domenica 24 marzo 2019

MA SI FANNO I FATTI?

Rosa Elisa Giangoia

Come ci ha insegnato Leo Spitzer (Critica stilistica e semantica storica, Bari: Laterza, 1966) il linguaggio è rivelatore, anche in modo personalmente inconsapevole, di un modo di pensare, di una visione della realtà. Se applichiamo questo principio alla recente affermazione del vice-presidente del Consiglio Luigi Di Maio, riferita al suo collega Matteo Salvini, "Lui ha il diritto di parlare, io il dovere di fare i fatti, come Ministro dello Sviluppo Economico", possiamo trarre conclusioni interessanti. Precisiamo che Di Maio rispondeva a chi lo interrogava riguardo alla perplessità di Salvini sul memorandum siglato con la Cina per la mancanza di libero mercato nel paese asiatico.  Innanzitutto dobbiamo rilevare che l'espressione "fare i fatti", con quello che le buone grammatiche dei tempi andati definivano "complemento dell'oggetto interno", è impropria nella sua tautologia, il che comporta ristrettezza espressiva e incapacità di ordinare le idee in uno sviluppo logico-consequenziale. Non è, però, una questione semplicemente sintattica, ma di insensatezza logica. In senso assoluto (cioè senza un complemento oggetto) si potrebbe usare il verbo "operare", ma in questo caso il discorso aveva bisogno di uno sviluppo: quali "fatti"? L'agire in sé non è di per sé positivo, dipende sempre da cosa si fà...
Dato che è facile che si operi una traslazione dalla confusione linguistica a quella delle idee di governo, la situazione si fà seria!