giovedì 22 novembre 2012

IL TABLET A SCUOLA

   
Rosa Elisa Giangoia

      La promessa, fatta qualche giorno fa dal Ministro della Pubblica Istruzione Francesco Profumo in occasione del Salone Internazionale dell’Educazione di Genova, di fornire un tablet ad ogni studente ha suscitato, dato anche il notevole impegno economico che richiede, parecchie discussioni. Da quelle un po’ scontate che i fondi sarebbe meglio destinarli al ripristino degli edifici scolastici che hanno grossi problemi di manutenzione (è di ieri la notizia dello sgombero parziale di un liceo a Genova per ragioni di sicurezza), a quelle basate sui calcoli secondo cui i costi per le famiglie non sarebbero molto inferiori a quelli per l’acquisto dei libri di testo, alle osservazioni sulla preventiva necessità di dotare le scuole di buoni collegamenti in rete e di aggiornare gli insegnanti sull’uso proficuo degli strumenti digitali, alla fragilità dell’oggetto-tablet in mano ai ragazzi, ecc. ecc.
     Il discorso, però, va spostato su un altro piano di dibattitto. E’ ovvio, come ha detto lo stesso Ministro, che  la scuola italiana è di fronte a un passaggio epocale, che si può paragonare solo con quello avvenuto con Gutenberg, che ha portato dal libro scritto al libro stampato (ben analizzato nei suoi risvolti culturali da E.Eisestein in La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986). Le nuove tecnologie sono l’elemento fondamentale di questo cambiamento,  che non si può ignorare, da cui non si può tornare indietro, né tantomeno escludere dalla scuola, lasciando la tecnologia in mano ai giovani in modo casuale ed individuale.  L’importante però è avere ben  presente che le tecnologie sono solo un mezzo, per cui la questione fondamentale riguarda la cultura da fornire oggi a scuola, anche  grazie alle nuove tecnologia, con un ripensamento ampio e profondo, che proprio da questa nuova opportunità può essere favorito e messo in atto.
     Occorre anche tener presente alcuni aspetti che caratterizzano la realtà dei giovani che oggi frequentano la scuola: il progressivo allargarsi della licealizzazione che ha perso i suoi caratteri elitari sia sociali che culturali, la caduta delle acquisizioni di competenze tecniche, la sempre più ampia presenza di bambini e ragazzi provenienti da altri paesi.
    Tutto questo richiede un profondo ripensamento del che cosa e del come la scuola deve insegnare, perché solo così, non attraverso scorciatoie e semplificazioni, può avvenire quel rinnovamento che sappia fare della scuola la base umana e culturale di ogni persona.
    Il dibattito, a questo fine, dovrebbe essere ampio e articolato, con apporti di molte componenti e ricchezza di competenze.
    Il primo interrogativo che si pone riguarda il difficile bilanciamento tra materie umanistiche e formazione tecnico-scientifica. Soprattutto è da tener ben presente il fine della scuola, che non è quello di formare semplicemente dei lavoratori, bensì quello di creare degli uomini, sviluppando tutte le potenzialità possibili, per farne soggetti solidi ed equilibrati. A questo fine gli insegnamenti umanistici ed artistici costituiscono la base per la libertà e l’ autonomia di pensiero, per la creatività e la comprensione dell’altro.  Se l’insegnamento è unicamente finalizzato all’efficienza e al profitto nel lavoro, avremo forse macchine umane valide, ma poco libere e poco capaci di comprendere, ragionare, criticare, creare. Determinante è  imparare a confrontarsi con gli altri, con le fragilità proprie e altrui, saper evitare il conformismo e gli stereotipi, coltivare le capacità di dissentire e di assumersi delle responsabilità, formando i propri ragionamenti ed i propri giudizi in autonomia. Per questo la cultura umanistica è fondamentale, in quanto aiuta ad acquisire la capacità di astrarre, di porre dei dubbi, di superare le prospettive settoriali per più ampie visioni d’insieme. Le competenze tecnico-scientifiche devono rappresentare un bagaglio, sostenuto dalla duttilità mentale che permetta un continuo aggiornamento ed una costante capacità di continuare ad imparare per tutta la vita, indispensabile per i costanti e rapidi cambiamenti che sempre più avvengono in tutti i campi operativi. Per questo ed anche per il fatto che sempre più i problemi hanno portata mondiale e vanno affrontati con persone anche molto diverse, servirà quello che genericamente possiamo chiamare l’”umanesimo”, che sappia sostenere il sapere fattuale con la dialettica,  la sensibilità e la capacità di comprensione, con quella “finezza” personale ed intellettuale che solo il mondo dell’immaginazione e della creazione artistica sa dare.
        Messi a fuoco con chiarezza questi obiettivi da perseguire, allora i tablet possono diventare uno strumento importante, purché rimangano tali, cioè strumenti, capaci di fornire possibilità enormi e di aprire orizzonti sconfinati. Ma per questo non basta dotare dello strumento tecnologico gli scolari e gli studenti italiani, occorre creare percorsi didattici nuovi e validi, in cui il critico letterario, il filosofo, lo storico dell’arte ed altri ancora potrebbero diventare, insieme ai colleghi informatici e ai bibliotecari tecnologicamente preparati, protagonisti di veri e propri laboratori delle idee, laboratori virtuali, nella maggior parte dei casi, centri di formazione e diffusione del pensiero che, acquisito in modo più facile ed efficace  dai giovani,  possa dare un contributo stabile e duraturo alla vita del terzo millennio. Tutto questo, però, rischia di restare lettera morte se non si preparano in modo opportuno e completo gli insegnanti, se si continua a lasciare la didattica alla casualità, all’improvvisazione e all’attività individuale di docenti poco motivati per condizione economica e precarietà lavorativa, con conseguente perdita di prestigio e considerazione sociale.


