martedì 31 agosto 2021

LA NAVICELLA NELLA PROCELLA

 

Rosa Elisa Giangoia

Come evidenzia Andrea Riccardi nel suo recente La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, facendo seguito a molte analisi di sociologia religiosa degli ultimi anni in Italia e in Europa, dobbiamo renderci conto che viviamo in una fase di crescente scristianizzazione, sempre in progressiva crescita e diffusione. La situazione è resa evidente dalla continua riduzione delle pratiche religiose (scarsa frequenza alla Messa, diminuzione dei sacramenti del battesimo, della cresima, del matrimonio, dell’estrema unzione), diminuzione della scelta dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (a cui peraltro, né il Ministero, né le singole scuole sanno contrapporre qualcosa di valido e significativo), crollo dell’associazionismo cattolico tradizionale e anche diminuzione delle adesioni ai nuovi movimenti con una certa qual tenuta solo delle forme associative di spiritualità e carismatiche, calo crescente delle vocazioni, con conseguente problema della diffusa presenza di sacerdoti provenienti dal Terzo Mondo, differenti per mentalità e formazione culturale, sovente anche con problemi di comunicazione per scarse dimestichezze linguistiche, e ancora, sempre minore incidenza della presenza cattolica nella vita pubblica.
Abbiamo certo consapevolezza che non sia migliore la situazione nelle aree della riforma protestante, come del fatto che storicamente in passato ci siano stati momenti di forte crisi del cattolicesimo, fin dalle origini , al tempo delle grandi eresie, poi, oltre al tempo dello scisma luterano, quello del laicismo razionalista a seguito della Rivoluzione Francese, del positivismo massonico di fine Ottocento e del diffuso materialismo storico marxista del Novecento, ma in tutti questi momenti è sempre rimasto un diffuso fondo popolare di fedeltà alla fede cattolica e di adesione morale, in contrapposizione a élite ideologizzate su basi intellettuali, mentre oggi il laicismo, di matrice edonistica e amorale, è ampiamente diffuso a livello popolare, anche per l’influsso massmediatico, determinando una radicalizzazione di individualismo e di mancanza di valori profonda.
Tutto questo ha determinato l’accentuarsi di una crisi che ha le sue radici fin dal dopoguerra e di fronte alla quale è venuta a incagliarsi la volontà riformatrice di papa Francesco impossibilitato a risolvere dall’alto, attraverso una pratica riformistica, problemi di larga diffusione e profonda radicalizzazione. Il creare modifiche e riforme determina divisioni e contrapposizioni, con la rinuncia a cercare il consenso di una parte consistente della Chiesa. Come insegna san Paolo è importante evitare divisioni e contrapposizioni, per essere tutti di Cristo.
Il problema può essere sì la Curia Romana che forse noi, dal di fuori, conosciamo troppo poco nelle sue dinamiche relazionali, di organigramma e di potere, come fa da schermo alla vera realtà della Chiesa la personalizzazione di questioni e problemi che riguardano un singolo o una realtà limitata, di cui non ci è dato conoscere la specifica problematica (come per i casi recenti di Becciu o di Bose), dati in pasto all’enfatizzazione massmediatica, con la conseguenza di perdere di vista la comunità con le sue attese e le sue aspirazioni. Il vero obiettivo deve essere quello di riuscire a parlare di nuovo al popolo di Dio con parole convincenti: sono le parole che hanno convinto 2000 anni fa ad abbandonare gli dei pagani per Gesù, sono le parole che hanno convinto i popoli del Terzo Mondo a lasciare le loro divinità e i loro riti, sempre per Gesù, perché nel Vangelo ci sono le parole nuove, che sono quelle della fraternità, ma anche e soprattutto quelle della promessa nella resurrezione per la vita eterna.
Come al tempo di Agostino e delle grandi eresie (manicheismo, donatismo) si tratta di riflettere dove si trova il punto di unità dei credenti e cioè occorre capire chi siano quelli che pensano che i dogmi sono solo l’espressione di una credenza di un tempo e che il messaggio cristiano si riduca alla fraternità, alla solidarietà umana; chi crede che la vita non finisca qui e chi invece pensa che la Rivelazione non sia conclusa (in contrasto col Vaticano II), anzi che continui nella Storia che ci dice oggi che il punto Omega è l’attuazione del secondo comandamento (ama il prossimo tuo) senza domandarsi oltre.
Naturalmente in questo quadro vanno visti i sacramenti, i precetti e il ruolo delle donne (in chiave storicistica infatti si sostiene il sacerdozio a motivo della parità di genere… ma alle origini c’erano solo diaconesse, come Febe, e non sacerdotesse, nonostante Cristo avesse violato tante norme e avesse con sé donne come Marta e Maria, nonché Maddalena cui appare per primo risorto… non annovera nessuna donna tra gli apostoli).
La Chiesa inoltre oggi sembra voler abbandonare l’Europa, considerandola ormai irreparabilmente perduta, invece di farne il terreno di una rinnovata evangelizzazione in dialogo e confronto con la mentalità dominante. Bisogna riconoscere all’Europa il merito di una lunga tenuta della fede cristiana, l’aver sconfitto il materialismo storico marxista e anche l’essersi impegnata nell’evangelizzazione del mondo. Sopravvalutare il Terzo Mondo è rischioso. Chi dice che il futuro della fede cristiana sarà in Africa, in Asia e in America Latina dimostra una superficialità sconvolgente perché elude la domanda di che tipo di fede sia professata. Certo è l’opposto di quella occidentale modernista.
Forse un Vaticano III sarebbe pericoloso perché la Chiesa non è pronta, ma le divisioni provocate da un papa possibilista che lascia spazio ad una fede fai da te (libertà dottrinale alle conferenze episcopali), governa in modo dittatoriale, quasi come capo di una fazione ecclesiastica, non dà risposte ai dubbi che gli vengono presentati, lasciando nell’incertezza, si pone come divisivo per il gregge, per cui si richiede un chiarimento sul kerigma.
Probabilmente bisogna rinunciare al trionfalismo ed accettare il ‘piccolo gregge’, un insieme esemplare per fede, speranza e carità, capace di attrarre chi è al di fuori.
Ma nulla si farà se permane l’ignoranza teologica e se nelle Università pontificie i nuovi preti, i religiosi e le religiose saranno formati su una teologia scivolosa… e soprattutto con una spiritualità inesistente, prospettando loro piuttosto una carriera, quasi si tratti di un cursus honorum.