venerdì 10 febbraio 2017

UN SANO MENEFREGHISMO


Carlo Biancheri


Ci ha fatto uno strano effetto sentire dal papa Francesco l’elogio del  “sano menefreghismo” degli italiani per sopportare il male della corruzione che imperverserebbe in Vaticano.
L’osservazione sull'atteggiamento italico è un “centone” tipico degli stranieri che non conoscono bene lo Stivale e pensano che sia omogeneo, interamente classificabile con la pizza ed il mandolino ed il “tira a campà…”. Nelle terre gianseniste (i cattolici calvinisti per intenderci…) del Nord Italia, come Liguria e Piemonte, prima dello spostamento di intere popolazioni dal Sud, usare un’espressione come menefreghismo era una stranezza, giacché la vita era considerata un compito duro che comporta di rimboccarsi le maniche ad ogni istante… Non è neppure un’espressione molto in uso nelle Venezie (non parliamo del Friuli…) e neppure in Lombardia, men che meno nella Bergamasca, e financo in Emilia.
Lo sapevano bene i massoni/carbonari che hanno unificato l’Italia quando facevano dire al loro re caricatura: abbiamo fatto l’Italia, adesso bisogna fare gli italiani. E già gli italiani che non sono i romani – e anche qui …tempo fa si diceva che Roma è la seconda città siciliana dopo Palermo- e questo gli stranieri non lo capiscono proprio: senza alcuna valutazione di merito, sarebbe come sostenere che un parigino ed un marsigliese sono la stessa cosa.
Mussolini usava il “me ne frego”, ma stava a significare la sua mascolinità,  la sua virilità,” così ben descritta da Gadda che ne ha analizzato il linguaggio priapeo.
Non è una gran trovata considerare il “sano menefreghismo” come segno di saggezza, di distacco, tanto più che se il papa è al corrente che c’è corruzione in Vaticano, essendo un sovrano assoluto, perché non vi pone mano? Deve licenziare tutti? Perché no? Vada a vivere a  Guidonia ed i credenti capiranno, del resto Celestino V…
Temiamo che questo linguaggio lasco ed approssimativo tradisca in realtà un certo provincialismo sudamericano che  porta a considerare, per esempio, tra gli intellettuali cattolici la teologia tedesca come “superiore”; negli anni in cui furoreggiava la teologia della liberazione ricordo intellettuali famosissimi parlare con molto rispetto di quel che si elaborava in centro Europa, quasi che nel Nuovo mondo non si disponesse dell’acribia necessaria ad affrontare certi temi ... Noi leggiamo i testi e gli autori e decidiamo con la nostra testa, senza alcun timore reverenziale e senza troppo nasconderci dietro l’argomento di “autorità” medievale. La teologia della scuola di Tubinga ha messo Hegel al posto di Aristotele, ma, finalmente, col relativismo ed il soggettivismo imperante che porta al nulla, abbiamo capito che l’idealismo tedesco ha fatto il suo tempo. I cattolici di professione no. E già, perché, se non lo sapevate, ci sono certi laici, magari sociologi o laureati in legge che insegnano liturgia negli Atenei pontifici che si avventurano in campi teologici ad un livello tra il divulgativo ed il giornalistico, propalando le ultime idee correnti come verità. Se noi leggiamo i Padri o testi come la Regola di San Benedetto, non troviamo mai qualcuno che scriva per difendere le proprie opinioni: si affrontano i problemi con umiltà, con argomenti non per prevalere sulle idee altrui, come fanno certi storici della religione/giornalisti che affrontano problemi teologici quasi si trattasse di propaganda. Un esempio: l’adulterio è intrinsece malum? Non diciamo sciocchezze e la soggettività dove va a finire? Ma… lo dice Aristotele che cristiano non era… nell’Etica a Nicomaco, suo figlio, tanti secoli prima di Cristo… Su quali argomenti? Perché fermarsi alla prima osteria e all’impeto passionale e non approfondire? Si capisce che i gesuiti siano una Compagnia guerresca, ma allora si comprende anche perché il secondo Apostolo di Roma, San Filippo Neri, non ci sia mai voluto entrare.