sabato 18 aprile 2015

MORTE PER ACQUA

   
Rosa Elisa Giangoia

   Il mare era azzurro, prima che i venti e le nubi lo facessero diventare tempestoso e minaccioso. Un barcone carico di profughi lo percorreva nell’incertezza della sorte e nella fiduciosa speranza del futuro, ma ad un certo punto tutto tra loro cambiò. La minoranza di profughi cristiani, provenienti dal Ghana e dalla Nigeria, era stata confinata in un angolo ristretto e a loro venivano razionati l’acqua e i già magri viveri, anzi la maggioranza musulmana voleva abbandonarli in mezzo al mare. Gli animi si accesero rapidamente, nacque una rissa e i musulmani riuscirono a scaraventare in mare una dozzina di cristiani: ciascuno di loro come  “Fleba il Fenicio, morto da due settimane, / Dimenticò il grido dei gabbiani, e la profonda risacca del mare”. Intanto i superstiti in preda al terrore cercavano di salvarsi avvinghiandosi gli uni agli altri, facendo quasi un corpo unico, attaccato al barcone. E ci riuscirono, tanto da poter denunciare il fatto alle autorità italiane, una volta sbarcati...
    Non è il racconto di un romanzo a tinte forti o la descrizione dello spezzone di un film terrificante, ma è qualcosa che è successo ieri e sui cui particolari forse non si saprà mai la verità completa, ma che meriterebbe la forza espressiva di un grande scrittore per essere narrato.
   A noi non resta che farci delle domande. Innanzitutto perché è potuta succedere una cosa del genere? Senz’altro, come ha affermato mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, per una questione di “imbarbarimento”;va anche detto che le idee che prima si elaborano in un ambiente sofisticato, nelle classi sociali elevate culturalmente, poi scendono  a livello di populace, come dicono i francesi, in modo rozzo e animalesco.  Discorsi di rivendicazione e di contrapposizione, basati sulla religione, ma che nulla con essa hanno a che fare, vengono utilizzati a livelli spiccioli e di contrasti individuali. Si invoca molto il nome di Dio, ma si prega poco… diceva di recente un intellettuale musulmano, ciò significa che non si tratta di fede, ma di risentimento…
    Occorre anche rilevare che la tesi illuminista che riposa sulla fiducia assoluta nella ragione in grado di dar conto di ogni problema, inclusi i temi religiosi, risulta gravemente carente. Non basta stabilire dei confini (“la mia libertà finisce dove comincia la tua...”) per risolvere il problema. Non si può più ignorare il contenuto di quel che si professa. È facile criticare le sette che propugnano il suicidio collettivo o chi propone la pedofilia come filosofia o l'incesto (ma perché non riflettere sull'andamento della poligamia e della poliandria sulla psicologia? Levy Strauss dell’Antropologia strutturale non è un dogma...).
    In conclusione, se la punizione tramite lapidazione (va detto che era praticata, in base alla Torah, anche dagli Ebrei) o, in generale, l'uccisione di chi professa una religione che si avversa, è legittima, significa che si viola la Carta fondamentale dei diritti dell'uomo che nessun credo può contrastare nell'assunto della libertà di coscienza, come direbbero gli illuministi; Rousseau, poi, era persuaso della bontà originaria dell’uomo, traviato dalla civiltà…
   Sembrano fatti piccoli, ma, come sappiamo dalla storia, da una piccola scintilla può poi divampare un grande incendio; così infatti è avvenuto in passato per le discriminazioni nei confronti di altri gruppi religiosi. Per questo non si può far finta di non vedere, di non sapere che dove vige la libertà di religione si può protestare per le discriminazioni, mentre in molte aree del mondo i cristiani rischiano la vita, se solo proclamano la propria fede.  Le prese di posizione devono essere concordi e rispettare tutti, almeno in Europa, dove invece Valls, di osservanza laicista (se non massonica come  anche il suo presidente?) annuncia un provvedimento contro antisemitismo e islamofobia... e i cristiani debbono forse fare la fine della selvaggina come al tempo di Nerone  al Vaticano o deve loro toccare in sorte di essere preda fisica come al Parc-aux-cerfs  sotto Luigi XV?


