martedì 4 febbraio 2014

SCHIAFFI e PUGNI Rosa Elisa Giangoia

Purtroppo la politica ha imboccato una strada nuova, e brutta. L’opposizione, incapace di confronto dialettico e a corto di risorse argomentative, ha scelto l’insulto, favorita dalle possibilità di visibilità offerte dalla rete, in particolare di twitter, che rischia di diventare la vera piazza di scontro (più che di confronto) in quanto lì si creano situazione che rimbalzano poi dovunque dal parlamento alle TV. L’insulto politico è uno schiaffo, un pugno metaforico, uno schiaffo a parole con cui si colpisce nel silenzio e nella lontananza della rete, nella solitudine della propria postazione individuale, sapendo di poter arrivare lontano, ovunque: a dettarlo è soprattutto il proprio desiderio di onnipotenza. Lo schiaffo ed il pugno ci riportano alla loro esaltazione nel Manifesto del Futurismo , travasatasi poi operativamente nel Fascismo... Naturalmente si sa che questo schiaffo mediatico è male, ma si sa anche che quando è stato dato poi non lo toglie più nessuno. E’ quell’antica distorta saggezza popolare, stigmatizzata anche dal Manzoni che fa dire ad Agnese per suffragare la sua proposta di matrimonio per sorpresa:« Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene; ma, dato che gliel abbiate, nè anche il papa non glielo può levare.» (cap.VI) Che l’offesa, l’insulto una volta lanciati in qualche modo restino, lo sanno bene questi nostri squallidi politici, che subito dopo iniziano, in un ridicolo “gioco delle parti”, la sceneggiata delle scuse. E’ chiaro che nell’ottica dell’algoritmo applicato al rapporto tra significante e significato da De Saussure, in questo caso la parola “scusa” è un significante quanto mai privo di significato, ovviamente in primo luogo per il fatto che manca da parte dell’emittente la volontà di caricarlo di significato. Questo è solo uno dei comportamenti che indicano, soprattutto in una parte politica, la vacuità del linguaggio, un linguaggio che diventa per dirla con Nietzsche, “al di là del bene e del male”. Il depauperamento linguistico è massimo, in particolare se noi pensiamo al valore salvifico che ha avuto, soprattutto nella tradizione cristiana, la parola. Ma perché si è perso il valore della parola? Perché non c’è più un valore fondante, assoluto con cui confrontarsi, per cui la parola dell’uno vale quanto quella dell’altro, si possono dire cose tremende e poi si crede che sia sufficiente aggiungere un banale “oh!scusa!”, come se si trattasse di una semplice spinta sull’autobus e tutto finisce lì. Tutto questo deriva anche dal fatto che non si misurano più le conseguenze, non si valuta l’impatto delle proprie azioni sugli altri, tanto meno in una prospettiva escatologica, quella ben raffigurata da Dante nell’Inferno e da Bosch nei suoi dipinti. E' stata infranta la catena consequenziale della necessità di esercitare prima la facoltà mentale della comprensione di un evento discernendolo nei suoi caratteri essenziali, grazie al nòus, l'intelletto, di cui parla Aristotele nell'Etica Nicomachea che diventa per l'uomo il fondamento della propria responsabilità, per cui se si sbaglia occorre rivedere il proprio comportamento in modo completo e radicale, per mettere in atto quella metànoia che permette un superamento del proprio errore attraverso il cambiamento completo, ben lontano dal semplicistico e banale scusarsi! Ben ha rappresentato quest'itinerario Dante nel suo poema con l'espediente della pena per contrappasso che riequilibra il comportamento individuale scorretto. Ma la catena della consequenzialità logica viene sempre più travolta dalla superficialità e dalla mancanza di responsabilità, perché il parametro ormai, per molti, è solo il benessere individuale, la performance personale, l’esibizione che soddisfi il proprio narcisismo. Narcisismo che si coniuga con menzogna gridata, spiattellata per difendere sé stessi. Così sentiamo ripetere ossessivamente da faccine pulite in televisione che alle banche sono stati regalati 7,5 miliardi di Euro e non è vero (ne abbiamo trattato altrove in questo blog,) ma non importa: quel che conta è colpire. Gutta cavat lapidem. Perché la menzogna la fa da padrona? Perché non c’è rispetto per le cose, per la realtà: siamo di fronte ad un esse est percipi per la plebe, casereccio. Essere in ultima analisi è vincere/convincere.