domenica 28 luglio 2013

UN ALTRO MONDO

Carlo Biancheri

Abbiamo letto finalmente qualcuno segnalare la distanza stellare tra i talk shows salottieri che  subiamo sui media sulla visita di papa Francesco in Brasile ed il linguaggio autentico del papa stesso.
Va detto che nella maggior parte dei casi e in conseguenza del mezzo televisivo che non sopporta silenzi, i giornalisti debbono parlare in continuazione, dicendo però fior di sciocchezze e lanciandosi in argomenti che non conoscono, non padroneggiano e che si traducono alla fine in messaggi del tutto falsi. Uno diventa autorità nel mondo immaginario odierno per il solo fatto di parlare in televisione: esce dall’anonimato, è uno che vale… Quel che dice è meno rilevante… Basta esserci, esistere… che consiste nell’ affermare il proprio io...
Dai resoconti emergono, a nostro debol parere, i seguenti aspetti per chi approfitta della visita del papa:
  1. La fede diviene propaganda di apparato :il papa trascina tanti giovani, ne consegue che l’organismo di cui io faccio parte ne beneficerà. Chi parla, nella maggior parte dei casi, si tratti di preti o di laici, descrive la fede come qualcosa che va conosciuta e spiegata e venduta come un prodotto: vieni con noi…; del mistero, dell’indicibilità di Dio non c’è traccia: sembra che sia sufficiente fare un po’ di bene…,come esigenza morale, finché dura la fantasia…, dicono a Roma. Quel che conta è l’appartenenza. Ritroviamo lo stesso schema nelle omelie delle chiese, frequentate da ambienti borghesi: grandi esortazioni morali, parafrasi delle Scritture e tira a campare…A voglia il papa a dire, citando Francesco piccolino, che bisogna predicare ‘anche’ con le parole, che vuol dire predicate in primis con la vita! Abbiamo citato più volte il discepolo di San Benedetto, il papa San Gregorio Magno, che sintetizza la vita del Santo, nei Dialoghi, con queste parole: “non predicò diversamente da come visse…” Avete l’impressione di sentir questo nelle liturgie domenicali? E nel sacramento della penitenza vi è mai capitato di sentirvi ringraziare, se mai vi confessate, dal sacerdote per il dono che gli fate riconoscendovi peccatori dinanzi a lui che rappresenta il Cristo poverello, come diceva Francesco piccolino? Nella Chiesa ortodossa la Confessione si fa in fila dinanzi all’icona: prima si prega insieme con il pope, poi questi legge un foglietto che gli dà il penitente dove ha scritto i peccati;  strappa il foglietto e poi gli mette la propria grande stola sulle mani e traccia il segno della croce: libera le mani, lo libera…Questo è quello che i cristiani chiamano Tradizione…cioè la fede vissuta e un simbolismo riconosciuto, significativo.
  2. Giovanni Paolo II, con la sua teologia che osiamo dire debole, cui è seguito un agostinismo che va persino al di là di Agostino con Ratzinger, si è appoggiato troppo ai ‘movimenti’ che spesso confondono la fede con l’affettività, che dura poco e si trasforma nel ‘fare delle cose’…Non c’è chi si chieda nelle folle di ragazzi festanti che vediamo in tv e di preti agit-prop, quando dice ‘Padre nostro’, se veramente creda che il Dio che sta pregando esista…o quando si comunica che vi sia presenza reale in quel pane, come il prete di Bolsena… e cosa voglia dire il Dio con noi, sempre ripetuto...Han mai letto  nella Histoire d’une âme di Teresa del Bambin Gesù, quella che scriveva di sentirsi come una palla abbandonata tra i giocattoli dismessi perché Gesù bambino non giocava più con quella palla, cioè con lei…,l’oscurità  degli ultimi momenti? Sanno che significa ‘fede nuda’ e non gioco perenne, evasione…,auto-gratificazione? Incentivare questa formazione attivistica, incentrata nel far numero, stile CL, o sulla mera volontà…  genera  spostati o persone insincere; pensiamo ai  tanti preti reclutati dai vescovi (per far carriera?)che poi si sono scoperti incapaci di mantenere i voti o addirittura malati…e soprattutto genera una piattezza e una filosofia di vita  fatta di luoghi comuni e di pseudo-buonsenso.
