lunedì 28 luglio 2014
CON LA SUORA O CON LA PROF.? Rosa Elisa Giangoia
Il recente caso presentato dalla stampa di un’insegnante a cui non è stato rinnovato il contratto di lavoro per supposte ragioni di omosessualità suscita interrogativi e problemi davvero rilevanti, che prima o poi dovevano presentarsi alla coscienza e alla giurisprudenza in quanto determinati da conflitti tra due sfere di diritti che nella nostra realtà sociale e culturale tendono ad acutizzarsi progressivamente.
Occorre innanzitutto ricordare che la Costituzione Italiana riconosce il diritto ai privati di istituire scuole, ma precisa che non ci debba essere onere per lo Stato. In Italia i privati che istituiscono e gestiscono scuole sono di due tipi. Alcune sono persone di impostazione manageriale che lo fanno principalmente a scopo di lucro, trasformando (purtroppo!) sovente queste scuole in “diplomifici”, dove appunto si può conseguire con scarso impegno un titolo di studio: cosa triste, ma che per esperienza professionale abbiamo dovuto constatare… Gli altri sono soggetti di ispirazione religiosa e in Italia, oltre alle scuole cattoliche, ci sono quelle ebraiche e quelle islamiche, per ora non ne conosco gestite da protestanti. È chiaro che questi tipi di scuole hanno un preciso progetto educativo che si basa su una pedagogia finalizzata a costruire una persona secondo la concezione religiosa di fondo. Queste scuole hanno già, nell’ordinamento scolastico italiano, la possibilità di scegliere personale docente ritenuto coerente con il proprio progetto educativo, prescindendo dall’ordine di merito delle graduatorie, purché fornito di abilitazione all’insegnamento, ritenuto cioè dallo Stato professionalmente idoneo all’insegnamento di quella determinata materia.
Nello specifico il caso dell’insegnate di Trento, al di là di quanto siano precise e veritiere le informazioni fornite dalla stampa, presenta con evidenza la situazione di contrasto tra il diritto della docente a non essere discriminata per ragioni sessuali, come prevede la Costituzione, e il diritto della scuola cattolica di avere docenti che non si pongano con la loro condotta di vita su una linea di comportamento difforme dal progetto educativo che la scuola vuole attuare finalizzato alla formazione di una persona cristianamente orientata, progetto liberamente scelto dai genitori.
Allo stesso modo, infatti, in una scuola cattolica potrebbero non essere accettate persone che pratichino la convivenza o che siano state soggetti attivi di un divorzio. Tutto questo perché non si possono imporre docenti che non condividano il progetto pedagogico in quanto la presentazione pedagogica del modello di vita cristiana ha bisogno di coerenza per essere veramente educativo ed edificante, secondo la pregnanza etimologiche dei due termini. L’educazione, basata su un preciso progetto e orientata ad una determinata realizzazione della persona, avviene tramite un processo pedagogico complesso, in cui non basta la proposta teorica, ma che occorre sia sostenuto dal convergere di aspetti di vita diversi. Lo stesso si potrebbe dire anche per altre impostazioni ideologico- religiose: non sarebbe certo ammesso all’insegnamento in una scuola islamica chi sostenesse l’opportunità di mangiare carne di maiale!
Il problema trova un’ulteriore complicazione, a cui la stampa ha dato molto rilievo anche con prese di posizione e dichiarazioni di esponenti politici, per il fatto che la scuola cattolica in cui il fatto si sarebbe verificato riceve sovvenzioni pubbliche, il che vuol dire, come avviene anche in altre realtà locali, che le amministrazioni comunali, provinciali e regionali possono dare a queste scuole sovvenzioni, non contravvenendo al dettato costituzionale. Ed è quest’altro nodo tra finanziamento e condizionamento che andrebbe risolto.
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