9 commenti:

  1. Sempre grande la nostra prof.! informata, aggiornata, attenta a quello che continua a succedere a scuola. Critica al punto giusto, propositiva piuttosto, con larghi orizzonti culturali.

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  2. Cara prof. Giangoia, lei ha glissato sul fatto che i tablet sono già entrati nella scuola, nel senso che in molte ne è stato messo uno in ogni classe da usare al posto del registro: vedesse che disastro! La maggior parte degli insegnanti (anche giovani) non aveva mai visto quel “coso” (come lo chiamano molti di loro) e non sanno nemmeno come fare per accenderlo! Per questo in classe nascono delle gazzarre e si perde almeno un quarto d’ora ogni lezione per registrare le cose necessarie e poi ci sono anche degli insegnanti che nemmeno si sognano di imparare ad usarlo e così dall’inizio dell’anno non hanno ancora registrato niente, né assenze, né voti: scrivono su dei loro quadernini che portano (illegalmente) fuori dalla scuola e poi si vedrà. Certo che si capisce benissimo che è stata tutta una manovra per far guadagnare qualcuno (naturalmente i soliti “amici”), perché di questo “coso” a scuola nessuno ne sentiva la necessità, non migliora niente, non aiuta nessuno e poi non c’è nessuna categoria di lavoratori a cui vengano introdotte delle grosse modifiche nelle loro procedure di lavoro senza che si faccia fare un minimo di aggiornamento in orario lavorativo. Qui tutto è stato lasciato al caso, alla buona volontà individuale, per cui questi “cosi”, una volta entrati in classe anche se non venissero utilizzati non importa niente a nessuno, basta che ci siano, cioè che siano stati acquistati dal Ministero e ovviamente pagati con i nostri soldi di contribuenti, che magari potevano essere impiegati molto meglio in altre cose più utili e funzionali.

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  3. Questo paese non andrà mai avanti se quelli che hanno l'altissima responsabilità di insegnare non si peritano di adeguarsi,imparando anche se avanti con gli anni,le nuove tecnologie...E' possibile che ci sia stato un qualche interesse a far comprare dalle finanze pubbliche un buon numero di aggeggi elettronici, ma se questo semplifica alla lunga il lavoro perché rifiutare un'innovazione? Dobbiamo forse tornare a scrivere con pennino ed inchiostro giacché le lettere erano più rotonde?