  3. Certo l’imperfezione umana, a cominciare dalla nostra, è l’esito del peccato di origine per un credente…,ma questo non esime dal  prendere in considerazione la grande tradizione dei santi, dei testimoni veri, presenti nella memoria di chi cerca. Prendete Filippo Neri, “Pippo bono” come lo chiamavano in una Roma violenta dove un Orsini poteva uccidere impunemente il marito della propria amante in un crocicchio, sotto il suo palazzo, per andarsene con lei; dove i colti, come Vittoria Colonna, erano cripticamente filo-riformati… o comunque indipendenti come i francesi…, anche in dottrina: da non dimenticare che il fondatore dei cappuccini andò a morire vicino a Ginevra dov’era Calvino e per questo non è santo….Ignazio coi suoi amici intellettuali e nobili tirava tardi la sera per pianificare, organizzare come conquistare il mondo alla fede. Pippo no: anche lui portava in giro per Roma migliaia di persone con un panino e una fiaschetta di vino ciascuno che cantavano nel loro cammino per le sette chiese, le sette basiliche: Vanità, vanità, tutto il mondo è vanità. I ragazzi di strada, all’epoca, quando c’era un giovane predicatore andavano in Chiesa per beffeggiarlo e ci provarono con lui, ma rimasero ammutoliti perché quando parlava diceva quel che viveva; era lieto Pippo. Non va dimenticato che un giorno, da giovane, uscendo dalla messa a piazza Santi Apostoli a Roma fu circondato da un gruppo di giovani che volevano violentarlo(il mondo gay non è una scoperta del secolo scorso…):era biondo e un bell’uomo come si vede ancora nella maschera mortuaria alla Chiesa Nuova a Roma: lui parlò loro di Cristo e i giovani se ne andarono vergognandosi…Non di solo pane vive l’uomo…, ce lo ricorda Dostojevski, nella Leggenda del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov. Volevano farlo cardinale ma sempre rifiutò e ai suoi che gli dicevano di esser stati nominati arcivescovi rispondeva: e poi? E poi?
  4. Il papa emerito criticava il relativismo, ampiamente sviluppatosi nel pensiero tedesco di cui lui, peraltro, era tributario ed estimatore…,ed è probabilmente qui un aspetto non insignificante della crisi contemporanea. L’esistenza precede l’essenza e ne costituisce la natura diceva Heidegger… e le idee, come nelle classi sociali scendono  a vari livelli fino a giungere all’uomo della strada…Così, in televisione un seguace di Morsi, in Egitto, non fa che ripeterti che lui difende la ‘democrazia’, la ‘sua’ democrazia…che deve imporre a tutti: ricordate ‘Il bene si sa bisogna farlo per forza…’?.Il grillino deputato, adepto di Scientology, nella sostanza…,dirà che deve liberare il sistema dal letame per introdurre il sistema buono: il suo; o bisogna dare il reddito di cittadinanza (con quali soldi? Boh…);o bisogna togliere le pensioni troppo alte (si… ma così si fa come Robespierre  - lo conoscono?- in quanto non c’è certezza del diritto: si cambiano le regole ad libitum…);o bisogna abolire i partiti (per convertire tutti in adepti?);oppure, tutta la colpa è dei mercati finanziari (si…ma bisogna tornare al baratto?).Per secoli si è discusso sui fini e sui mezzi per intervenire nella società. Per ottenere un fine buono è giusto usare un mezzo cattivo? Per esempio mentire, come vediamo fare dai più in televisione? Siamo sicuri che i mezzi non pre-giudichino il fine, il risultato? E che quindi risultino inefficaci, per usare la categoria dell’efficacia di cui parlava Marx? Asserire equivale oggi ad ’esistere’ (cioè ad ‘essere’ per Heidegger…) perché il ‘reale’ è per te…
La fede è un dono, insistono i riformati, non può esser trasformata in propaganda ma comporta adesione vissuta. Come papa Francesco, appunto, e non come i suoi sciocchi commentatori.


