domenica 24 settembre 2017

UN PAESE A MAGGIORANZA DI BEOTI?


Carlo Biancheri


Chiediamo venia ai nostri venticinque lettori - per dirla con l’amato Manzoni – per l’intemerata che ci accingiamo a scrivere che non è certo rivolta a loro: i destinatari non ci leggono, intenti come sono a cercar paglia e fieno come i quadrupedi che ragliano e di cui molti sono affini, a giudicare dai comportamenti.
La Beozia è stata terra illustre al tempo della grandezza di Tebe ma poi i beoti, vivendo in campagna e dedicandosi ai lavori agricoli, erano considerati dagli Ateniesi, ricchi e colti, ottusi e stolti, anche a causa della loro avidità alimentare; da qui ogni cosa insulsa o sciocca  veniva detta beota. Tra i classici Luciano, in Giove tragedo (32) scrive: “ciò che hai detto è proprio rozzo e davvero beota”; Orazio, Epistole (2,1,24): ”l’avresti detto uno nato nell’aria pesante della Beozia”; Plutarco, Sul mangiar carne(995 c): ”i Beoti sono reputati dagli Attici bruti, stupidi e grassi, e questo per la grande voracità, perché a loro interessa più esercitare il corpo che curare l’anima”.
Se i sondaggi fossero veri, i seguaci del pregiudicato, comico in disarmo, sarebbero una massa di beoti o di intemperanti, come direbbe Aristotele, cioè imprudenti che ci trascinerebbero tutti in una situazione molto peggiore dell’attuale.
Il comico crede di esser spiritoso  a raccontarci che il Di Maio “incoronato” andrà ad incontrare l’Imperatore del Giappone o grandi capi di Stato: vede il mondo come una comica e quindi anche un aspirante ingegnere, poi divenuto in fretta aspirante avvocato e poi nulla…  che vada ad intrattenersi, di certo con un inglese perfetto comparato al suo italiano (!), con gente che di mestiere gestisce la cosa pubblica e gli equilibri internazionali: per dire cosa? Siamo nati dal nulla e siamo arrivati ad essere il primo partito… Siamo sempre in guardia e non viviamo serenamente fino a che non si applicano le soluzioni semplici che ci sono… e infatti a Roma abbiamo cambiato verso (!!) – nessuno ha mai spiegato al trentenne che non basta l’enunciato? Occorre anche la dimostrazione dell’assunto!- la Carta costituzionale va applicata non modificata (sì, incluso quel pasticcio di leggi concorrenti con le autonomie locali che richiedono una giurisprudenza costante della Corte costituzionale…; chi non ha studiato ignora che la Carta è frutto di compromessi, talora mal fatti, specie, nella seconda parte e anche il fondamento della Repubblica  sul lavoro, che vuol dire? Il diritto al lavoro? Come si fà? Forse viviamo con Alice nel paese delle meraviglie o in uno Stato ad economia centralizzata  da cui tutti cercano di uscire, tranne che a Cuba e in Corea del Nord e dove altro?). E poi come i Catari, i perfetti, che giudicano tutti gli altri: nelle istituzioni prima si dà l’esempio e poi si fanno le leggi, prima si agisce con disciplina e onore… Veramente questo si applica ai pubblici funzionari e non ai parlamentari, tanto per chiarezza di idee… ma lui come lo applica? Ricordiamo le smemoratezze e la trasparenza, pari a zero, in certi fatterelli. Lo scriviamo in latino sperando che comprenda: Medice, cura te ipsum
Eppure i sostenitori che noi associamo ai beoti mostrano una fede incrollabile in questa parodia di democrazia diretta anzi etero-diretta, giacché le decisioni sono assunte da uno e come lui non c’è nessuno, come dice la canzone… Del resto anche intellettualoni li hanno sostenuti a spada tratta: li ho votati perché erano anti-sistema! Caspita! Non è per caso una teoria ottocentesca del massone Hegel che la Storia proceda per fasi, descritte a tavolino…? Malgrado tutte le smentite storiche, ancora credono che si possa separare la pars destruens dalla pars construens? Non si sono accorti che i mezzi adoperati per instaurare il cambiamento pre-giudicano il fine?
Ma la plebe dei beoti ha anche le sue ragioni perché non si può dire che il sistema in cui viviamo sia equo, trasparente e giusto.
