domenica 14 settembre 2014
A ME CHE IMPORTA? Carlo Biancheri
«A me che importa?» ha detto oggi il papa nel cimitero di Redipuglia citando Caino che così risponde a Dio riguardo alla sorte di suo fratello Abele. Si riferiva il papa all’insensatezza della guerra, come più volte ribadito dal magistero ordinario e da quello solenne della Chiesa, alle vite spezzate per nulla, alle tragedie dovute alla cupidigia degli imbecilli, reggitori di popoli. La vita è, in fondo, una scelta tra la ricerca della solidarietà, del vivere insieme, e la violenza, la prepotenza , l’egoismo.
‘Me ne frego’ diceva il Mussolini e i suoi fascisti e anche oggi gli epigoni, come quella donna apportatrice di divisione, aggressiva della Le Pen, seguono lo stesso approccio: ci sono io innanzi tutto, prima di tutto ed il resto deve esser subordinato ai desiderata soggettivi.
Per contrasto, si parva licet, ci vengono in mente le parole, a nostro avviso dissennate, del segretario di quel movimento leghista che auspica la fine di ‘Mare nostrum’ per lasciare chi fugge con bambini al loro destino: a me che importa? appunto… Anzi, c’è qualcuno del suo movimento che dice pure che i migranti se li deve prendere il papa in Vaticano… È mai possibile che i gestori dei mass media che spessissimo dimostrano nell’eloquio un’ignoranza crassa e la totale nescienza di ciò di cui parlano ci propinino in continuazione dichiarazioni di un personaggio politico, il Salvini, che va in viaggio col Razzi in Corea del Nord e che ce la descrive come una sorta di Svizzera? Come si formano le nuove generazioni a sentire queste sciocchezze? Non conosciamo la cultura del segretario leghista, ma se è al corrente della storia romana da cui noi continuiamo ad esser marcati (lasci perdere i celti che non hanno lasciato traccia, con buona pace del Miglio…) dovrebbe sapere: desertum fecerunt et pacem appellaverunt (hanno fatto un deserto e l’han chiamato pace…), come scrive Tacito.
A me che importa…
Forse è la chiave di questo tempo dell’effimero, del successo a tutti i costi, del denaro, del narcisismo, del fare senza sapere perché fare, del piacere ininterrotto, dell’angoscia e quindi della fuga, del sogno senza soluzione di continuità con la realtà. Caino è incapace di piangere, ha detto ancora il papa e, infatti, oggi quanti sono sensibili alle esigenze degli altri? Si piange per la morte dell’orsa, ma per la sorte di un povero? Che vita è questa? Non siamo per caso come al tempo dei monaci in Egitto che lasciavano Alessandria, sentina di vizi, per protesta e si rifugiavano nel deserto della Tebaide per ritrovare l’uomo. Nessun contemptus mundi come hanno scritto per secoli dei superficiali disinformati, ma protesta di fronte ad una società che aveva smarrito il volto dell’uomo. Anche noi oggi, mettendo al centro il benessere soggettivo, discettiamo di procreazione assistita per i singles o di eutanasia.
Alla fine dell’impero romano, lo abbiamo già ricordato, il prete pagano Svetonio, descrive i barbari che entrano in Roma e dice che i romani con vesti sontuose «e morivano e ridevano» (et…et… in latino indica simultaneità).Ci siamo?
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