Carlo Biancheri e Rosa Elisa Giangoia
Anche chi come noi, dopo il
giovanile entusiasmo per il Concilio Vaticano II e la lunga attesa di una sua
piena attuazione, ancora non avvenuta, ha salutato con speranza e soddisfazione
l’elezione di questo papa che prometteva l’attenzione agli ultimi e la riforma
della Chiesa, assolutamente necessaria, a distanza di quattro anni deve
constatare che ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto diversa
rispetto alle attese, con molti aspetti che suscitano perplessità.
Abbiamo dovuto rilevare alcune
nomine improvvide del papa stesso che hanno gettato cattiva luce sulla Chiesa,
come quella di mons. Lucio Ángel Vallejo Balda e di Francesca Chaouqui al COSEA,
finiti poi nelle mani della giustizia, di mons. Battista Ricca, per nulla
esperto di economia, da direttore di Casa Santa Marta e della Casa del Clero a
prelato dello IOR, carica da cui ha dovuto ben presto dimettersi essendo state
divulgate notizie su suoi comportamenti omosessuali alla nunziatura di
Montevideo, del cardinale Pell, nominato prefetto della Segreteria per
l’Economia e costretto a sospendersi per correre in Australia a difendersi dalle
accuse di pedofilia, del Presidente dell’Accademia della vita che invita
sostenitori dell’aborto per il contenimento delle nascite a simposi scientifici.
Si deve poi aggiungere la nomina di Arturo Sosa a generale dei gesuiti che avrà
senz’altro avuto il placet del pontefice e di confratelli, amici suoi,
come il nuovo responsabile della Congregazione della dottrina della Fede.
A queste si aggiungono riforme non
portate avanti, divisione e confusione nella Chiesa, gestione autocratica e per
nulla collegiale, nomine di cardinali provenienti da regioni dove i cattolici
sono un’infima minoranza, assegnazioni di vescovi nelle maggiori città italiane
esperti più che altro di emarginazione ma senza l’esperienza,la cultura e la
gravitas per mantenere unite grandi realtà: a Roma si aspetta ancora che
il neo-vicario Angelo De Donatis batta un colpo, giacché la città lo
ignora…
A lasciare perplessi è anche
l’insistenza della predicazione di papa Francesco, improntata prevalentemente al
conseguimento di una giustizia sociale, più proclamata che spiegata, in cui
riecheggiano temi di matrice marxista o ambientalista. Fà proprio il grido dei
poveri, il diritto al cibo, quello alla conoscenza e ad essere informati dei
procedimenti decisionali pubblici. A cui si aggiunge l’esaltazione del Tribunale
internazionale per i crimini contro l’umanità.
Da questi e da altri elementi
sembra delinearsi chiaramente il fatto che questo pontefice stia indirizzando l’operato
della Chiesa Cattolica in un’attività volta ad un cambiamento della società dove
la dimensione religiosa funge da sostegno. A conferma si possono citare i viaggi
in Myanmar (dove i buddisti non si convertono affatto…), in India (dove la
minoranza cristiana è irrilevante e confinata nel Kerala), in Salvador con il
preciso scopo della canonizzazione di Romero, in Colombia dove avrebbe un ruolo
importante come mediatore politico.
Per i peccati come la corruzione e
la mafia sembra non esserci misericordia, bensì scomunica; anche Marx
considerava il peccato individuale dei cristiani puro ‘moralismo’, in quanto
prodotto dell’organizzazione sociale
capitalistica che provoca l’alienazione,
mentre per lui la vera colpa era l’opporsi alla liberazione del
proletariato.
A differenza di quanto
teorizzavano i marxisti e come hanno dimostrato i paesi in cui si è cercato di
realizzare questa pseudo-ideologia ottocentesca, la Chiesa dovrebbe avere
consapevolezza che non ci saranno soluzioni definitive, liberazioni messianiche,
in questo tempo storico. Il Vangelo infatti dice: “i poveri li avete sempre con
voi” (Mc 14,7; Gv 12,8). Questo ci dovrebbe far capire la nostra umana
inadeguatezza a risolvere tutti i problemi del mondo, semmai bisogna trovare
proposte che contengano e limitino il male, come insegna la dottrina sociale
della Chiesa, e anche fornire conforto nelle sofferenze non solo materiali.
Si rileva una scarsa criticità nei
confronti delle dittature di sinistra, specie in Sud America, mentre l’enfasi
sui cristiani perseguitati e martiri in molte regioni del mondo – insieme a
tutti gli altri…- dovrebbe esser maggiore.
