mercoledì 11 febbraio 2015

IL MENDACIO

   Rosa Elisa Giangoia


   Fin dai tempi più antichi della nostra tradizione culturale la comunicazione politica ha fatto ricorso alla menzogna, avvalendosi delle ben precise strategie comunicative del discorso menzognero, mediante allusioni e raggiri, omissioni e distorsioni, insinuazioni e falsificazioni per indurre negli interlocutori aspettative e credenze non vere.  Basta ricordare l’abilità del greco Sinone che, con astuzia, riuscì a farsi prendere prigioniero dai Troiani e poi, con menzogne, li convinse a portare dentro le mura della loro città il cavallo di legno, non dono dei Greci agli dei, ma pieno di guerrieri nemici.
   Già nel V secolo a.C. i filosofi dell’antica Grecia evidenziarono l’esistenza di un rapporto molto stretto tra esercizio del potere, menzogna e verità o, meglio, parresìa, definibile come attività verbale in cui il parlante sceglie di dire cose chiare con franchezza, senza remore o censure.   Euripide, Socrate, Platone e Aristotele considerano la parresìa un’idea centrale della costituzione ateniese e allo stesso tempo un atteggiamento etico caratteristico del buon cittadino. Per Platone coloro che dispongono del privilegio della menzogna sono i reggitori filosofi, i quali, sapendo discernere tra verità e menzogna, utilizzano quest’ultima come un 'farmaco', solo per il bene della città (Repubblica, 389b e Leggi,722 b-c).
    Con il cristianesimo la menzogna viene considerata un atto sociale; Dio non chiede di 'dire la verità', bensì di non 'rendere falsa testimonianza', ovvero di non commettere quell'atto di violenza che è l’inganno, sia esso compiuto per nobili o abietti motivi, per difesa o addirittura per amore. I Padri della Chiesa sostengono fermamente che non si deve mai mentire. Nel De mendacio Agostino d’Ippona fornisce una tipologia molto articolata della menzogna, considerandola come fattore mai ammissibile. Tommaso d’Aquino, riprendendo le argomentazioni di Agostino, asserisce che il bene presuppone il vero e ribadisce che la menzogna è un peccato contro la verità (Summa theologiae, II, IIae, q. 110, a. 1).
    Per Dante la menzogna è un’abilità diabolica, come evidenzia nella gustosa “commedia dei diavoli” nel c. XXIII dell’Inferno, in cui anche Virgilio, allegoria della perfetta Ragione umana, viene ingannato dalle parole di un diavolo «bugiardo e padre di menzogna» (v. 144), caratteri che gli vengono attribuiti anche nelle Bibbia (Io, 8,44). Ma per il poeta fiorentino, attento soprattutto ai mali della società civile, colpa grave è l’ipocrisia, più che nel suo aspetto privato, per quello pubblico, pericolosamente capace di corrompere le comunità. L’ipocrisia di Caifa fu la causa della morte di Cristo, in una vicenda in cui l’azione e gli interessi di religiosi, in questo caso i sacerdoti ebrei, sono soprattutto politici. Così anche i personaggi che il poeta incontra in questo stesso cerchio, cioè i due frati gaudenti bolognesi che, venuti come pacieri a Firenze, in realtà l’avevano data in mano ai guelfi, provocando gravi disordini e dolorosi lutti.
    L’uso politico della menzogna, finalizzato esclusivamente al mantenimento del potere, viene perorato da Machiavelli: colui che governa deve esercitare una 'virtù' che non è platonica conoscenza della verità, né cristiana identificazione con i precetti evangelici, quanto piuttosto 'abilità' di simulare e dissimulare, di unire l’astuzia alla forza, senza apparire spergiuro e mentitore (Il Principe, xviii).
    La pratica della menzogna a fini politici viene invece bandita da vari filosofi moderni; tra gli altri, Ugo Grozio afferma che essa lede sempre e comunque il diritto alla conoscenza di colui al quale sono rivolte parole o segni.  
    L’infingimento nei suo vari aspetti doveva essere molto praticato e diffuso nelle corti degli inizi dell’epoca moderna per essere così mirabilmente stigmatizzato da Molière nel suo Tartuffo, opera che, con la sua satira feroce della devozione religiosa per ordire piani a proprio vantaggio e tessere trame proditorie, disturbò Luigi XIV a tal punto che la fece modificare ed infastidì la «cabala dei devoti» di corte che chiesero ed ottennero la proibizione delle sue rappresentazioni pubbliche.
   Anche per Kant la verità è un dovere incondizionato di fronte a tutta l’umanità, mentre la menzogna è una rovina per l’intera società e per le sue stesse fondamenta: chi mente abolisce la società (Sui doveri etici verso gli altri. La veridicità). Nella diatriba con Benjamin Constant, secondo il quale «dire la verità è un dovere, ma solo nei confronti di chi ha diritto alla verità» (Sulle reazioni politiche), Kant dimostra come tale asserzione sia priva di senso, in quanto un simile diritto oggettivo farebbe dipendere, contro ogni logica, dalla volontà del singolo la verità o falsità di una proposizione. Mentire, per Kant, non è mai lecito e se anche l’interlocutore fosse indegno della verità, nel mentirgli non si commetterebbe solo un’ingiustizia nei suoi confronti, ma si agirebbe contro i diritti dell’umanità intera (I. Kant, B. Constant, La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica, Milano, Bruno Mondadori, 1996).