mercoledì 8 aprile 2015

CHI TACE ACCONSENTE


Carlo Biancheri

Chi tace acconsente era uno degli slogans delle manifestazioni contro i bombardamenti americani nella guerra in Vietnam, bombardamenti di cui gli americani si sono scusati, nel tempo, con le Autorità vietnamite e che hanno provocato le stragi col napalm, ben descritte in films come Apocalypse now. Oggi abbiamo dovuto ascoltare sui media, così solerti a riprenderlo, il Salvini che con un linguaggio consono ad una cultura fascista come quella della socia Le Pen che, per noi, oltre ad essere del tutto priva di senso, è incivile, ha preconizzato di radere al suolo i campi Rom. Facciamo grazia ai lettori  di considerazioni sul sapere del personaggio del tutto all'oscuro di ciò che un politico dovrebbe conoscere, trattandosi di dati elementari quali i diritti umani, riconosciuti dalle Nazioni Unite, motivo per cui il suo eloquio assume carattere grottesco come quello del  borghese gentiluomo di Molière: inutile rispondere con argomenti a chi si esprime in modo truculento. Ci pare, invece, assordante il silenzio dell'arcivescovo di Milano e del Patriarca di Venezia che i sodali di questo personaggio ce li hanno in casa. Abbiamo visto il cardinale Scola alla Consob avventurarsi in improbabili lezioni di etica sul mercato finanziario, lanciarsi in omelie con molte citazioni di non sempre chiaro richiamo evangelico, ma non lo abbiamo mai sentito prendere di petto le critiche leghiste alla Chiesa, specie se squallide ed insensate, o gli scandali che hanno coinvolto eminenti personaggi del movimento CL. Non ci pare molto in sintonia col papa la sua pastorale ed essendo la sua la maggior diocesi d'Europa, questo è un problema... La diocesi di Milano, ben viva in altri tempi, ci pare ingrigita: è possibile che dei cristiani o sedicenti tali votino Maroni che oggettivamente non ha alcunché di cristiano? Oppure gente del cerchio Berlusconi, iscritto, come noto, alla P2? In questo blog non crediamo affatto che si possa desumere dalla fede una linea politica, ma l'ispirazione cristiana rileva eccome e ci sono valori umani e cristiani ad un tempo che vanno difesi, altrimenti si è in pieno indifferentismo e la Caritas Christi urget nos dove va a finire? E allora l'agnello della Chiesa di Milano tace come don Abbondio? Gli basta cappone e Perpetua? Si è dimenticato delle parole che il cardinale Ferderigo rivolge al parroco in questione: che cosa vi ha promesso la Chiesa quando vi presentaste ad essa? Forse che avreste avuto salva la vita o non vi ha forse detto, ecco io vi mando come agnelli tra i lupi...? Non pensa allo scandalo che genera nelle pecore a lei affidate? Analoghe considerazioni possono esser fatte col genovese (!) Patriarca di Venezia e l'azzimato Zaia che si picca di conoscere I promessi sposi, ma sbaglia periodo storico... Soprattutto insiste con un federalismo che ha moltiplicato la corruzione, producendo una classe politica che spesso non ha mai lavorato, perché ha precisamente fatto della politica la sua professione! Cosa volete che sappia? Viviamo in un tempo di martiri per la fede: che tristezza il cinismo del sopire e sedare... in casa propria!



martedì 7 aprile 2015

SUL MASSACRO DI GARISSA

   

