Rosa Elisa Giangoia
Il
recente episodio della presenza della divinità inca Pachamama in alcune celebrazioni
durante il sinodo per l’Amazonia ha riportato l’attenzione sul rapporto tra
l’evangelizzazione e le culture su cui la predicazione cristiana si innesta.
Problema
ricorrente nella storia del Cristianesimo che trova la sua radice nella
predicazione del messaggio cristiano da parte di San Paolo. Anche papa
Francesco nell’udienza pubblica del 6 novembre u.s. ha evidenziato lo
«straordinario esempio di inculturazione del messaggio di fede», compiuto
dall’apostolo ad Atene, non «aggredendo gli adoratori di idoli, ma facendosi
“pontefice”, costruttore di ponti». Papa Francesco si riferisce ovviamente a
quanto si legge negli Atti degli Apostoli (17, 16-34) in cui Paolo
richiama l’attenzione dei suoi ascoltatori su un altare presente sull’Areopago
a “un dio ignoto” al cui riguardo dice: «Colui che, senza conoscerlo, voi
adorate, io ve lo annuncio».
Per capire a
fondo questo testo, occorre fare alcune precisazioni. Questo “dio ignoto” non
ha connotati, è un omaggio ad una divinità non definita, nello spirito
sincretistico del mondo greco, un mondo che nel suo politeismo si sforzava di
annoverare tutto il sovra-umano, avvalendosi dell’inclusività per mappare
sempre più completamente il divino, pur consapevole dell’impossibilità di
completezza. Per questo si aggiunge un “dio ignoto” per evitare di lasciar
fuori qualcuno. Paolo, estraneo alla mentalità e alla tradizione devozionale
del paganesimo, ne cambia profondamente il senso, in quanto supera l’idea di “un
dio ignoto” e presenta “il dio ignoto”, cioè il vero Dio, che non si
affianca e unisce agli altri, ma che, superando il limite del pluralismo
panteista, diventa il Dio unico e vero, diversificandosi completamente dalle
divinità del politeismo.
Poi Paolo
continua il confronto e la discussione «nella sinagoga con i giudei e gli
adoratori», ma anche «nell’agorà, giorno dopo giorno, con quelli che
incontrava».
Da
quest’azione missionaria di Paolo, che fin dall’inizio ha come linea guida la
κρίσις, ovvero il giudizio e il discernimento, hanno preso avvio i Padri della
Chiesa per riflettere sul difficile rapporto con il mondo pagano di cui
progressivamente è stato recuperato e accolto solo quanto poteva essere
accettabile dal Cristianesimo, privilegiando quanto riconosciuto pienamente
umano e quindi propedeutico alla rivelazione cristiana, sempre senza
sincretismi o condiscendenze politeistiche.
Di questo
sono soprattutto testimonianza i martiri, la maggior parte dei quali nella Roma
imperiale hanno subito il martirio per non aver voluto accettare la divinità
dell’imperatore accanto a quella di Dio.
Nel lungo
corso dei secoli il diffondersi dell’evangelizzazione ha dovuto entrare in
rapporto con molte visioni antropologiche e culturali, prima in Europa e poi
nel mondo. Anche la cristianizzazione dell’Europa è stata lenta e difficile,
nel suo lungo progredire durato circa mille anni, durante i quali ha prevalso
l’assimilazione della più alta cultura filosofica classica, prima con il
predominio della linea platonica, successivamente eclissata dall’affermazione della
metafisica aristotelica, che più faticosamente si è fatta strada nel tempo per
la sua mancata acquisizione da parte della cultura latina classica. Ma anche le
varie visioni antropologiche e culturali delle diverse aree europee, da quella
celtica a quella germanica a quella slava, sono entrate in rapporto con la
predicazione evangelica e, sottoposte alla κρίσις, hanno innervato il
cristianesimo, sempre con l’accettazione di quanto fosse congruente con il
messaggio evangelico. Facciamo solo due esempi. Il cristianesimo ha fatto
sparire in Gallia la pratica druidica dei sacrifici umani di cui ci dà
testimonianza Cesare (De bello gallico, VI 16: «coloro che sono affetti
da gravi malattie, e coloro che si trovano a rischio in battaglia, offrono
vittime umane o fanno voto d’immolarne. […] credono che se non paghi la vita di
un uomo con quella di un altro uomo, non si possa placare la maestà degli dei
immortali. […] hanno fantocci di enorme grandezza le cui membra intessute di
vimini vengono riempite di uomini vivi, incendiatili, gli uomini periscono tra
le fiamme»), ma ha acquisito e valorizzato cristianamente il culto delle cime
montane, ampiamente diffuso in Europa. Infatti i santuari sovente sono stati
costruiti in alto. Esempio significativo è la straordinaria linea retta che
lega Mont-Saint Michel in Francia (in cui il culto dell’Arcangelo avrebbe
sostituito quello della divinità solare celtica Beleno) con la Sacra di San
Michele in Piemonte (già prima castrum Romano con probabile culto di
Mercurio) e con il Santuario di San Michele Arcangelo in Puglia, in cui il
culto micaelico si sostituisce a credenze norreniche con l’attribuzione
all’arcangelo di alcune virtù del dio germanico Odino.