     Il noto adagio scolastico abstrahentium non est mendacium, fatto proprio dai Gesuiti rappresenta una posizione quanto meno ambigua, in quanto va inserita in un contesto specifico, soprattutto per il fatto che dire che “astrarre” è un semplice prescindere, significa che siamo ancora al di qua del giudicare.
    Con la Rivoluzione Francese la menzogna venne sdoganata, ma anche un’avversaria di Napoleone, come  Madame de Staël, poté dire, cercando di usare finezza, che «bisogna ingannare gli uomini per asservirli; ma si deve loro almeno la cortesia della menzogna».
   Poi venne il marxismo con le pretese di egemonia che diventarono dittatura, tanto che Lenin poté dire che «in bocca a un comunista la menzogna è una verità rivoluzionaria».
   In epoca più recente Hannah Arendt ha distinto tra verità di fatto e verità secondo ragione; la prima è 'politica per natura', in quanto «è sempre connessa agli altri, concerne eventi e circostanze in cui sono coinvolti in molti, è stabilita da testimoni e conta sulla testimonianza» (H. Arendt, Verità e politica, Torino, Bollati Boringhieri, 1995). Eppure il rispetto per la verità di fatto viene percepito come un’attitudine antipolitica, al contrario della menzogna, intimamente legata alla capacità dell’uomo di agire e di trasformare la realtà: «L’abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata fra le virtù politiche, e le bugie sono sempre state considerate strumenti giustificabili negli affari politici» (H. Arendt, La menzogna in politica. Riflessioni sui 'Pentagon Papers', Genova, Marietti, 2006).
    Tuttavia la menzogna finisce in realtà per mostrare, prima o poi, il suo impatto distruttivo sulla politica, che si realizza massimamente nei regimi totalitari, in cui si ha la manifestazione esplicita del rapporto esistente tra negazione della ricerca della verità e paura che ne deriva. La verità costituisce, pertanto, l’essenza irriducibile della politicità, il cui carattere plurale e molteplice ne garantisce l’accesso.
    Anche oggi la menzogna usata in politica è quella che abitualmente si definisce di stile machiavellico, in quanto strumento di persuasione e, di conseguenza, potente mezzo di influenza sociale, capace di agire non su un interlocutore singolo, ma su una massa da cui ci si attende consenso. Richiede quindi l’impiego di strategie di manipolazione degli altri con l’inganno e il raggiro. Questo comporta la percezione degli altri come persone deboli, ingenue, con scarso spirito critico personale. È un comportamento che manifesta anche un’indifferenza di fondo verso le regole convenzionali di moralità nei propri pensieri e azioni, in quanto ci si ritiene personalmente abili ad influenzare gli altri, nei cui confronti non si ha stima, e si è pronti a strumentalizzarli per raggiungere i propri scopi.
    È chiaro che bisogna stare molto attenti ai politici che usano la menzogna, perché il mendacio è il fondamento delle dittature. Uno degli esempi più tragici è stato in tempi moderni quello della Romania di Ceauşescu, che arrivò ad impiegare per anni l'intero prodotto interno lordo rumeno per costruire il secondo edificio più grande al mondo (dopo il Pentagono) per la gloria, secondo lui, del popolo rumeno, in realtà perché impressionato dagli edifici che aveva visto a Pyong Yang da Kim Il Sung. Nelle dittature, infatti, non ci si comporta in un determinato modo perché è giusto o è bene per i cittadini (non più tali, ma sudditi), ma solo perché conviene a chi detiene il potere. 
     Ci sono vari modi di mentire. Ad esempio, la tattica del tacere su fatti ed argomenti, come avvenne a proposito delle persecuzioni nei confronti degli italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale, con gli eccidi delle foibe in Istria, da parte dei comunisti nostrani per non screditare il governo di Tito. Talvolta le menzogne vengono scoperte ed emerge la realtà, nonostante le manipolazioni dell’informazione: è il caso recente di Salvini a Palermo che, con l’abile pantomima del chiedere scusa utilizzando una clausola di stile, finisce per avallare come menzognere sue precedenti affermazioni. Allora si chiede scusa come forma di urbanità, ma senza metanoia personale: dal proprio punto di vista tutto rimane invariato. Ma le menzogne possono anche nascondere altro…, come l'affermazione di Giorgia Meloni per cui l'aumento del debito greco in percentuale sul prodotto interno lordo dal 127% a 170% è solo colpa della troika; in questo caso la «donzelletta» omette di dire che il denominatore, cioè il prodotto interno lordo, è drammaticamente sceso e, trattandosi di proporzione... se la matematica non è un'opinione...
     Bisogna stare molto attenti e diffidare di chi in politica usa come strumento la menzogna, perché solo la verità è liberante, non solo a livello psicologico, ma anche nei rapporti sociali e in quelli di lavoro, se si ha come obiettivo il bene comune.