Rosa Elisa Giangoia

   Di fronte ai sempre più frequenti e gravi attentati di mano musulmana che colpiscono l’Occidente e soprattutto i cristiani nei paesi musulmani (ma anche i musulmani stessi di diversa tradizione), dove al massimo è garantita la libertà di culto, pur sempre con varie limitazioni, le prese di posizione nel mondo occidentale e in particolare in quello cattolico sono variegate e richiedono di essere attentamente considerate.
   Da un lato, ci sono i cattolici tradizionalisti che propongono un impraticabile ritorno allo spirito bellicoso delle crociate, mentre la maggioranza dell’opinione pubblica europea è nella posizione di difendere genericamente la libertà di opinione e di espressione, cioè quei diritti umani di matrice illuministica, che, come direbbe Marx  sono libertà ‘formali’, cioè rimangono senza prassi, in quanto al sistema capitalistico servono come facciata, senza alcun impegno per la loro piena realizzazione, in quanto occorrerebbe che venissero date a tutti uguali possibilità per attuarli.
   Più difficile prendere posizione per i 150 ragazzi kenyoti massacrati a Garissa con la precisa motivazione del loro essere cristiani, in quanto emerge il timore dell’integralismo, come ha ben dimostrato l’atteggiamento del premier Renzi, che ha vegliato e marciato per i 12 di Charlie Hebdo, colpiti in quanto rappresentanti l’ideale illuministico di libertà d’opinione e di espressione, ma che ha dedicato solo uno striminzito tweet ai 150 studenti uccisi in Kenya, a cui il mondo non ha riservato marce di solidarietà, né manifestazioni simboliche di massa, proprio per il minore coinvolgimento riguardo alla difesa della libertà di culto, su cui possono pesare anche riserve per opportunismo politico o credo laicista/massonico.
   A levare una voce ferma ed equilibrata è stato ancora una volta papa Francesco  che, salutando il lunedì dell’Angelo i pellegrini in piazza San Pietro e in particolare la delegazione del Movimento Shalom, arrivata all’ultima tappa della staffetta solidale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo, ha detto che «deve continuare da parte di tutti il cammino spirituale di preghiera intensa, di partecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli». Inoltre ha «auspicato che la Comunità Internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Auspico veramente che la Comunità Internazionale non volga lo sguardo dall’altra parte».
   Questa vibrante protesta del Papa va certo oltre i singoli recenti gravi episodi di violenza e punta il dito contro il sempre più diffuso modo di vivere inerte, indifferente soprattutto al rispetto della persona la cui libertà di culto fa parte dei diritti fondamentali proclamati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Perché siamo arrivati a questo punto? Non eravamo tutti convinti con lo sviluppo scientifico e con le certezze assolute di matrice hegeliana… che nella Storia ci fosse un progresso costante se non lineare? Nemmeno nazismo, fascismo e comunismo sono bastati a mettere in crisi questa credenza. Ma oggi… con queste uccisioni efferate, con la distruzione di monumenti della nostra storia, la nostra memoria, rimaste indenni per oltre tremila anni  e distrutte ora da folli che hanno mano libera da parte di potenze distratte, forse qualcosa cambierà….
Certo l’Arabia Saudita, certo la Turchia di Erdogan, certo alcuni Emirati, certo gli Sciti, nuovi alleati dell’Occidente… sono tutti responsabili, ma chi tira le fila? Nessuno…?
Quel che succede adesso è in buona parte il risultato di errori epocali di una politica americana ottusa, iniziata con Reagan e continuata da tutti i Presidenti che si sono succeduti fino all’intellettuale Obama che guarda il mondo da lontano. Chi conosca gli Stati Uniti sa benissimo che il mondo è  percepito da là quasi fosse un altro pianeta, Europa inclusa;  assume rilevanza solo quando siano in gioco interessi statunitensi, siano essi commerciali o militari. Si è voluto, in modo illuministico, esportare il modello occidentale, anzi quello americano, in contesti del tutto alieni; del resto il modello americano non funziona neppure negli Stati Uniti: forse non c’è razzismo negli Stati Uniti? Non parliamo dei neri ma un italiano non viene comunemente associato a mafia ,pizza e mandolino nel pensare comune?
Senza il rispetto per le persone, l’inclusione, l’ascolto culturale si continueranno a fare disastri e prevarrà solo il più forte, ma… sarà la corsa dell’asino che si ferma dopo cento metri…