I partiti tendono ad essere auto-referenziali, molti dirigenti della Pubblica Amministrazione, le grandi aziende ed i capitani di industria sono nella gran parte membri di uno stesso Club o collegati: è così in tutto il mondo ma da noi c’è la più stupida ed ottusa di queste associazioni, incapace com’è di riconoscere nella maggior parte dei casi, il valore di chi non ne fà parte: cosa nostra… Come sempre nei gruppi ristretti, vanno avanti cretini e soldatini, cioè yes men, che fanno danni perché privi di iniziativa e di capacità: molto del blocco nel nostro paese è dovuto anche a questo fatto, unitamente al familismo.
I liberatori da questa situazione avversa non saranno certo i seguaci del comico in disarmo.
Sulla sindaca di Roma basti dire che il trasporto pubblico è a rischio di paralisi, il degrado della città ed il peggioramento costante è dichiarato da tutti e, se c’è un problema a lei imputabile, come la pubblica illuminazione e la guardiania per evitare, ad esempio, aggressioni, questa, al solito, svia ed invoca leggi speciali. Per lei la guida di Roma è un giocone: sinceramente credo di esser più preparato di lei ma non avrei mai avuto il coraggio di voler gestire una città di oltre tre milioni di abitanti, ridotta in queste condizioni…: non ne sarei stato in grado.
Quella di Torino, secondo una Cassandra giornalista, di scarsa cultura, che impazza in RAI, ha un avvenire politico. Come no? Dice niente un morto e oltre millecinquecento feriti per l’inerzia e l’incapacità del Comune, di cui è responsabile, in occasione di un pubblico evento? Se avesse responsabilità maggiori cosa dovremmo attenderci?
E poi Livorno dove il sindaco non è in nessun modo responsabile di quanto avvenuto: anzi è bene che il vescovo la pianti di criticare, pensi piuttosto alla cura delle anime; lo dice lui che se ne intende!
Quello di Bagheria… col cognato… e giù per li rami.
Ma per fortuna che c’è il Salvini: se pensano di fermarci sequestrando il frutto del nostro lavoro (i contributi pubblici ai partiti!) non ci riusciranno. Andassero – prego: vadano…- a sequestrare i soldi dei mafiosi. In questo prato (Pontida) c’è solo gente per bene... Allora diciamo al giovane, formatosi sui quiz televisivi, che il sequestro era perfettamente legittimo e che anzi la Lega aveva dirottato i soldi pubblici nei conti delle Leghe regionali… (per quale ragione?). Lo sa che esiste un’unica entità, il partito? Se chi aveva investito in diamanti i soldi pubblici o in investimenti in Tanzania era il tesoriere, unitamente al segretario pro-tempore cioè il Bossi, chi è venuto dopo non può dire come fà il Salvini: io che c’entro? Non sappiamo se i partiti abbiano personalità giuridica ma della stessa entità si tratta allorché c’è un danno ad essa imputabile, come nella fattispecie…
Questa gente ragiona in modo strano, come l’azzimato Zaia che  aveva deciso la proroga in Veneto, repubblica autonoma col proprio gonfalone (!), dell’obbligo di vaccinazione e che vuole maggiore autonomia, fermo restando che la difesa, le strade, la polizia, la magistratura, i porti, le infrastrutture, quelle le paga l’Italia…: botte piena e moglie ubriaca.
Perché non dà indietro i soldi di quello sconcio della pedemontana deserta voluta dalla Lega? Su quello si tace? E poi il referendum su l’Euro, che propongono anche i seguaci del comico? Non paghi di quel bel successo della Brexit  - dove gli inglesi dopo la svalutazione del 13% della sterlina e,  in predicato dell’abbassamento del rating del paese, perché, a detta del loro ministro dell’Economia, le prospettive non sono rosee, specie se non si resta all’interno del mercato interno europeo, in una soluzione del tipo Svizzera (complicatissima e parziale…), non vorrebbero più uscire ma non lo dicono e allora si inventano la lunga transizione… -  i suddetti vogliono ora che anche noi ci avventuriamo in territori dove la svalutazione sarebbe del 30% della moneta:  i soldi per ripagare il debito in scadenza li vanno a cercare loro…? Ah ma il governo ci andranno tecnici di prima grandezza: per ora abbiamo visto solo le terze file…
La conclusione è che i beoti italici sono assolutamente in linea con quel che ci racconta il Sacchetti nella novella CCXVI  tanti secoli fa: ”il maestro Alberto della Magna, giungendo ad un oste sul Po, gli fa un pesce di legno, con lo quale pigliare quanti pesci volea”…