mercoledì 17 luglio 2013

PANE AL PANE


Carlo Biancheri

Il  vice-presidente del Senato della Repubblica degli incivili ci informa  che chiede scusa  al Ministro Kyenge per averla paragonata ad un orango, in quanto nera, ma che non se ne va perché queste cose possono succedere in un comizio di millecinquecento focosi  sostenitori ‘motivati’: una parola di troppo… ma va là…cosa vuoi che sia… Sia chiaro che lui non è razzista: basta la parola, la sua! Parla poi un gruppo di compari da ‘piola’ sordida, si direbbe in Piemonte, che ribadiscono l’alto pensiero di una testa capace fondamentalmente di fare falò di leggi, salvo  esser obbligato successivamente a ripristinarne molte a causa di scelte sconsiderate, o, invece, di fare leggi da suini, il ‘porcellum’, appunto. Il capo manipolo di Varese, eletto a furor di popolo presidente della Lombardia da lombardi che con l’amato Manzoni non hanno nulla a che vedere, anche perché lo ignorano visto il livello culturale dei più…, ci informa che il caso è chiuso: si è scusato, cosa volete di più? E già,s ignor Avvocato  batterista, fosse così semplice! Le scuse sono flatus vocis se non si accompagnano a comportamenti conseguenti. Alle città bibliche veniva consigliato dai profeti di vestirsi di sacco e cospargersi il capo di cenere per evitare l’ira di Dio…
Vent’anni di sciocchezze dei berlusconidi, tutti appiattiti sull’avere, sui piaceri, sull’apparire piuttosto che sull’essere:in Parlamento si va per fare il ‘pareo’ si dice in Sud America, la sfilata, non per dire cose sensate(ma con quale preparazione?) e agire di conseguenza; non si va nelle Assemblee per rappresentare la gente:  tanto è il popolo bue... Si è avvertita, peraltro, l’assenza, nella società, di una qualsiasi autorità morale credibile, giacché, duce Ruini e compari, la Chiesa  era ‘pappa e ciccia’ col peccatore che si fingeva cattolico, a tratti, e si comunicava persino… piazzista, perenne intrattenitore da bar e uccellatore degli italiani, direbbe il Boccaccio. La Chiesa dei preti funzionari e peggio non suppliva alle gravissime carenze della società civile. A ciò si aggiungano un mondo virtuale che vive di face-book, un’economia finanziarizzata, da speculazione perenne, incapace di  creare  posti di lavoro; niente futuro, niente progetto, niente speranza, niente cultura che non sia quella sportiva: la proiezione negli altri, il sogno per fuggire dalla realtà che forse… è anche la vera libertà…
Certo il Calderoli che parla un italiano stentato, non privo di strafalcioni (e se ne vanta…), non conosce né Platone né Aristotele (a cosa serve?) e, quindi, ignora che, in polemica coi sofisti, i due sostenessero che rende umano (e non animale…) sviluppare la parte più nobile di sé. Invece, negli ultimi venti anni, più che altrove, in Italia si è dato libero sfogo ai bassi istinti (circenses più che panem a dire il vero…), tanto la gestione della baracca era lasciata al manovratore… coadiuvato dai fratelli delle confraternite  oscure. E’ così in molti luoghi del mondo ma qui si passa il segno perché si va oltre le righe: l’eccesso…
Agli sconfortati diremo: coraggio! Il futuro non lo costruiranno i giovanotti politici e le signorine azzimate che vediamo su tutti i media perché parlano prescindendo dal pensiero: lo scopo sembra esser quello di vedere l’effetto che fa, come dice la canzone…
Il nuovo papa sostiene che bisogna predicare ‘anche’ con le parole… quindi occorre agire in primis... e stabilire una coerenza tra il dire e il fare. Ecco, stabiliamo una solidarietà tra chi ama la vita e vuole costruire un futuro umano a partire dal reale: l’età non conta, ci vuole speranza.

