri destini a persone la cui maturità umana è del tutto inadeguata.