domenica 1 febbraio 2015

IERI IN ITALIA E' FINITA L'ERA DI WOYTJLA

Mi sa che in questa elezione di Mattarella al Colle ci abbia messo qualcosa di suo anche Papa Francesco, magari, chissà, solo con la preghiera! perché qui con Renzi giovanilista boy-scout e Mattarella che viene dall’azione Cattolica, dalla Fuci, dai cattolici popolari di sinistra, si cambia scelta del cattolicesimo in politica. Messo da parti Buttiglione come filosofo di papa Giovanni Paolo II, che sarà anche diventato santo col suo aiuto, e di CL a Milano, che portava dritto a Berlusconi, che si voleva anche far diventare buon cattolico, facendolo incontrare all'aeroporto con papa Benedetto e dandogli la comunione ai funerali di Vianello, nonostante il divorzio e i festini di Arcore, sperimentato senza successo il cattolicesimo di Sant’Egidio come supporto al tecnocrate Monti, adesso si ritorna al cattolicesimo stile vecchia DC e non credo proprio che papa Francesco non c’entri. Il brutto è che la vecchia DC l’abbiamo già provata e non ha portato per niente bene all’Italia, il finto cattolicesimo (festaiolo, disonesto, ecc. ecc.) di facciata di CL & C, l’abbiamo pure provato ed è andata male. Con Monti, non parliamone... si rischiava di diventare tutti poverissimi e di dover ricorrere tutti a Sant’Egidio! E allora? ripeschiamo nel passato sperando che vada meglio? Non sappiamo proprio inventarci niente di nuovo e di meglio?

Vincenzo Priano

CARLO BIANCHERI risponde:

