venerdì 24 giugno 2011

LEGGERE SENECA

L. Anneo Seneca
                                                                        Rosa Elisa Giangoia
    
Quest’anno per la prova di Latino al Classico gli esperti del Ministero sembrano aver scelto bene: un brano di Seneca linguisticamente equilibrato, ma soprattutto di elevato contenuto etico, senonché, proprio per queste caratteristiche c’è da supporre che una percentuale molto alta di studenti l’avesse già tradotto come esercizio o come verifica, essendo anche presente nella maggior parte dei libri di versione e nelle antologie di autori in uso nelle scuole. Ma non è su questo che voglio soffermarmi,  bensì sulla discrepanza tra l’alto valore morale del testo e la banalizzazione giornalistica che ne è stata fatta.
       A dare senso a questo passo di Seneca (Ad Lucilium LXXIV 10-13) è già la frase d’inizio, che dice “Chiunque decida di essere felice, pensi che l’unico bene è l’onestà”, frase forte, emblematica, su cui soffermarsi a riflettere, che sembrerebbe fortemente polemica nei confronti dell’andazzo, soprattutto politico, dei nostri tempi (e anche di molti del passato!). Una frase indubbiamente scritta dal filosofo stoico
con tutta l’amarezza che gli derivava dall’estenuante e fallito tentativo, perseguito per tutta la vita, di coniugare la morale con la politica. Un testo, questo di Seneca, che va avanti proponendo i valori più alti e dando come norma di vita l’impegno per realizzarli, con un discorso che si incentra sull’elogio della virtù, per raggiungere la quale si devono sacrificare molti piaceri e disprezzare tutte quelle cose che in genere si considerano beni di determinante valore. Oltre a questo, occorre non temere la fatica, dare la massima importanza alla rettitudine ed avere come obiettivo primario della propria vita il raggiungimento del sommo bene in cui tutto si concentra e che solo può dare la vera felicità, quella che deriva dalla serenità dell’animo e dalla soddisfazione della coscienza. Un programma alto, che ha costituito quella preparazione mentale e culturale proficua per l’accettazione e la diffusione del Cristianesimo, tanto da far ipotizzare contatti (oggi, almeno in parte, anche avvallati in sede scientifica) tra Seneca e san Paolo. Un insieme di valori capaci di dare senso e motivazione all’esistenza, in cui, in momenti determinanti del passato, si è trovata linfa intellettuale e forza morale per dare nuovo corso alle vicende della storia.
Oggi, però, sembra che questi testi non si leggano più con l’intelligenza e la necessità della penetrazione intellettuale e morale… Basta scorrere i commenti televisivi e giornalistici che hanno corredato nei giorni scorsi questo testo, tutti polarizzati su due questioni  irrilevanti, cioè che Seneca fosse l’autore previsto, preferito ad altri, soprattutto a Tacito, e che la traduzione non fosse difficile. Perché se i nostri ragazzi, all’esame di maturità, fossero stati sottoposti ad una prova che presentasse qualche difficoltà, poverini, avrebbero trovato un coro di comprensione, di commiserazione… Come? chi si permette di metterli in difficoltà? Di sottoporli a prove severe? Qualche quotidiano più raffinato ha interpellato docenti di lingue classiche che hanno fatto annotazioni sullo stile di Seneca, hanno rilevato particolarità stilistiche e proposto altre osservazioni, sempre ... da manuale.
          La cosa da mettere in evidenza è invece che i ragazzi sono stati messi di fronte ad una pagina da meditare, importante per la loro vita, mentre nella nostra scuola, ormai, la lettura dei classici è “sfuggente”. Leggere i classici va riportato nella giusta prospettiva: tradurli non è una ginnastica mentale, non è un esercizio fine a se stesso, ma un’occasione per trarre linfa intellettuale e morale, per costruire in modo serio la propria vita, in definitiva per imparare a pensare, per diventare persone serie. Per questo, nella scuola, mettiamo da parte il semplicismo dell’attualità, non perdiamo tempo a discutere se è bene che due lesbiche (o due gay) possano adottare un bambino (magari nelle ore di Religione Cattolica), ma portiamo i ragazzi a contatto con i grandi valori dell’humanitas, quelli che si acquisiscono dai classici e che in ogni occasione li renderanno capaci di discernere e di valutare.

2 commenti:

  1. Io personalmente farei le due cose...è bene che la scuola italiana difenda i pregi che ha. E l'insegnamento dei classici è uno di questi. Ma sarebbe bene che si discutesse anche, per tenere l'esempio, di matrimonio omosessuale. Questione tutt'altro che oziosa, anzi eticamente difficile. Che merita riflessione e che per farsi un'opinione sulla quale ad oggi i ragazzi non possono che ricorrere ai media. E al loro qualunquismo dilagante.

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  2. Si può e si deve discutere di tutto, non inseguendo le ultime novità di successo, ma impegnandosi ad affrontare i problemi profondi che ci interpellano. Per questo i classici, soprattutto quelli che ci hanno insegnato una concezione dell’uomo attualissima, possono essere un riferimento imprescindibile.

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