venerdì 1 settembre 2017

UN PAPA ATTIVISTA?


Carlo Biancheri e Rosa Elisa Giangoia

Anche chi come noi, dopo il giovanile entusiasmo per il Concilio Vaticano II e la lunga attesa di una sua piena attuazione, ancora non avvenuta, ha salutato con speranza e soddisfazione l’elezione di questo papa che prometteva l’attenzione agli ultimi e la riforma della Chiesa, assolutamente necessaria, a distanza di quattro anni deve constatare che ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto diversa rispetto alle attese, con molti aspetti che suscitano perplessità.
Abbiamo dovuto rilevare alcune nomine improvvide del papa stesso che hanno gettato cattiva luce sulla Chiesa, come quella di mons. Lucio Ángel Vallejo Balda e di Francesca Chaouqui al COSEA, finiti poi nelle mani della giustizia, di mons. Battista Ricca, per nulla esperto di economia, da direttore di Casa Santa Marta e della Casa del Clero a prelato dello IOR, carica da cui ha dovuto ben presto dimettersi essendo state divulgate notizie su suoi comportamenti omosessuali alla nunziatura di Montevideo, del cardinale Pell, nominato prefetto della Segreteria per l’Economia e costretto a sospendersi per correre in Australia a difendersi dalle accuse di pedofilia, del Presidente dell’Accademia della vita che invita sostenitori dell’aborto per il contenimento delle nascite a simposi scientifici. Si deve poi aggiungere la nomina di Arturo Sosa a generale dei gesuiti che avrà senz’altro avuto il placet del pontefice e di confratelli, amici suoi, come il nuovo responsabile  della Congregazione della dottrina della Fede.
A queste si aggiungono riforme non portate avanti, divisione e confusione nella Chiesa, gestione autocratica e per nulla collegiale, nomine di cardinali provenienti da regioni dove i cattolici sono un’infima minoranza, assegnazioni di vescovi nelle maggiori città italiane esperti più che altro di emarginazione ma senza l’esperienza,la cultura e la gravitas per mantenere unite grandi realtà: a Roma si aspetta ancora che il neo-vicario Angelo De Donatis batta un colpo, giacché la città lo ignora…
A lasciare perplessi è anche l’insistenza della predicazione di papa Francesco, improntata prevalentemente al conseguimento di  una giustizia sociale, più proclamata che spiegata, in cui riecheggiano temi di matrice marxista o ambientalista. Fà proprio il grido dei poveri, il diritto al cibo, quello alla conoscenza e ad essere informati dei procedimenti decisionali pubblici. A cui si aggiunge l’esaltazione del Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità.
Da questi e da altri elementi sembra delinearsi chiaramente il fatto che questo pontefice stia indirizzando l’operato della Chiesa Cattolica in un’attività volta ad un cambiamento della società dove la dimensione religiosa funge da sostegno. A conferma si possono citare i viaggi in Myanmar  (dove i buddisti non si convertono affatto…), in India (dove la minoranza cristiana è irrilevante e confinata nel Kerala), in Salvador con il preciso scopo della  canonizzazione di Romero, in Colombia dove avrebbe un ruolo importante come  mediatore politico.
Per i peccati come la corruzione e la mafia sembra non  esserci misericordia, bensì scomunica; anche Marx considerava il peccato individuale dei cristiani puro ‘moralismo’, in quanto prodotto dell’organizzazione sociale capitalistica che provoca l’alienazione, mentre per lui la vera colpa era l’opporsi alla liberazione del proletariato.
A differenza di quanto teorizzavano i marxisti e come hanno dimostrato i paesi in cui si è cercato di realizzare questa pseudo-ideologia ottocentesca, la Chiesa dovrebbe avere consapevolezza che non ci saranno soluzioni definitive, liberazioni messianiche, in questo tempo storico. Il Vangelo infatti dice: “i poveri li avete sempre con voi” (Mc  14,7; Gv 12,8). Questo ci dovrebbe far capire la nostra umana inadeguatezza a risolvere tutti i problemi del mondo, semmai bisogna trovare proposte che contengano e limitino il male, come insegna la dottrina sociale della Chiesa, e anche fornire conforto nelle sofferenze non solo materiali.
Si rileva una scarsa criticità nei confronti delle dittature di sinistra, specie in Sud America, mentre l’enfasi sui  cristiani perseguitati e martiri in molte regioni del mondo – insieme a tutti gli altri…- dovrebbe esser  maggiore.