venerdì 12 luglio 2013

L'ORGOGLIO DELLA PELLE NERA

La lettura di Prendi quello che vuoi, ma lasciami la mia pelle nera (Jaca Book, Milano 2013, pp. 121, € 10,00) di Cheikh Tidiane Gaye, poeta e narratore di origine senegalese con cittadinanza italiana, che ha scelto la nostra lingua come strumento espressivo per affrancarsi dal francese, sentito come lingua del dominio coloniale sul suo paese d’origine, scuote senz’altro a fondo le nostre coscienze, riguardo alla situazione degli immigrati in Italia e più in generale in Europa, anticipando le raccomandazioni morali espresse da papa Francesco in occasione della sua recente visita a Lampedusa. Lo scrittore, infatti, attraverso una serie di lettere all’amico fraterno Silmakha, anch’egli emigrato lontano dal Senegal, analizza con accorata acutezza la condizione di chi, come lui e tanti altri, dal suo e da altri paesi dell’Africa nera, si sono trasferiti in Italia, sperando in un futuro migliore, ma hanno dovuto affrontare le durezze della vita in un ambiente poco accogliente ed anche con componenti politiche di aperta ostilità, in cui crearsi una buona condizione di quotidiana esistenza è molto difficile, tanto che parecchi non ci riescono e precipitano nelle oscure sacche della clandestinità. Così Gaye sfaccetta la sua narrazione in tante storie, ognuna con un uomo o una donna protagonista di una vicenda difficile, resa ancora più dura dall’indifferenza, dalla mancata accoglienza e soprattutto da una pesante cappa di prevenzioni e pregiudizi nei confronti di chi viene dall’Africa ed è nero di pelle, ma anche di altri, soprattutto dei rom, degli zingari, degli albanesi… Sono storie che l’autore fa vivere davanti ai nostri occhi con le sue capacità narrative, venate di un afflato poetico, che gli derivano dalle sue radici nella lingua e nella cultura wolof, in cui il griot, il poeta, il cantastorie è il custode della tradizione orale. Ma la situazione sua, che è quella di chi, seppure con fatica, è riuscito ad inserirsi pienamente nella vita italiana con un buon lavoro, una bella famiglia ed un certo successo letterario, a cui si aggiunge anche l’impegno politico, e quelle degli altri emigrati lo portano a porsi delle domande che scuotono soprattutto le nostre coscienze. L’interrogativo di fondo verte sul concetto stesso di “civiltà”, quella che solo i popoli europei o da essi derivati ritengono di possedere e in passato hanno cercato di imporre con azioni di brutale violenza, come la tratta degli schiavi dall’Africa per incrementare il benessere del nord America. A questo proposito l’autore rievoca la sua visita a Gorée, alla Casa degli Schiavi, posto che gli “è rimasto nell’anima”, luogo simbolo di quella deportazione di migliaia di “africani portati in America, schiavizzati e poi trasformati in animali per fertilizzare le terre”. Le accuse che Gaye rivolge alla storia dell’Occidente sono forti: «Non si può uccidere in Vietnam, in Africa, malmenare innocenti, rubare loro le materie prime, prosciugare i loro pozzi di greggio, inquinare l’ambiente, sfruttare il lavoro minorile, stuprare le donne, incendiare villaggi, complottare per capovolgere regimi eletti democraticamente, abbattere gli altrui luoghi di culto, seppellire credenze, umiliare dignitari, vendere armi, incitare alla guerra, sacrificare il destino di molti giovani, discriminare, infangare, e poi osare definirsi CIVILI!». Tutto questo, purtroppo, non riguarda solo il passato, la storia, ma molto continua anche nel presente, nelle nostre città, nella Milano in cui l’autore vive, dove la pelle nera è guardata con sospetto, dove chi arriva dall’Africa non viene accolto e neppure accettato, ma continua ad essere oggetto di discriminazione, in quanto non gli viene riconosciuto il ruolo che la sua preparazione culturale e professionale comporterebbe, ma viene relegato a svolgere i lavori più pesanti, talvolta anche pericolosi, confinandolo sempre in fondo alla scala sociale, sovente mettendo in difficoltà o addirittura calpestando la sua dignità di persona umana, come si è visto per gli stagionali di Sarno. Ma quello che più interessa all’autore, come significativamente indica anche il titolo del libro, è mantenere la sua pelle nera, i suoi legami culturali con la sua terra, non spogliarsi della sua identità, fatta di tradizioni antiche della cui validità egli è fermamente convinto. A suo giudizio, infatti, e questo è il messaggio politico, di carattere profetico, che lancia con questo libro, solo una società in cui persone con tradizioni culturali diverse possano vivere, senza sopraffazioni, senza rancori, né odi, ma secondo regole di piena giustizia, basate sull’amore, potrà garantire a tutti una vita serena e felice. Questa è l’eredità che lascia nella lettera conclusiva che scrive a suo figlio mulatto, per aiutarlo «a diventare uomo», cioè a «saper convivere, accettare, accogliere e amare la vita». Lascia a lui e ai lettori un’ultima raccomandazione: «la fiamma dell’uguaglianza deve illuminare ogni stanza buia e sofferta; a te il mio sostegno, a te il compito di svegliare l’alba dei nuovi tempi, ma non odiare perché tu sei “perdono”».

martedì 9 luglio 2013

QUO USQUE TANDEM...

