venerdì 1 settembre 2017

UN PAPA ATTIVISTA?


Carlo Biancheri e Rosa Elisa Giangoia

Anche chi come noi, dopo il giovanile entusiasmo per il Concilio Vaticano II e la lunga attesa di una sua piena attuazione, ancora non avvenuta, ha salutato con speranza e soddisfazione l’elezione di questo papa che prometteva l’attenzione agli ultimi e la riforma della Chiesa, assolutamente necessaria, a distanza di quattro anni deve constatare che ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto diversa rispetto alle attese, con molti aspetti che suscitano perplessità.
Abbiamo dovuto rilevare alcune nomine improvvide del papa stesso che hanno gettato cattiva luce sulla Chiesa, come quella di mons. Lucio Ángel Vallejo Balda e di Francesca Chaouqui al COSEA, finiti poi nelle mani della giustizia, di mons. Battista Ricca, per nulla esperto di economia, da direttore di Casa Santa Marta e della Casa del Clero a prelato dello IOR, carica da cui ha dovuto ben presto dimettersi essendo state divulgate notizie su suoi comportamenti omosessuali alla nunziatura di Montevideo, del cardinale Pell, nominato prefetto della Segreteria per l’Economia e costretto a sospendersi per correre in Australia a difendersi dalle accuse di pedofilia, del Presidente dell’Accademia della vita che invita sostenitori dell’aborto per il contenimento delle nascite a simposi scientifici. Si deve poi aggiungere la nomina di Arturo Sosa a generale dei gesuiti che avrà senz’altro avuto il placet del pontefice e di confratelli, amici suoi, come il nuovo responsabile  della Congregazione della dottrina della Fede.
A queste si aggiungono riforme non portate avanti, divisione e confusione nella Chiesa, gestione autocratica e per nulla collegiale, nomine di cardinali provenienti da regioni dove i cattolici sono un’infima minoranza, assegnazioni di vescovi nelle maggiori città italiane esperti più che altro di emarginazione ma senza l’esperienza,la cultura e la gravitas per mantenere unite grandi realtà: a Roma si aspetta ancora che il neo-vicario Angelo De Donatis batta un colpo, giacché la città lo ignora…
A lasciare perplessi è anche l’insistenza della predicazione di papa Francesco, improntata prevalentemente al conseguimento di  una giustizia sociale, più proclamata che spiegata, in cui riecheggiano temi di matrice marxista o ambientalista. Fà proprio il grido dei poveri, il diritto al cibo, quello alla conoscenza e ad essere informati dei procedimenti decisionali pubblici. A cui si aggiunge l’esaltazione del Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità.
Da questi e da altri elementi sembra delinearsi chiaramente il fatto che questo pontefice stia indirizzando l’operato della Chiesa Cattolica in un’attività volta ad un cambiamento della società dove la dimensione religiosa funge da sostegno. A conferma si possono citare i viaggi in Myanmar  (dove i buddisti non si convertono affatto…), in India (dove la minoranza cristiana è irrilevante e confinata nel Kerala), in Salvador con il preciso scopo della  canonizzazione di Romero, in Colombia dove avrebbe un ruolo importante come  mediatore politico.
Per i peccati come la corruzione e la mafia sembra non  esserci misericordia, bensì scomunica; anche Marx considerava il peccato individuale dei cristiani puro ‘moralismo’, in quanto prodotto dell’organizzazione sociale capitalistica che provoca l’alienazione, mentre per lui la vera colpa era l’opporsi alla liberazione del proletariato.
A differenza di quanto teorizzavano i marxisti e come hanno dimostrato i paesi in cui si è cercato di realizzare questa pseudo-ideologia ottocentesca, la Chiesa dovrebbe avere consapevolezza che non ci saranno soluzioni definitive, liberazioni messianiche, in questo tempo storico. Il Vangelo infatti dice: “i poveri li avete sempre con voi” (Mc  14,7; Gv 12,8). Questo ci dovrebbe far capire la nostra umana inadeguatezza a risolvere tutti i problemi del mondo, semmai bisogna trovare proposte che contengano e limitino il male, come insegna la dottrina sociale della Chiesa, e anche fornire conforto nelle sofferenze non solo materiali.
Si rileva una scarsa criticità nei confronti delle dittature di sinistra, specie in Sud America, mentre l’enfasi sui  cristiani perseguitati e martiri in molte regioni del mondo – insieme a tutti gli altri…- dovrebbe esser  maggiore.