È difficile capire il suo pensiero
anche sui motivi per cui abbia assunto il nome di Francesco senza esser mai
stato ad Assisi prima e non conoscendo le Fonti francescane che non cita
mai: si ha l’impressione che Francesco sia stato inteso come un santo
‘schierato’, mentre in realtà non era affatto un pauperista. Il matrimonio con
Madonna povertà faceva parte del cammino di “cristificazione”, cioè del cammino
per divenire un altro Cristo, ‘il Signore poverello’, reso manifesto con il
dono delle stimmate a La Verna. Dante lo aveva capito molto chiaramente
descrivendo i discepoli ‘scalzatisi’ che correvano dietro al santo… in fretta
verso la Salvezza…(Par. XI 73-87).
Papa Francesco reputa che tutte le
ideologie abbiano fatto il proprio tempo ma la Chiesa non può esser neutra di
fronte a chi sostenga, ad esempio, che la persona umana possa esser conculcata
in vista del benessere economico generale… o che la vita umana non vada
protetta… Vuole anche lui sostituire la sociologia alla filosofia nel pensiero
teologico, come il suo confratello Sosa? Lo sa che si tratta di scienza umana
descrittiva, comportamentale che non spiega la ‘qualità’ e che non dà giudizi di
valore? Nella sua predicazione emerge poco l’altra vita, la dimensione della
Trascendenza e del mistero, scompare in una gioiosa macchina da guerra che
dovrebbe favorire con ogni mezzo il progresso e la giustizia sociale, in attesa
dei quali non ci si deve lamentare, come recita il cartello sulla sua porta a
Santa Marta.
Anche l’enciclica Laudato si’
suscita interrogativi. Infatti, se i richiami del Papa alla sobrietà
(194-195) non vanno interpretati come una presa di posizione radicale contro la
crescita ed il produttivismo, ma vadano visti piuttosto determinati da
un’ottica di analisi terzomondista, sembra emergere una visione quasi
‘feticista’ del creato, in quanto l’enfasi sul passo del
Genesi che lo affida interamente alla responsabilità dell’uomo - per cui
è l’uomo stesso che deve individuare i criteri corretti per trasformarlo – è
contenuta.
Nello stesso tempo sembra
affermarsi un generico irenismo nei confronti delle altre confessioni
cristiane, cioè un falso ecumenismo. In particolare tutta la “santificazione” di
Lutero è un equivoco, in quanto la quasi totalità dei sacramenti viene meno
nella Riforma, a favore di una assolutizzazione dell’interpretazione personale
della Bibbia. Anche l’affermazione che ci si salva per sola fede contraddice
l’altra, secondo cui la fede senza le opere è morta. Quanto poi al pecca
fortiter sed crede fortius è semplicemente un’idiozia, perché “chi
bolle nel peccato” –espressione dei Padri - non riesce neppure a dire “Cristo
Signore” –sempre secondo i Padri…- :occorre una metanoia, come esemplifica la
parabola del figliol prodigo. E il Vangelo dice: “Dov’è il vostro tesoro, là
sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34 e Mt 6,21), ad indicare che ciò che
il cuore desidera è ciò che si cerca…
L’elezione di questo papa è forse
la conseguenza di un modo di sentire del tempo che tenta di umanizzare il
mistero per renderlo credibile: basti pensare al fatto che il generale dei
gesuiti dichiara che il diavolo è un mito, che non c’era il registratore per le
parole di Cristo e che quanto a giudicare cosa sia male…beh! è difficile dire –
anche la violenza ad un inerme?-.
Nella Compagnia di Gesù troppe
volte nella sua storia si è insinuata la tentazione di conquistare il mondo con
i mezzi del mondo con tecniche astute, come chiaramente indica quell’
abstrahere non est mendacium, tanto che nella Leggenda del
Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov, Dostoievskj, ora tanto
citato dai nuovi gesuiti, scrive che il cardinale che chiede a Cristo: «Perché
sei tornato?» è gesuita, e non a caso.
I primi oratoriani, su impulso di
san Filippo Neri, il santo della gioia lo definiva il massone Goethe, nelle
Costituzioni imponevano che nelle quotidiane conferenze dell’Oratorio non
si parlasse «magistralmente et al modo parisino (S. Ignazio voleva che lo stile
dell’insegnamento e della predicazione fosse improntato a quello delle
Università parigine, per questo i gesuiti venivano chiamati i ‘maestri
parisini’), vodo di ogni grassezza».
Factis amplius quam verbis
ostendat , secondo san Benedetto, è ciò
che deve caratterizzare l’abate (Regola, caput II); tutto si
inquadra, come insegna Rudolf Otto, nel fatto che «il sacro è l’orizzonte in cui
allo spirito umano si costituisce l’esperienza del male radicale, non i mala
mundi ma il malum mundi», la premessa per quel salto nella fede di
cui parla Kierkegaard.
Il papa di recente ha detto che
bisogna tornare a pregare… quasi opponendo all’agire quotidiano, ma per un
cristiano senza la preghiera la fede cos’è?