Ci è parso cogliere con la nomina di Mattarella a Presidente  della Repubblica Italiana qualcosa di più di un ritorno al passato, come dicono alcuni, e cioè la nomina di una persona che aveva avuto una formazione da cattolico democratico non integralista, le cui radici si fondano nella rilettura di un tomismo elaborato a Le Saulchoir a Parigi ed a Lovanio, ma anche da rari maestri all’Angelicum a Roma; basti fare i nomi di Maritain, di Chénu, di Lyonnet, ma anche di La Pira e di Mounier, ma … non di Dossetti (…) per inquadrare l’elaborazione di una ideologia - sì lo diciamo senza vergogna … -dove si sosteneva l’autonomia relativa delle realtà create (v. Gaudium et  Spes) e in ultima analisi la convinzione che dai valori cristiani non ne discendesse una ricetta politica immediata, ma che, invece, è cristiano ciò che è ‘pienamente’ umano (v. Umanesimo integrale); contestualmente, si sviluppava l’elaborazione del concetto di persona e dei diritti inviolabili ad essa  connessi, ma anche la nozione di pace come tranquillitas ordinis, concetto dinamico che nella Populorum Progressio di Paolo VI porta a dire che lo sviluppo è il nuovo nome della pace nei rapporti internazionali.
Perché diciamo che è finita l’era woytjliana in Italia?
L’uomo è certamente eroico nel senso che ha subito un gravissimo attentato ed ha continuato imperterrito a svolgere il suo ruolo con molto coraggio, in un tempo difficile, con un comunismo dell’Est trasformato in mera gestione cinica del potere da parte di una oligarchia e, nella malattia, fu  fedele fino alla fine, senza risparmiarsi.
Tuttavia, la sua formazione teologica era inadeguata (studiò un solo anno all’Angelicum filosofia e fece la tesi su Max Scheler…). La sua era una preoccupazione politica globale che gli veniva dall’esperienza tragica della sua Polonia e dalla conoscenza dell’oppressione brutale dei regimi dei paesi dell’Est  – abbiamo ricordato più volte in questo blog la conoscenza diretta della Bulgaria  ( v. i post del 2009/2010) con la constatazione delle macerie umane che i regimi comunisti hanno provocato nelle persone, nella  vita civile e nella cultura, le cui tracce sono visibili ancora adesso: chi ha visto queste cose comprende meglio gli avvenimenti di questi giorni nei paesi dell’Europa orientale.
Nella visione di S. Giovanni Paolo II l’essere cristiano non era una scelta individuale, ma di popolo, e da qui i raduni oceanici, effimeri: molto spesso accadeva che l’interesse per la persona  fosse inversamente proporzionale ad una ricerca  interiore. Gente aliena da qualsiasi credo religioso, come Pertini, ne sentiva il fascino, ma anche un uomo come Clinton che la sua stagista chiamava il ‘bruco’, con rara acutezza psicologica, era della partita. Aveva dato via libera ai movimenti: CL, Opus Dei, Focolarini, Neo-catecumenali, Pentecostali che soppiantavano o invadevano ,in alcuni casi, le parrocchie, ed erano caratterizzati da attivismo e da una chiusura settaria, con una teologia, spesso, debole ed incapace di reggere il confronto con il tempo. Filosofi laici, come Cacciari, divenivano esperti di questioni religiose e la confusione era massima.
La gestione della Curia aveva sempre più carattere politico  e non  spirituale; il papa, peraltro, accentrava tutto quel che riteneva importante. La gestione economica delle finanze vaticane era affidata a gente senza scrupoli come Marcinkus o peggio …, associazioni religiose neo-costituite con molti soldi, come i Legionari di Cristo, il cui fondatore si è rivelato un vero mascalzone, operavano liberamente fondando scuole ed Università in tutto il mondo, senza controlli sul contenuto di quel che  divulgavano; bisognava fare santi a tutti i costi e così si moltiplicavano le canonizzazioni.
Il dibattito nella Chiesa, che esisteva prima del suo avvento, fu impedito. In Italia tutto era in mano a Ruini, la cui teologia è profondamente discutibile;  ha rotto con la tradizione consolidata di prudenza della Chiesa ed ha spinto attivamente i cattolici nelle  spire di uno che figurava nelle liste della P2, che non aveva nessuna delle preoccupazioni della dottrina sociale della Chiesa nel suo programma politico, anzi proclamava il diritto/dovere alla ricchezza, valorizzando quel che si ha (anche il corpo in prosieguo…). Il tale, chiamato “il caimano”, una volta tacitata la Chiesa con i soldi per i preti funzionari – definiti giustamente così dal papa Francesco – e soddisfatta sulle richieste relative ai valori non negoziabili (va detto che la teoria di questi valori, che non è una priorità del papa Francesco, contraddice la raffinata elaborazione che si era elaborata fin dai tempi di Pio XII…) ha fatto quel che gli è convenuto. In una parola l’abbandono di una nozione laica del bene comune, con il supporto del pur intelligente prof. Buttiglione, ha portato ad un integralismo strisciante ‘scassando’ la spiritualità, divenuta in prosieguo appannaggio dei ‘ruminanti della Santa Alleanza’, come li chiamava Maritain ne Le paysan de la Garonne, e cioè gli ex-scismatici lefevriani.
Né la situazione è mutata sotto il pontificato di Benedetto XVI che ha continuato a fare lo studioso o il melomane da papa, lasciando la gestione della macchina al card. Bertone che, sinceramente non sapremmo dire se si tratti di alto burocrate, di manager senza scrupoli, di vescovo principe, circondato da personaggi più volte inquisiti e massoni.
L’era del caimano e di Ruini ha accentuato in modo esponenziale l’attitudine all’apparenza che ha formato generazioni di giovani: quel che contava era la presenza, esserci, non il contenuto del messaggio; sintomatici al riguardo erano i raduni oceanici della gioventù con papa Woytjla, che cantava con loro,  il  giorno dopo ai quali gli  operatori ecologici raccoglievano montagne di preservativi dove avevano dormito: non c’è male, no? Un’inclinazione, un rincorrere lo spirito del tempo e in questo erano tutti hegeliani, disgraziatamente.
Lo stesso valga per la politica spettacolo, auspici i conduttori dei media (non si parla di quel che non si conosce…), che ci ha portato fino ai tweet di Renzi.
Ma la crisi ha spaventato ed i giovani cominciano a porsi qualche domanda perché capiscono che i cosiddetti maestri quarantenni non sanno dove andare.
Renzi è un animale politico, ma è un tattico: lui vende qualsiasi contenuto anche delle sciocchezze come la riforma del Senato. Del resto l’opposizione è formata da un comico in disarmo, da un adepto di Scientology, da uno che dice che bisogna capire l’Isis quando uccide da bestie, da un altro che prende il presepe come corpo contundente e si fa fotografare seminudo, che avvia una relazione, con famiglia alle spalle, e si definisce cattolico… Che volete?
Il tempo si fa breve, per così dire, e uno come Mattarella ha il respiro di chi ha riflettuto sulla vita e  sui problemi del Paese  e sa come mettervi mano.
È in linea col clima che il papa Francesco, una ventata di aria fresca, ha portato nella Chiesa: un ritorno ai valori fondanti e basta chiacchiere.