domenica 17 novembre 2019

IL CRISTIANESIMO E GLI ALTRI


Rosa Elisa Giangoia

 Il recente episodio della presenza della divinità inca Pachamama in alcune celebrazioni durante il sinodo per l’Amazonia ha riportato l’attenzione sul rapporto tra l’evangelizzazione e le culture su cui la predicazione cristiana si innesta.
Problema ricorrente nella storia del Cristianesimo che trova la sua radice nella predicazione del messaggio cristiano da parte di San Paolo. Anche papa Francesco nell’udienza pubblica del 6 novembre u.s. ha evidenziato lo «straordinario esempio di inculturazione del messaggio di fede», compiuto dall’apostolo ad Atene, non «aggredendo gli adoratori di idoli, ma facendosi “pontefice”, costruttore di ponti». Papa Francesco si riferisce ovviamente a quanto si legge negli Atti degli Apostoli (17, 16-34) in cui Paolo richiama l’attenzione dei suoi ascoltatori su un altare presente sull’Areopago a “un dio ignoto” al cui riguardo dice: «Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio».
Per capire a fondo questo testo, occorre fare alcune precisazioni. Questo “dio ignoto” non ha connotati, è un omaggio ad una divinità non definita, nello spirito sincretistico del mondo greco, un mondo che nel suo politeismo si sforzava di annoverare tutto il sovra-umano, avvalendosi dell’inclusività per mappare sempre più completamente il divino, pur consapevole dell’impossibilità di completezza. Per questo si aggiunge un “dio ignoto” per evitare di lasciar fuori qualcuno. Paolo, estraneo alla mentalità e alla tradizione devozionale del paganesimo, ne cambia profondamente il senso, in quanto supera l’idea di “un dio ignoto” e presenta “il dio ignoto”, cioè il vero Dio, che non si affianca e unisce agli altri, ma che, superando il limite del pluralismo panteista, diventa il Dio unico e vero, diversificandosi completamente dalle divinità del politeismo.
Poi Paolo continua il confronto e la discussione «nella sinagoga con i giudei e gli adoratori», ma anche «nell’agorà, giorno dopo giorno, con quelli che incontrava».
Da quest’azione missionaria di Paolo, che fin dall’inizio ha come linea guida la κρίσις, ovvero il giudizio e il discernimento, hanno preso avvio i Padri della Chiesa per riflettere sul difficile rapporto con il mondo pagano di cui progressivamente è stato recuperato e accolto solo quanto poteva essere accettabile dal Cristianesimo, privilegiando quanto riconosciuto pienamente umano e quindi propedeutico alla rivelazione cristiana, sempre senza sincretismi o condiscendenze politeistiche.
Di questo sono soprattutto testimonianza i martiri, la maggior parte dei quali nella Roma imperiale hanno subito il martirio per non aver voluto accettare la divinità dell’imperatore accanto a quella di Dio.
Nel lungo corso dei secoli il diffondersi dell’evangelizzazione ha dovuto entrare in rapporto con molte visioni antropologiche e culturali, prima in Europa e poi nel mondo. Anche la cristianizzazione dell’Europa è stata lenta e difficile, nel suo lungo progredire durato circa mille anni, durante i quali ha prevalso l’assimilazione della più alta cultura filosofica classica, prima con il predominio della linea platonica, successivamente eclissata dall’affermazione della metafisica aristotelica, che più faticosamente si è fatta strada nel tempo per la sua mancata acquisizione da parte della cultura latina classica. Ma anche le varie visioni antropologiche e culturali delle diverse aree europee, da quella celtica a quella germanica a quella slava, sono entrate in rapporto con la predicazione evangelica e, sottoposte alla κρίσις, hanno innervato il cristianesimo, sempre con l’accettazione di quanto fosse congruente con il messaggio evangelico.  Facciamo solo due esempi. Il cristianesimo ha fatto sparire in Gallia la pratica druidica dei sacrifici umani di cui ci dà testimonianza Cesare (De bello gallico, VI 16: «coloro che sono affetti da gravi malattie, e coloro che si trovano a rischio in battaglia, offrono vittime umane o fanno voto d’immolarne. […] credono che se non paghi la vita di un uomo con quella di un altro uomo, non si possa placare la maestà degli dei immortali. […] hanno fantocci di enorme grandezza le cui membra intessute di vimini vengono riempite di uomini vivi, incendiatili, gli uomini periscono tra le fiamme»), ma ha acquisito e valorizzato cristianamente il culto delle cime montane, ampiamente diffuso in Europa. Infatti i santuari sovente sono stati costruiti in alto. Esempio significativo è la straordinaria linea retta che lega Mont-Saint Michel in Francia (in cui il culto dell’Arcangelo avrebbe sostituito quello della divinità solare celtica Beleno) con la Sacra di San Michele in Piemonte (già prima castrum Romano con probabile culto di Mercurio) e con il Santuario di San Michele Arcangelo in Puglia, in cui il culto micaelico si sostituisce a credenze norreniche con l’attribuzione all’arcangelo di alcune virtù del dio germanico Odino.
