giovedì 18 febbraio 2016

BREXIT


Carlo Biancheri

Brexit nel linguaggio politico e mediale significherebbe  la possibile uscita del Regno Unito dalla UE.
Fin dai tempi del Libro bianco del 1985 sul completamento del mercato interno, approvato a Milano sotto Presidenza italiana con l’allora Governo Craxi, la Thatcher, messa in minoranza proprio da Craxi che presiedeva la riunione del Consiglio, si oppose strenuamente  al principio del riconoscimento reciproco dei provvedimenti e delle decisioni degli Stati membri che richiedeva l’armonizzazione della normativa della Comunità, per evitare arbitraggi regolamentari. Fondamento di questo principio, che è poi quello del mercato interno, è il controllo del paese di origine. La ferma opposizione nasceva dal fatto che il Regno Unito, entrato nella Comunità Europea per imposizione degli Americani, che vedevano con sospetto l’integrazione troppo spinta della Comunità, in quanto si creava un competitor in Europa, si giustifica con l’intento inglese di trasformare la Comunità stessa in un mercato di libero scambio, senza troppa armonizzazione normativa, resa difficile, tra l’altro, dalla coesistenza di sistemi giuridici di Common Law e di diritto continentale, leggi codici napoleonici. In antagonismo alla Comunità, la Gran Bretagna aveva creato l’EFTA con i paesi nordici che era stata un fallimento. Di recente l’Ambasciatore Romano, lucido interprete dei fatti internazionali, ha dichiarato che la presenza del Regno Unito nell’Unione è stata più fonte di ostacoli all’integrazione europea che  un beneficio. Poche procedure d’infrazione ma continue interpretazioni eterodosse della normativa comunitaria, con una Commissione, guardiana dei Trattati, succube in quanto invasa dagli inglesi nei posti che contano e, soprattutto, senza nessun seguito amministrativo interno alla normativa comunitaria.
Ci sanno fare i Britannici nei rapporti internazionali, da secoli, e sempre col chiodo fisso del loro interesse nazionale.
Nell’Ottocento il Regno Unito volle insistentemente negoziare con i porti  del continente europeo, che si interfacciavano all’isola, la libera circolazione della navigazione per fini commerciali (Anversa, Amstedam, Calais, ecc…): il risultato fu che le navi commerciali inglesi avevano diritto ad entrare nei porti europei per scaricare le merci mentre nei porti inglesi potevano farlo solo quelle che battevano l’Union Jack!
Londra è il più grande mercato off-shore del mondo per servizi finanziari, cioè banche, assicurazioni e borse, perché non c’è nessun controllo, nessuna vigilanza efficace e, inoltre, con l’istituto del trust si possono celare agevolmente i beneficiari delle operazioni finanziarie. I casi di insider trading, oggetto di sanzione, in un mercato grande come quello di Londra sono risibili e il mercato dei blocchi in borsa cioè quello all’ingrosso, col sistema dei market makers, non ha nulla da invidiare ai metodi di negoziazione della casbah, per non parlare delle materie prime col London Metal Exchange dove gli scandali invece che dalle Autorità di vigilanza britanniche venivano scoperti dalle Autorità statunitensi come la Commodity Futures  Trading Commission, che vigila, tra gli altri, sul mercato di commodities di Chicago. Proprio per la mancanza di una vigilanza adeguata, tutto il sistema bancario inglese è fallito ed è stato nazionalizzato durante la crisi per poi esser ri-privatizzato. Inoltre, vi è stata l’ennesima ristrutturazione del  sistema di vigilanza stesso, iniziata negli anni Ottanta col Financial Services Act ed il Securities and Investment Board che predicava all’Europa la self-regulation, cioè l’autocontrollo da parte degli intermediari finanziari: non avrebbero mai rischiato la loro reputazione con comportamenti illeciti… I fatti successivi e i numerosi scandali, come quello di Nick Leeson e di Barings, ecc…, hanno dimostrato la sensatezza della filosofia sottostante. Regolamentazione per principi, non per norme, era il leit motiv .
Il supponente, nobile Cameron chiede adesso di svincolare la City dalle norme  europee e nel contempo di  mantenere un diritto di veto sulle decisioni che gli Stati membri aderenti all’Euro assumeranno ove ciò danneggiasse  la City stessa. Un accordo (bozza di…) negoziato da un polacco, suddito della Merkel, Tusk,  è sottoposto al Consiglio Europeo di oggi e domani, dove noi siamo rappresentati da Guerrin Meschino che, sulla base dei grandi insegnamenti machiavellici, ha pensato bene di allearsi, in parte, col caro David per dare un colpo all’asse franco-tedesco in difficoltà… Che sapienza! Bisogna mantenere il Regno Unito in Europa a tutti i costi… E perché mai? Noi siamo importatori netti di servizi finanziari, non esportatori; dovremmo forse donare il sangue, cioè i nostri risparmi, ai loro intermediari senza contropartita? Questi stessi intermediari tutti implicati nello scandalo Parmalat per il quale hanno patteggiato per non finire a processo (v. Credit Suisse, v. Deutsche Bank, v. JP Morgan…). Lo sa Guerrin che quando le nostre banche in borsa subivano perdite a due cifre e la Consob vietava le vendite allo scoperto, cioè operazioni senza i titoli, per bloccare la speculazione pura, non serviva a nulla  perché le transazioni si facevano ugualmente sul mercato di Londra dove le stesse banche erano quotate? Certo che no… perché si tratta di ragionamenti complessi… Noi non preferiamo affatto a Guerrin la supponenza delle cariatidi che hanno fatto poco e molto male in passato nel Governo del Paese ma siamo stufi di pagare per l’apprendistato di questo giovane  che cita Borges a sproposito e non capisce  i meccanismi del contesto ed il linguaggio internazionali. Ognuno deve fare il suo mestiere: non ci si improvvisa chirurghi, fisici e neppure politici, perché si richiede la conoscenza di un’arte, come si diceva giustamente nel Medio Evo, che richiede una qualche competenza di settore. Invece dell’arte… vediamo un’allegra brigata di saccenti, sempre arciconvinti delle loro posizioni. Invece di impugnare il Regolamento di Dublino, che l’Austria cita per sostenere la chiusura dei confini…, approvato da imbecilli, Governo italiano in primis, e di dichiarare che ci rifiutiamo di attuarlo perché il quadro internazionale è insostenibile, a quindici anni di distanza, si continua a procedere con declamazioni che lasciano il tempo che trovano tra gli scaltri politici di Bruxelles.