Carlo Biancheri
Genova è una città poco conosciuta in Italia. Divisa dalla
pianura celtica dagli Appennini, ha rotto l’isolamento, nel ventennio fascista,
quando venne costruita la camionale che consentiva di collegare il porto di
Genova a Serravalle e quindi alla pianura padana. Chi viveva in quelle zone di
pianura fino agli anni ’60, sebbene distante una cinquantina di
chilometri dalla città, apparteneva ad un altro universo e la canzone Genova
per noi… rende molto bene l’idea. Pochi sanno che la gente di
campagna non andava al mare e anche i contadini delle Cinque Terre, che lo
avevano davanti agli occhi con quella luce che solo i quadri di Rubaldo Merello
hanno espresso così bene, stavano sulle ‘fasce’ a coltivare, mentre i pescatori
vivevano nel borgo ed il mare era il loro elemento.
La storia di Genova è quella di una città, repubblica
oligarchica, che è stata tale per settecento anni. Dopo il
bombardamento del 1684 da parte delle navi francesi, per punire la
città alleata degli Spagnoli e che resistette all’invasione di ben
quattromila fanti, il Doge Francesco Maria Lercari Imperiale si recò a
Versailles come riparazione per i presunti torti inflitti dalla
Repubblica ai Francesi. I cortigiani del Re Sole gli chiesero che cosa lo
avesse colpito di più della Reggia, considerata l’edificio più importante del
tempo : “Mi chi” rispose, intendendo ’il fatto di trovarmi qui in queste
condizioni’.
‘Estote omnes marchiones’ aveva detto l’astuto
politico Carlo V, entrando in città, ai nobili/mercanti che volevano
primeggiare tra loro e che avevano costituito delle sorte di grandi aziende di
cui facevano parte famiglia e ‘clienti’ che vivevano tutti nella stessa zona,
accanto al palazzo… A Istanbul avevano costruito la Torre dei Galati, per
difendere i loro beni, lavorando continuativamente uomini, donne e bambini (…)
per ventiquattro ore al giorno. Furono facilmente giansenisti i genovesi, cioè
i calvinisti cattolici, e Genova, non a caso, è la città più simile a Ginevra ,
perché i simboli sono quasi gli stessi: i palazzi segno di rispettabilità, la
ricchezza come valore e riuscita nella vita, l’austerità; se si ostentava era
per ricavarne prestigio: la vita sembra essere un duro compito per i genovesi. La buona fama è sempre stata molto importante,
tanto che l’espressione ‘essere col culo per terra, che qualificava i falliti,
significava aver ‘tradito’ la fiducia dei creditori. I falliti nel
commercio, infatti, venivano sbattuti per terra per tre volte in piazza Banchi,
nel cuore della città antica, fratturandosi il bacino, nella maggior parte dei
casi. Sulle navi genovesi c’era il diritto al ‘mugugno’, cioè a lamentarsi di
tutto e ancor oggi, se chiedete ad un vero genovese come va, facilmente vi dirà
che ci sono diverse cose che non vanno… Govi è stato un maestro al riguardo. Gente
a parte, odiati da Dante e poco popolari nel paese, come dimostra lo
scarso sostegno del governo centrale negli ultimi cinquant’anni.
Non ritroviamo quasi niente di tutto ciò nel pregiudicato
Grillo; riteniamo che non abbia dimestichezza con questi argomenti, tranne per
uno: la continua lamentela che diventa una cantilena orientale come le
terre dove i genovesi avevano le loro piazzeforti, Smirne, ad esempio.
Apprendiamo, dunque, che gli esponenti della setta, non a
caso costituita il 4 di Ottobre… -ma veramente san Francesco è morto il 3
Ottobre …, il 4 Ottobre si celebra la festa…- si considerano i moderni
francescani!
Uhm… vediamo un po’.
Innanzitutto sapranno delle nozze tra Francesco piccolino e
Madonna povertà, ma… il comico Grillo dove abita? Non sa che
Francesco voleva vivere solo in capanne e che tornando da un viaggio alla
Porziuncola lo trattennero a fatica perché buttava via le tegole dal convento
dei frati che il Comune di Assisi, in sua assenza, aveva fatto costruire?
La villa con vista mozzafiato sulle alture di Genova la
diamo alla fondazione Raoul Foullereau per l’opera lebbrosi che Francesco
abbracciava?
Gli occhiali griffati che il comico in disarmo sfoggia in
ogni occasione, quelli occorre abbandonarli subito, giacché Francesco piccolino
portava una tonaca, il vestito dei contadini del tempo, e le ‘braghe’,
rattoppate e ci teneva…: se il comico Grillo è interessato, può andare a
vederle al santuario de La Verna, il luogo delle stimmate, dove sono conservate…
Contrariamente a quel che si crede, Francesco non era
pauperista. Aveva dato tutto perché voleva identificarsi col Signore poverello
e Dante esprime ciò molto bene con i seguaci che corrono scalzi dietro a
Francesco e alla sua Sposa; “la Sua voluntade sia la vostra pace”, si legge a
La Verna. Come lui i suoi seguaci, in primis, Bernardo,
l’uomo più ricco di Assisi, che distribuì tutti i suoi beni ai poveri molto
rapidamente. Era bello Bernardo e infatti durante la questua a lui, che
suscitava la simpatia della gente, davano pani interi, mentre a Francesco
piccolino pezzetti avanzati di cui era felicissimo, perché ciò significava
essere con gli ultimi. Un giorno arriva uno vestito di ricche vesti e i frati
corrono ad annunciarlo a Francesco stupiti…, ma lui risponde che va benissimo,
perché potrà aiutare gli altri… Per la verità noi vediamo il comico in disarmo
trascorrere il suo tempo in resorts di lusso a Malindi, in Sardegna tra
uno yacht e l’altro, mentre il giovanottello fuoricorso, aspirante premier,
viene fotografato a Montecarlo… Uhm… nessuna assonanza, ci pare…
Francesco piccolino amava la vita, il creato, dono di Dio, e
a Greccio inventa il presepio umano per ricordare la nascita del Signore
‘poverello’. Il comico in disarmo sentenzia che non ci sono risposte semplici
su vita e morte: che vuol dire? Che qualche iniezioncina, ogni tanto, per
accelerare il trapasso non guasta? Proprio come san Francesco?
Se di moderni francescani si tratta, saranno tutti casti
quelli della setta. Francesco piccolino su questo era fermissimo, perché a chi
deviava diceva di lasciar subito la veste e di tornare nel mondo… Condivide
Grillo?
E finiamo con l’inno alle virtù di Francesco:
Dov’è carità e sapienza,
ivi non è timore né ignoranza.
Dov’è pazienza e umiltà,
ivi non è ira né turbamento.
Dov’è povertà con letizia,
ivi non è cupidigia né avarizia.
Dov’è quiete e meditazione,
ivi non è né preoccupazione né dissipazione.
Dov’è il timore del Signore a custodire la casa,
ivi il nemico non può trovare la via d’entrata.
Dov’è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza.
Proprio lo spirito dei cinquestelle…