giovedì 2 aprile 2015

ALLA SCUOLA DEGLI ASINI: FATTI MATERIALI RILEVANTI... NEL FALSO IN BILANCIO

   
Carlo Biancheri

   L’abbiamo detto più volte in questo blog: abbiamo sin qui esitato ad attaccare l’attor giovine, come si diceva un tempo nelle compagnie di giro, di Pontassieve perché coloro che lo hanno preceduto non si sono distinti, nonostante le dichiarazioni cantilenanti sino alla noia, per il bene operare; anzi, il loro motto segreto ci pare esser quello del conte zio de I promessi Sposi dell’amato Manzoni: «sopire e sedare…».
   Ma… oggi  è stata approvata da un ramo del Parlamento una norma sul falso in bilancio, già soppresso come reato dal governo del pregiudicato Berlusconi. Bene, direte voi… Sì, ma… voi potete spiegarmi quali siano i fatti non materiali, fatta eccezione per i miracoli ed escluso l’avviamento e le stime (sono fatti?)? E qual è la differenza tra materiali e rilevanti? Per caso, qualche discolo degli ultimi banchi di scuola è stato chiamato a scrivere il testo e ha scopiazzato dalla norma inglese la parola material cioè “importante”, “rilevante”, traducendola con “materiale”, come nella versione italiana degli IFRS? Oppure è uno che sa l’inglese come i nostri politici che non smettono di dire, per far vedere che loro sì che hanno studiato (!), Good work, suscitando l’ilarità degli interlocutori? Oppure è un esperto come le segnorine della tv o quei conduttori che considerano una promozione culturale dire ‘buon pomeriggio’, ma… non dicono, nel contempo, buona mattina…; forse per loro il giorno (buono) finisce a mezzogiorno?
   Quindi il signor sotutto di Pontassieve (va detto che ne sa ben di più dei fannulloni del Parlamento Europeo come è stato definito il Salvini: «lei, Salvini, è un fannullone va sempre in televisione ma non ha fatto, come relatore, quello che doveva nel Comitato…» o degli adepti della setta che vogliono comprendere le ragioni dell’Isis ) desidera che sia punito chi omette di rendere pubblici o  falsifica fatti materiali rilevanti nei bilanci delle società quotate o non quotate. Lo scrivano di cui sopra si è ben guardato, abituato com’è a fermarsi alla prima osteria, come si dice a Roma, di indicare cosa sia material (per gli anglosassoni) o rilevante (per gli italici). Infatti la materialità o rilevanza nei testi di legge di tradizione anglosassone è stabilita normalmente da una soglia di valore numerico: per esempio, il 10% di determinati assets o, per meglio dire, di voci di bilancio… Il relatore della norma, udite, udite… quando gli si è chiesta una spiegazione al riguardo si è pure adombrato: queste cose le decide la giurisprudenza e non seccate, è stata la risposta!     Uhm… si approvano norme che sono già incerte e rinviano all’interprete in prima stesura? Non è un bell’operare anche perché in un paese di azzeccagarbugli che esprimono aria fritta con la prosopopea di Pericle è prevedibile un profluvio di ricorsi.
   Abbiamo preso questo esempio per contrastare la moda futurista, marinettiana della modernità, del giovanilismo, della velocità e del fare a tutti i costi perché… si possono anche fare delle sciocchezze e il politico non può dire: «scusate, ho sbagliato», perché ormai la frittata è fatta…
L’arroganza  è cattiva consigliera: S. Tommaso ed Aristotele del resto dicevano che le idee vanno difese con passione, ma il giudizio deve esser scevro dalla passione…
   E di arroganza ne vediamo in giro. Facciamo un esempio: un economista, digiuno di diritto, non può dire a proposito delle pensioni d’oro, pure scandalose in certi casi, chi se ne importa dei diritti acquisiti... Così ragionava Robespierre… Se io faccio un contratto, la parte forte non può poi rimetterlo in discussione perché si apre un vulnus, si costituisce un precedente che può anche portare, ad esempio, in una concessione, a cambiare i termini del contratto anche quando un privato ha fatto un investimento…; si tratta, ci sembra, di arbitrio. Diverso  e sacrosanto è, invece, disciplinare una fattispecie per il futuro.
Dunque, caro attor giovine, che non ci hai ascoltati quando ti dicevamo di non intestardirti per il bene del Paese sulla nomina della Mogherini, non vale il fare purchessia ma bisogna guardare al contenuto di quel che si fà ed alle conseguenze: si parva licet