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  4. Salve, prof! Si immagina che fine faranno i tablet dati in dotazione ad ogni studente? si ricorda le macchinette calcolatrici che ci avevano dato in classe e che dopo neanche un mese erano tutte rotte o sparite? e quei vocabolari di latino e di greco, se li ricorda? finiti al Libraccio e lei che li ha ricomprati per non aggravare troppo la situazione. I tablet finiranno in testa ad altri studenti, a pezzi per terra e sul mercato nero... e poi leggere tanto sul tablet fa anche male agli occhi.
    Lo sa che mi sono laureato in medicina?


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  5. Sarà compito e cura degli insegnanti responsabilizzare gli studenti, soprattutto motivandoli sull’utilità delle nuove dotazioni e sorvegliare con attenzione la vita in classe.
    Il deterioramento delle macchinette calcolatrici non era avvenuto del tutto casualmente... quando i professori si addormentano in classe...

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  6. Non sono d’accordo con quanto scrive Biancheri, perché è stata fatta questa grandissima spesa per dotare tutte le classi di un tablet come registro di classe al posto di quelli cartacei e non si può certo sostenere che questa fosse una necessità prioritaria della scuola italiana, che, come hanno evidenziato nelle manifestazioni di ieri insegnanti, studenti e genitori è stata sottoposta recentemente ad ingenti tagli che ne pregiudicano la funzionalità didattica. Siccome queste spese si fanno con i soldi di noi contribuenti, che per tenere questo regime di tassazione così alto che il governo ci ha imposto in quest’ultimo anno, stiamo facendo anche dei grossi sacrifici personali e famigliari, penso che da parte del governo ci dovrebbe essere la massima oculatezza nello spendere, destinando i pochi fondi messi a disposizione delle scuole per quanto è prioritario e più necessario.

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  7. Passare dal cartaceo all’informatizzazione è un processo ormai ineludibile in tutta la pubblica amministrazione, anche per eliminare l’accumulo di materiale cartaceo, pur sempre ingombrante e a rischio, di fronte alla cui utilità può rimanere indifferente solo l’”asin bigio” del Carducci che “rosicchiando un cardo rosso e turchino non si scomodò” al passare del treno!

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  8. I testi che voi postate hanno sempre qualcosa di più: si vede bene se si confronta il vostro argomentare con la pochezza e vacuità degli slogan che campeggiavano ieri sugli striscioni e che venivano scanditi dai cori. Cose trite e ritrite, semplificazioni, nessuna capacità di far emergere un progetto articolato, un piano complesso e organico. Solo frasi del tipo “più soldi alla scuola”, ma senza mai dire per cosa fare, “fuori i privati dalle scuole”, ma senza dire perché e senza ricordare che negli anni 60-70 gli istituti tecnici e professionali a Torino e Milano ecc., che avevano dentro (con i modi allora possibili) la FIAT, la PIRELLI e altri del genere andavano benissimo e si preparavano dei tecnici che appena diplomati trovavano lavoro. Poi la formazione di questo tipo è stata lasciata decadere, le aziende se ne sono disinteressate e hanno cominciato ad uscire diplomati con scarsissime competenze, conoscenze e abilità e quindi, per questo, sempre più in difficoltà a trovare un lavoro.

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  9. Sì! e questo andazzo è iniziato, ahime', nel Sessantotto con l'idolatria di Marcuse, marxista 'creativo', diciamo così..., e che ha dato la stura per conciare la scuola per le feste. La confusione tra libertà e licenza l'ha fatta da padrone; ognuno in forza del 'flusso' di liberazione si è sentito autorizzato a comportarsi come i marinai/nocchieri di Platone che volevano prender il posto del vecchio comandante. Nell'idolatria dell'individuo (opposto a collettività, direbbe Marx)emergono dei comportamenti chiaramente disturbati, a livello collettivo. Assistiamo ad autoincensazioni continue e manca totalmente quel che la scuola dovrebbe insegnare:l'autocritica, presupposto indispensabile per cercare ciò che è vero.Per amare davvero sé stessi bisogna amare la vita tutta intera che include gli altri.

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