È difficile capire il suo pensiero anche sui motivi per cui abbia assunto il nome di Francesco senza esser mai stato ad Assisi prima e non conoscendo le Fonti francescane che non cita mai: si ha l’impressione che Francesco sia stato inteso come un santo ‘schierato’, mentre in realtà non era affatto un pauperista. Il matrimonio con Madonna povertà faceva parte del cammino di “cristificazione”, cioè del cammino per divenire un altro Cristo, ‘il Signore poverello’, reso manifesto con  il dono delle stimmate a La Verna. Dante lo aveva capito molto chiaramente descrivendo i discepoli ‘scalzatisi’ che correvano dietro al santo… in fretta verso la Salvezza…(Par. XI 73-87).
Papa Francesco reputa che tutte le ideologie abbiano fatto il proprio tempo ma la Chiesa non può esser neutra di fronte a chi sostenga, ad esempio, che la persona umana possa esser conculcata in vista del benessere economico generale… o che la vita umana non vada protetta… Vuole anche lui sostituire la sociologia alla filosofia nel pensiero teologico, come il suo confratello Sosa? Lo sa che si tratta di scienza umana descrittiva, comportamentale che non spiega la ‘qualità’ e che non dà giudizi di valore? Nella sua predicazione emerge poco l’altra vita, la dimensione della Trascendenza e del mistero, scompare in una gioiosa macchina da guerra che dovrebbe favorire con ogni mezzo il progresso  e la giustizia sociale, in attesa dei quali non ci si deve lamentare, come recita il cartello sulla sua porta a Santa Marta.
Anche l’enciclica Laudato si’ suscita interrogativi. Infatti, se i richiami del Papa alla sobrietà (194-195) non vanno interpretati come una presa di posizione radicale contro la crescita ed il produttivismo, ma vadano visti piuttosto determinati da un’ottica di analisi terzomondista, sembra emergere una visione quasi ‘feticista’ del creato, in quanto l’enfasi sul passo del   Genesi  che lo affida interamente alla responsabilità dell’uomo - per cui è l’uomo stesso che deve individuare i criteri corretti per trasformarlo – è contenuta.
Nello stesso tempo sembra affermarsi  un generico irenismo nei confronti  delle altre confessioni cristiane, cioè un falso ecumenismo. In particolare tutta la “santificazione” di Lutero è un equivoco, in quanto la quasi totalità dei sacramenti viene meno nella Riforma, a favore di una assolutizzazione dell’interpretazione personale della Bibbia. Anche l’affermazione che ci si salva per sola fede contraddice  l’altra, secondo cui la fede senza le opere è morta. Quanto poi al pecca fortiter sed crede fortius è semplicemente un’idiozia, perché “chi bolle nel peccato” –espressione dei Padri - non riesce neppure a dire “Cristo Signore” –sempre secondo i Padri…- :occorre una metanoia, come esemplifica la parabola del figliol prodigo. E il Vangelo dice: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34 e Mt 6,21), ad indicare che ciò che il cuore desidera è ciò che si cerca…
L’elezione di questo papa è forse la conseguenza di un modo di sentire del tempo che tenta di umanizzare il mistero per renderlo credibile: basti pensare al fatto che il generale dei gesuiti dichiara che il diavolo è un mito, che non c’era il registratore per le parole di Cristo e che quanto a giudicare cosa sia male…beh! è difficile dire – anche la violenza ad un inerme?-.
Nella Compagnia di Gesù troppe volte nella sua storia si è insinuata la tentazione di conquistare il mondo con i mezzi del mondo con tecniche astute, come chiaramente indica quell’ abstrahere non est mendacium, tanto che nella Leggenda del Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov, Dostoievskj, ora tanto citato dai nuovi  gesuiti, scrive che il cardinale che chiede a Cristo: «Perché sei tornato?» è gesuita, e non a caso.
I primi oratoriani, su impulso di san Filippo Neri, il santo della gioia lo definiva il massone Goethe, nelle Costituzioni imponevano che nelle quotidiane conferenze dell’Oratorio non si parlasse «magistralmente et al modo parisino (S. Ignazio voleva che lo stile dell’insegnamento e della predicazione fosse improntato a quello delle Università parigine, per questo i gesuiti venivano chiamati i ‘maestri parisini’), vodo di ogni grassezza».
Factis amplius quam verbis ostendat , secondo san Benedetto, è ciò che  deve caratterizzare l’abate (Regola, caput II); tutto si inquadra, come insegna Rudolf Otto, nel fatto che «il sacro è l’orizzonte in cui allo spirito umano si costituisce l’esperienza del male radicale, non i mala mundi ma il malum mundi», la premessa per quel salto nella fede di cui parla Kierkegaard.

Il papa di recente ha detto che bisogna tornare a pregare… quasi opponendo  all’agire quotidiano, ma per un cristiano senza la preghiera la fede cos’è?