domenica 8 marzo 2015

UN LIBRO DA LEGGERE

Introduzione

Carlo Biancheri

 Questa settimana per i tipi de Il Mulino esce nelle librerie la seconda edizione  dell’opera di un filosofo, Francesco Calvo, scomparso prematuramente nel 2001, intitolata Cercare l’uomo – Socrate, Platone, Aristotele.
  Paul Ricoeur ha scritto l’introduzione riconoscendone l’originalità e la profondità del pensiero e la perfetta conoscenza della filosofia antica, moderna e contemporanea. Calvo veniva da una formazione kantiana, come allievo di Emilio Garroni, ma ha avvertito  che una filosofia ridotta ad epistemologia o a gioco linguistico non conduceva da nessuna parte; da qui l’approfondimento dei classici greci e del pensiero medievale che si presentano come una singolare risposta ad un’esigenza di senso e di ‘fondamento’ che viene avanzata nel nostro tempo e che va ben al di là della ricerca individualistica post-romantica dei filosofi del Novecento. Essere invece di apparire, cercare un fondamento che non sia semplicemente un prodotto storico transeunte: cerco l’uomo, la sua verità, questo è l’obiettivo dell’opera di Francesco Calvo.


Recensione

Rosa Elisa Giangoia


    Come afferma Wittgenstein nel Tractatus, in filosofia o si è realisti o si è idealisti. Oggi sembra fondamentale riprendere il discorso sul realismo, non tanto di tipo scientifico, né pragmatico, né tanto meno ingenuo, ma quello classico di realismo metafisico, secondo cui esiste una realtà al di fuori del soggetto.
    A questo scopo è senz'altro determinante l’opera Cercare l’uomo. Socrate Platone Aristotele Il Mulino, Bologna 2014) di Francesco Calvo che riprende il discorso a partire dai tre grandi filosofi classici, fondamentali per il pensiero occidentale, non alla ricerca di approfondimenti e nuove interpretazioni, ma con l’impegno intellettuale di un filosofo che, attraverso un attento lavoro sui loro testi, crea un sistema di pensiero da proporre all'uomo di oggi per aiutarlo a comprendere  “il che cos’è delle cose”.
   L’originalità di quest’opera sta innanzitutto nel proporre un’attenta interpretazione di Socrate visto come il seme intellettuale del pensiero fondato sull'ontologia, da cui trarranno spunto Platone ed Aristotele, pur in modi e con esiti diversi. Infatti il «conosci te stesso» di Socrate viene spogliato della mera valenza etica per conferirgli un connotato metafisico, onde dar vita alla triade coscienza di sé – ignoranza – dialogo, nella ricerca del «bene per l’uomo», fino alla consapevolezza dell’ignoranza, come ignoranza del trascendentale, individuato come «ciò che distoglie e solleva ogni conoscenza particolare dalla sua centralità esclusiva».
   Tutto questo è possibile proprio perché Francesco Calvo recupera e pone a fondamento del suo pensiero il realismo in senso classico per cui il concetto di natura viene letto nel senso superiore di “principio” ed egli non teme di parlare di sostanza. In questa prospettiva l’indagare sull'uomo, su cosa debba fare e fino a quale termine, viene portato avanti nella consapevolezza di qualcosa di oggettivo che trascende e fonda la sfera della pura personalità individuale.
    Per quanto riguarda l’etica, è opportuno che venga sfatata la leggenda che fondatori ne siano stati gli Stoici ed in particolare Seneca che, immettendola nel mondo romano, l’ha consegnata alla tradizione, in quanto «Tutte le dottrine etiche e politiche di Aristotele sono, da un punto di vista filosofico, altrettante esplicazioni fenomenologiche dell’essere dell’uomo nel suo aver-da-essere». In Aristotele, infatti,  l’atto legato all'aver-da-essere centra  tutto sull'attuazione, condizione di disvelamento dell’essenza umana e delle sue potenzialità.
   Analizzando il pensiero di Platone, pur nella consapevolezza del suo intento «di filosofare sub specie Socratis», Francesco Calvo prende il suo dualismo antropologico e la conseguente differenziazione tra il corpo e l’anima (nella sfaccettatura di noùs, pnéuma psyché) come punto d’indagine sulle sue aporie per arrivare alla giustificazione della morte con l’innalzamento dell’immortalità (Fedone), che diventa legame intrinseco tra l’anima e l’oggetto assoluto. Per l’anima l’imperativo di liberarsi dal corpo viene corroborato dall'esercizio dialettico nella sua totalità, esperienza in cui essa percepisce la solitudine nel colloquio con se stessa in un monismo al di sopra del dualismo, accompagnato dalla dialettica dell'éros. In questo modo il «conosci te stesso» socratico, quale unione del sé e del bene oggettivo, si arricchisce dell’esperienza del Bello, capace di unire il momento “esistenziale” e quello “oggettivo”, grazie al potere di attrazione che sa esercitare nel cuore del desiderio.