Quello che
storicamente il Cristianesimo ha determinato è stata, quindi, un’azione di
purificazione e di raffinamento delle modalità delle varie culture in cui si è
innestato.
Queste sono
le linee guida dell’evangelizzazione che dalla elaborazione Patristica si sono
imposte, senza concessioni al politeismo, nonostante le persecuzioni e i
martiri, grazie anche alla scarsa contrapposizione che il politeismo pagano ha
saputo elaborare a livello concettuale.
L’unica voce
significativa che si è levata è stata quella di Simmaco, ultimo intellettuale
difensore del politeismo pagano, che si contrappone alla fede nell’unico vero
Dio di Sant’Ambrogio, dicendo: «Che cosa importa per quale via ciascuno
ricerchi, secondo il proprio giudizio, la Verità? Non per una sola strada si
può giungere a un così grande mistero».
Quest’idea,
a lungo minoritaria e sotterranea, che tutte le religioni siano a loro modo
espressione del “divino”, ha trovato emergenze storiche nella novella dei tre
anelli di derivazione medio-orientale, presente nel Decameron, e
riproposta nel Settecento dal massonico Lessing (Nathan il saggio), con
la teorizzazione di una forma superiore di “sapienza religiosa” o di “religione
profonda”, in cui troverebbero concordanza tutti i monoteismi storicamente
venuti alla luce (ebraismo, cristianesimo, islam), ma soprattutto che accamperebbe
quella religione senza nome né dogmi affermatasi con il Dio Romito
dell’Illuminismo, ovviamente insidiata dal politeismo dell’arbitrio.
Di qui è
iniziata quella tendenza, che oggi trova sempre più rilievo, a mettere
sull’altare un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha con l’uomo un
rapporto vago e impreciso, a differenza del Dio personale del Cristianesimo,
capace di indicare il Bene e il Male necessari per la costruzione dell’uomo nel
raggiungimento della sua pienezza umana.
Questa
tendenza si insinua nel Cristianesimo, soprattutto per l’accentuazione che si
dà alla Natura, per cui si tende ad accusare il Cristianesimo di aver tolto
alla Terra il suo incanto, di aver privato l’uomo di un rapporto religioso con
la Natura che andrebbe recuperato, anche per facilitare l’inculturazione del
Cristianesimo con le varie culture del mondo. E qui ritorna la necessità di
eliminare il rischio del politeismo, ma anche quello di avallare la superiorità
della cultura europea che spesso per motivi politici e di sfruttamento, ha
inficiato l’azione missionaria in varie aree del mondo.
A mettere in
crisi l’etnocentrismo europeo è stata soprattutto la lezione di Claude
Lévi-Strauss che, partendo da un’analisi approfondita della nozione di cultura
come sistema simbolico e semiotico, ha criticato la superiorità della mentalità
occidentale rispetto alle mentalità indicate come primitive a cui il filosofo
conferisce logicità, pari dignità e rispetto, giungendo a quel relativismo
culturale per cui i vari gruppi etnici dispongono di culture diverse, le quali
hanno però tutte valenze e pari dignità in quanto tali.
Tutto questo
va tenuto in considerazione, ma nel rapporto del Cristianesimo con le varie
culture deve essere recuperata la lezione dell’antica linea della κρίσις,
teorizzata dai Padri della Chiesa, per cui, estremizzando, possiamo dire che
non possano essere accettate culture che ammettono la poligamia, la poliandria,
l’infanticidio, il sacrificio rituale, l’incesto e altri comportamenti
palesemente contrari al Cristianesimo, né sono benedette da Dio, pur
consapevoli che «annunciare la Buona Novella di Gesù significa riconoscere i
semi della Parola presenti nella cultura» (DF 55), come è avvenuto anche alle
origini del Cristianesimo, in cui soprattutto l’humanitas, teorizzata a
Roma da Terenzio, Cicerone Virgilio e Seneca, è stata riconosciuta “seme”
dell’evangelizzazione.