È difficile capire il suo pensiero anche sui motivi per cui abbia assunto il nome di Francesco senza esser mai stato ad Assisi prima e non conoscendo le Fonti francescane che non cita mai: si ha l’impressione che Francesco sia stato inteso come un santo ‘schierato’, mentre in realtà non era affatto un pauperista. Il matrimonio con Madonna povertà faceva parte del cammino di “cristificazione”, cioè del cammino per divenire un altro Cristo, ‘il Signore poverello’, reso manifesto con  il dono delle stimmate a La Verna. Dante lo aveva capito molto chiaramente descrivendo i discepoli ‘scalzatisi’ che correvano dietro al santo… in fretta verso la Salvezza…(Par. XI 73-87).
Papa Francesco reputa che tutte le ideologie abbiano fatto il proprio tempo ma la Chiesa non può esser neutra di fronte a chi sostenga, ad esempio, che la persona umana possa esser conculcata in vista del benessere economico generale… o che la vita umana non vada protetta… Vuole anche lui sostituire la sociologia alla filosofia nel pensiero teologico, come il suo confratello Sosa? Lo sa che si tratta di scienza umana descrittiva, comportamentale che non spiega la ‘qualità’ e che non dà giudizi di valore? Nella sua predicazione emerge poco l’altra vita, la dimensione della Trascendenza e del mistero, scompare in una gioiosa macchina da guerra che dovrebbe favorire con ogni mezzo il progresso  e la giustizia sociale, in attesa dei quali non ci si deve lamentare, come recita il cartello sulla sua porta a Santa Marta.
Anche l’enciclica Laudato si’ suscita interrogativi. Infatti, se i richiami del Papa alla sobrietà (194-195) non vanno interpretati come una presa di posizione radicale contro la crescita ed il produttivismo, ma vadano visti piuttosto determinati da un’ottica di analisi terzomondista, sembra emergere una visione quasi ‘feticista’ del creato, in quanto l’enfasi sul passo del   Genesi  che lo affida interamente alla responsabilità dell’uomo - per cui è l’uomo stesso che deve individuare i criteri corretti per trasformarlo – è contenuta.
Nello stesso tempo sembra affermarsi  un generico irenismo nei confronti  delle altre confessioni cristiane, cioè un falso ecumenismo. In particolare tutta la “santificazione” di Lutero è un equivoco, in quanto la quasi totalità dei sacramenti viene meno nella Riforma, a favore di una assolutizzazione dell’interpretazione personale della Bibbia. Anche l’affermazione che ci si salva per sola fede contraddice  l’altra, secondo cui la fede senza le opere è morta. Quanto poi al pecca fortiter sed crede fortius è semplicemente un’idiozia, perché “chi bolle nel peccato” –espressione dei Padri - non riesce neppure a dire “Cristo Signore” –sempre secondo i Padri…- :occorre una metanoia, come esemplifica la parabola del figliol prodigo. E il Vangelo dice: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34 e Mt 6,21), ad indicare che ciò che il cuore desidera è ciò che si cerca…
L’elezione di questo papa è forse la conseguenza di un modo di sentire del tempo che tenta di umanizzare il mistero per renderlo credibile: basti pensare al fatto che il generale dei gesuiti dichiara che il diavolo è un mito, che non c’era il registratore per le parole di Cristo e che quanto a giudicare cosa sia male…beh! è difficile dire – anche la violenza ad un inerme?-.
Nella Compagnia di Gesù troppe volte nella sua storia si è insinuata la tentazione di conquistare il mondo con i mezzi del mondo con tecniche astute, come chiaramente indica quell’ abstrahere non est mendacium, tanto che nella Leggenda del Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov, Dostoievskj, ora tanto citato dai nuovi  gesuiti, scrive che il cardinale che chiede a Cristo: «Perché sei tornato?» è gesuita, e non a caso.
I primi oratoriani, su impulso di san Filippo Neri, il santo della gioia lo definiva il massone Goethe, nelle Costituzioni imponevano che nelle quotidiane conferenze dell’Oratorio non si parlasse «magistralmente et al modo parisino (S. Ignazio voleva che lo stile dell’insegnamento e della predicazione fosse improntato a quello delle Università parigine, per questo i gesuiti venivano chiamati i ‘maestri parisini’), vodo di ogni grassezza».
Factis amplius quam verbis ostendat , secondo san Benedetto, è ciò che  deve caratterizzare l’abate (Regola, caput II); tutto si inquadra, come insegna Rudolf Otto, nel fatto che «il sacro è l’orizzonte in cui allo spirito umano si costituisce l’esperienza del male radicale, non i mala mundi ma il malum mundi», la premessa per quel salto nella fede di cui parla Kierkegaard.

Il papa di recente ha detto che bisogna tornare a pregare… quasi opponendo  all’agire quotidiano, ma per un cristiano senza la preghiera la fede cos’è?