    Secondo Calvo, però, Platone non riesce ad uscire dal dualismo e in questo senso è scisso, in quanto il suo uomo ha la testa in cielo e  i piedi sulla terra. Questo problema del dualismo viene risolto da Calvo con la psicologia di Aristotele che,  contrariamente a Platone, rifiuta il dualismo superandolo nell'attualità: l’essenza, per così dire, si svela in atto, anche se atto e potenza sono co-principi metafisici, in quanto la forma si può definire come la materia in atto e la materia come la forma in potenza: è la teoria dell'ilemorfismo che unisce forma e sostanza nell'unità dell’ente, facendo dell’anima la forma del corpo.
     Anche se la questione del bene per l’uomo diventa il legame tra Socrate, Platone e Aristotele, per Calvo la questione della «vita buona» e dell’«agire bene» - in base ad una corretta lettura di Aristotele - non si deve ridurre ad una semplice questione morale. Infatti in Aristotele non è possibile circoscrivere il compito dell’uomo senza aver preliminarmente affrontato la difficile questione dell’ «essere-uomo» in quanto tale. Soprattutto non si può trattare dell’uomo come essere-politico, e neppure del suo statuto come «animale razionale», senza essersi prima confrontati con la problematica della sostanza. A questo punto l’analisi di Francesco Calvo diventa complessa in una serrata elaborazione concettuale fino all'individuazione della sostanza dell’uomo in quell'essere che è «un essere che ha da essere», cioè del vivere nella tensione verso una “forma” che è la realizzazione dell’uomo in quanto tale. Di qui l’etica, che si sostanzia di un’antropologia filosofica e che si prefigge un preciso obiettivo, per cui si differenzia nettamente dalla morale kantiana di tipo prettamente formale, tesa ad illustrare la forma della morale, ma non il suo contenuto che si esplicita in norme morali. Per questo, secondo l’elaborazione di Calvo, l’aver-da-essere della sostanza uomo è il suo compito che si realizza nella «tensione appropriata» della potenza in cui l’ontologia si lega all'etica e alla psicologia. In queste relazioni entra in gioco la dialettica del “proprio” e del “comune” che si esprime specificatamente nell’amicizia, in cui il bene coordina l’esclusività del “proprio” e la condivisione del “comune” nella coincidenza dell’amicizia per se stessi e dell’amicizia per l’altro, in cui si realizza quel “bene” fondamentale della gioia insita nel vivere, presente già in Socrate.
    Secondo Aristotele, l’amicizia tratteggia una specie di modello in scala ridotta e ridimensionata del legame politico, nel quale l’“autarchia” dell’individuo diventa modello emblematico della possibilità di realizzazione dello stato, in quanto chi realizza il bene individuale realizza nello stesso tempo quello collettivo. Ed allora il cerchio si chiuderà nella convinzione che una buona fenomenologia dell’amicizia richiede una buona conoscenza del fondamento primo dell’uomo in base al quale si costruisce tutto il suo modo di essere. In definitiva la pienezza umana si svela nella sua attualità e in questo il Kant della Critica del giudizio non dista molto.
    Queste le linee essenziali di questo saggio, che viene ripubblicato dopo alcuni decenni dalla prima edizione, proprio per la sua attualità dovuta alla capacità di rispondere a tante domande rimaste ancor oggi insolute.
     Questa è l’originalità del libro, in contrapposizione a molte delle più recenti e accreditate posizioni filosofiche contemporanee, così diffuse anche in alcune correnti cristiane, che tratteggiano un Tommaso d’Aquino quasi platonico e idealista, accomunate dal muoversi sulla coscienza di sé, dell’io, in un circuito in ultima analisi cartesiano, incapaci di comprendere che l’io si fonda su un sub-strato ontologico e che non crea il reale, per cui, per la piena comprensione e la completa realizzazione dell’uomo, occorre un upokéimenon, il sostrato, la sostanza che fonda l'essere uomo contro l’idealismo della fenomenologia che centra tutto sul soggetto e sulla sua ragione soggettiva.