Carlo Biancheri


     Non abbiamo mancato di rilevare in questo blog che la cultura, al tempo di internet, si fonda su verità apodittiche: lo affermo ergo è vero. Ne abbiamo trattato in un altro post rilevando che il linguaggio è basato su un approccio persuasivo e non è interessato al vero: adaequatio rei et intellectus..., dice Tommaso. E' sufficiente dire: mi piace e non mi piace, poi qualcuno sintetizza (v. Scientology / M5S).
    Apprendiamo oggi che un tipico esemplare di cultura orecchiante, ateo devoto (!), il Ferrara, su "Il Foglio", orfano di un papa di poco ascolto, più agostiniano di Agostino e per molti versi privo di prudenza per il divario che esiste tra teoria e prassi nella sua Weltanschauung..., critica il papa Francesco, che ha parlato a Lampedusa di globalizzazione, nell'assunto che per lui, Ferrara, la globalizzazione è un bene in quanto ha dato da vivere a 900.000.000 di persone che altrimenti sarebbero morte di fame.
     A Roma si direbbe in modo 'impunito', questo signore ha sostenuto che ognuno a casa sua può fare le orge che crede (con i minorenni che ci stanno forse?) e che questo non deve portare a condanne moraliste (introduce qui la distinzione marxista tra morale e moralismo... che è quello borghese e contrasta con la morale rivoluzionaria...). In pratica è l'approccio degli studenti che sanno le cose a metà e che, tuttavia, tirano le conclusioni. San Tommaso nel XIII secolo ebbe a dire che chi non sa governare sé stesso non può governare neppure gli altri. E Marx sarebbe stato d'accordo, perché per lui la prassi 'fa' la persona.
     E veniamo alla globalizzazione che sarebbe un bene in sé, secondo il Ferrara. Questa era la teoria di quella sciagurata della Thatcher e dell'attore Reagan, che poteva diventare presidente solo negli Stati Uniti... dove lo spettacolo, l'apparire precede l'essere: dice nulla la condanna dei loosers? La teoria che consiste in pratica nel libero mercato, portata avanti da Blair e coniugata con la deregulation, ci ha portato al fallimento dell'intero sistema bancario inglese e delle maggiori banche americane e alla depressione mondiale attuale.
      Attenzione! Questo non significa difendere i monopoli o gli sprechi di uno Stato condizionato da mani forti e opaco, ma ricordarsi che sia a livello statale che negli accordi sopranazionali ed internazionali un mercato senza regole è una giungla (v. Keynes). Che senso ha avuto la globalizzazione tramite gli accordi GATT e GATS (rispettivamente merci e servizi)? Il riconoscimento reciproco delle regole si effettuava partendo da posizioni diseguali... Sarebbe come far correre insieme atleti delle Olimpiadi con quelli delle para-Olimpiadi. All'epoca la Cina, ad esempio (ma quanti altri paesi?), non aveva un sistema pensionistico serio, né un sistema di sicurezza sociale, per non parlare dei controlli regolamentari, che sono un costo per le imprese (si pensi all'ambiente, ma non solo...), del tutto inesistenti: i prodotti cinesi costavano di meno o no degli altri (anche se nocivi...)? Bastavano i cd carve out a porre degli argini? Come sempre e come abbiamo appreso da Fedro ("mi sporchi l'acqua..."), alcuni sono più uguali degli altri e gli Stati Uniti all'epoca non temevano molto perché il loro sistema/mercato rimaneva sufficientemente protetto. A farne le spese erano piuttosto paesi come l'Italietta, incapaci di far valere le loro ragioni nei contenziosi internazionali.
       Analogo discorso si può fare per l'OCSE i cui codici di liberalizzazione sia per i movimenti di capitali che per le transazioni invisibili correnti sono demagogici e inefficaci e lo stesso OCSE è un produttore di documenti spessissimo di scarsa qualità (ci rincresce per Padoan). L'apertura selvaggia senza regole e senza idonei controlli, sanzioni incluse con carattere dissuasivo (!), ha portato ad un movimento erratico dei capitali orientato dalla sola logica del profitto, che non è un male in sé contrariamente a quel che ha sostenuto l'ex papa nella sua enciclica sociale, ma lo diventa, come diceva Paolo VI nella Populorum progressio, quando si trasforma in 'motore essenziale': in altre parole il profitto ci deve essere, perché vendere e fare la carità sono due cose differenti, ma non può creare l'anarchia, cioé deve determinarsi in un contesto di regole che impediscano la distruzione in un battibaleno di economie tradizionali senza sostituire alcunché, la perdita di lavoro secca, ecc. ecc.
    Il Ferrara sembra avere un approccio darwiniano nell'economia... Difende forse l'economia di rapina...? Potremmo continuare, ma il Ferrara non ci leggerà e queste considerazioni sono financo sottili per il suo approccio all'ingrosso.
     Il papa a Lampedusa ha richiamato le coscienze degli uomini ad essere umani (il contrario di chi sostiene: a casa mia faccio le orge con chi mi pare...), a riconoscere sé stessi nei migranti, quel che noi avremmo potuto essere se fossimo stati 'ultimi'. Che fare? Cominciamo a non negare, a non ignorare, a guardare le cose come stanno: il bene comune di cui si parla a sproposito in ogni trivio mira a porvi mano, in qualche modo...