Quello che storicamente il Cristianesimo ha determinato è stata, quindi, un’azione di purificazione e di raffinamento delle modalità delle varie culture in cui si è innestato.
Queste sono le linee guida dell’evangelizzazione che dalla elaborazione Patristica si sono imposte, senza concessioni al politeismo, nonostante le persecuzioni e i martiri, grazie anche alla scarsa contrapposizione che il politeismo pagano ha saputo elaborare a livello concettuale.
L’unica voce significativa che si è levata è stata quella di Simmaco, ultimo intellettuale difensore del politeismo pagano, che si contrappone alla fede nell’unico vero Dio di Sant’Ambrogio, dicendo: «Che cosa importa per quale via ciascuno ricerchi, secondo il proprio giudizio, la Verità? Non per una sola strada si può giungere a un così grande mistero».
Quest’idea, a lungo minoritaria e sotterranea, che tutte le religioni siano a loro modo espressione del “divino”, ha trovato emergenze storiche nella novella dei tre anelli di derivazione medio-orientale, presente nel Decameron, e riproposta nel Settecento dal massonico Lessing (Nathan il saggio), con la teorizzazione di una forma superiore di “sapienza religiosa” o di “religione profonda”, in cui troverebbero concordanza tutti i monoteismi storicamente venuti alla luce (ebraismo, cristianesimo, islam), ma soprattutto che accamperebbe quella religione senza nome né dogmi affermatasi con il Dio Romito dell’Illuminismo, ovviamente insidiata dal politeismo dell’arbitrio. 
Di qui è iniziata quella tendenza, che oggi trova sempre più rilievo, a mettere sull’altare un essere supremo, misterioso e indeterminato, che ha con l’uomo un rapporto vago e impreciso, a differenza del Dio personale del Cristianesimo, capace di indicare il Bene e il Male necessari per la costruzione dell’uomo nel raggiungimento della sua pienezza umana.
Questa tendenza si insinua nel Cristianesimo, soprattutto per l’accentuazione che si dà alla Natura, per cui si tende ad accusare il Cristianesimo di aver tolto alla Terra il suo incanto, di aver privato l’uomo di un rapporto religioso con la Natura che andrebbe recuperato, anche per facilitare l’inculturazione del Cristianesimo con le varie culture del mondo. E qui ritorna la necessità di eliminare il rischio del politeismo, ma anche quello di avallare la superiorità della cultura europea che spesso per motivi politici e di sfruttamento, ha inficiato l’azione missionaria in varie aree del mondo.
A mettere in crisi l’etnocentrismo europeo è stata soprattutto la lezione di Claude Lévi-Strauss che, partendo da un’analisi approfondita della nozione di cultura come sistema simbolico e semiotico, ha criticato la superiorità della mentalità occidentale rispetto alle mentalità indicate come primitive a cui il filosofo conferisce logicità, pari dignità e rispetto, giungendo a quel relativismo culturale per cui i vari gruppi etnici dispongono di culture diverse, le quali hanno però tutte valenze e pari dignità in quanto tali.
Tutto questo va tenuto in considerazione, ma nel rapporto del Cristianesimo con le varie culture deve essere recuperata la lezione dell’antica linea della κρίσις, teorizzata dai Padri della Chiesa, per cui, estremizzando, possiamo dire che non possano essere accettate culture che ammettono la poligamia, la poliandria, l’infanticidio, il sacrificio rituale, l’incesto e altri comportamenti palesemente contrari al Cristianesimo, né sono benedette da Dio, pur consapevoli che «annunciare la Buona Novella di Gesù significa riconoscere i semi della Parola presenti nella cultura» (DF 55), come è avvenuto anche alle origini del Cristianesimo, in cui soprattutto l’humanitas, teorizzata a Roma da Terenzio, Cicerone Virgilio e Seneca, è stata riconosciuta “seme” dell’evangelizzazione.