Ignazio era un cristiano
combattente, un paladino come i prodi di Carlo Magno, un militare deciso con il
senso della disciplina e della gerarchia che significarono per lui ‘portare le
armi per Gesù’. Per questo a trentatré anni si rimette a studiare e si contorna
di magistri
dell’Università di Parigi, ricchi, nobili colti che abbandoneranno
tutto e vivranno elemosinando, pregando, predicando. Ignazio, a Roma, dopo il
lavoro tra i poveri e negli ospedali, discute con i suoi la notte con pedanteria
i piani strategici di evangelizzazione, stringendo nel contempo relazioni di
amicizia importanti, ordinando ai suoi di non frequentare le donne, tranne
quelle altolocate (…), predicando nelle Chiese più importanti di Roma. Bisogna
pensare che Roma all’epoca era stata governata da papi del calibro di Leone
X,figlio di Lorenzo il Magnifico (Dio ci ha dato il papato e adesso ce lo
godiamo…) o Clemente VII (Medici), quello del sacco di Roma, dedito alle cacce,
con una corte pontificia che aveva, non a caso, scandalizzato Lutero e che portò
come reazione non la Contro-riforma, come abilmente sono riusciti a farla
chiamare i riformati nordici, ma la riforma romana con papi come Paolo IV
Carafa, San Pio V (senza di lui saremmo tutti musulmani, almeno fino al Reno),
durissimi nella repressione dei comportamenti e delle eresie –con loro nasce
l’Inquisizione…- in un contesto, però, del clero che con il Vangelo aveva poco
a che fare: vestivano come gli altri, cercavano solo di far carriera
ecclesiastica, il celibato lo vivevano poco ed altrettanto le celebrazioni
liturgiche. Va detto che si stava costruendo la nuova basilica di San Pietro e
le famose ‘indulgenze’ (commercio di) servivano a finanziarla, cappella Sistina
inclusa…: una curiosità, Lutero si era scagliato sul drenaggio di soldi in
Germania mediante il commercio di indulgenze e da qui le tesi di Worms. Negli
archivi Vaticani si è appena scoperto che dalla Germania con la vendita delle
indulgenze non era arrivato il becco di un quattrino per la basilica di S.
Pietro (v. inventario della fabbrica di San Pietro…), in quanto i soldi raccolti
erano rimasti in Germania in tasca ai prelati, evidentemente, o ai principi…
Anche allora i tedeschi impartivano lezioni, ma quanto a furbizia non erano
secondi a nessuno.
I gesuiti, ‘questi preti che
vogliono reformare il mondo intero’, si diceva allora a Roma centravano la loro
azione alla conquista del mondo cattolico con una volontà ferrea per un fine da
raggiungere; Sant’Ignazio ‘fonda l’avvenire sopra una rinunzia alle stravaganze
della vita mistica e sulla subordinazione rigorosa delle persone al
fine’(v.Ponnelle – Bordet, San Filippo Neri e la società del
suo tempo, LEF, 1986). Fondamentale è la pratica degli esercizi
spirituali, un rigido schema attraverso il quale l’anima conoscerà la volontà
del Signore cui abbandonarsi. Sembra quasi che per salvarsi tutto si risolva in
una scelta volontaristica: un’opera di misericordia al giorno, la lettura della
Sacra Scrittura una volta la settimana, un fioretto, una ginnastica spirituale
di cui il soggetto è oggetto quasi che si trattasse di una scelta esterna a lui.
Ma… l’umano dov’è?
‘Tratto per tratto la
Congregazione dell’Oratorio è il contrario della celebre istituzione della
Compagnia di Gesù’ (Ponnelle –Bordet op.cit.).
Filippo, mentre Ignazio e compagni
passavano le notti a pianificare come conquistare il mondo, si occupava delle
persone e dell’Oratorio (‘L’istituto dell’Oratorio è una congregazione de’
sacerdoti, li quali, ritenendo lo stato e la professione di clero secolare, con
Autorità della Sede Apostolica, sotto particolar regola e sotto obedienza de’
superiori, senza voto e senz’ altro vincolo che della propria volontà, habitano
et vivono in comune, con diversi esercitii spirituali et spetie con la cotidiana
parola di Dio, attendono alla salute propria et a quella del
prossimo’). Il Baronio, il primo grande storico della Chiesa, che si
mise a studiare su impulso di Filippo che gli faceva anche fare da cuoco per la
comunità (…), per contrastare le tesi interessate sull’origine della Chiesa e
l’istituzione dei sacramenti che venivano elaborate dai tedeschi che dovevano
dar supporto alla dottrina di Lutero, definì la Congregazione dell’Oratorio
‘Repubblica bene ordinata’ e Filippo, che più volte dichiarò di non voler
comandare…, disse ’Se vuoi esser ubbidito,dai pochi
ordini’…
Anche Filippo attirava persone
altolocate che si mescolavano però ad artigiani, a lavoratori manuali. A parte
Fabrizio de’ Massimi, principe, Gian Battista Salviati, star della mondanità
romana, bello ed elegante, nipote della regina di Francia…-andava tutte le
mattine, vestito di seta, a curare un vecchio servitore all’Ospedale degli
Incurabili…, suscitando mormorii-, il Tarugi, nipote del papa, san Carlo
Borromeo, ma anche il nipote cardinal Federigo, Anna Colonna, nipote del
Borromeo e moglie del figlio del famosissimo Marcantonio, vincitore a Lepanto. A
tutta questa gente Filippo faceva cantare: ’Vanità, vanità tutto il mondo è
vanità’. La visita delle sette chiese a Roma nasce anche per contrastare il
carnevale romano, una sorta di Sodoma e Gomorra, agli occhi dei pii del tempo
(una minoranza). All’inizio erano cinquanta, poi tremila, e partivano a piedi
cantando e pregando; ciascuno aveva diritto ad un panino ed ad una fiaschetta di
vino (il cardinale Borromeo era uno dei finanziatori e facevano sosta nella
vigna dei Massimi, vicino a San Sebastiano). C’erano anche grandissimi
compositori come Animuccia (non è provato che vi partecipasse Palestrina…) e la
musica oratoriale nasce così, alla Chiesa Nuova, dove ora ci sono Rubens e Guido
Reni, negli spazi rifatti dal Borromini. Infatti, alle prediche, si alternavano
dei pezzi musicali, bellissimi. L’approccio di Filippo era gioioso anche se fu
messo sotto osservazione perché si comunicava quotidianamente e ciò era
considerato esibizionismo (la gente, all’epoca, si comunicava a Pasqua e a
Natale, normalmente…) e non fu processato grazie alla protezione di san Carlo
Borromeo. Però San Pio V – se fosse vissuto, forse l’Oratorio non sarebbe mai
nato…- che non aveva alcun senso dell’umorismo, gli lasciò in ricordo una
pantofola ed un piviale - che lui si metteva sopra la tonaca all’incontrario…
-in segno di stima. Epater les bourgeois dicono i francesi e non solo per
la lettura delle facezie del pievano Arlotto…, Filippo faceva spazzare a
signoroni il piazzale della Chiesa Nuova come penitenza dopo la confessione,
suscitando risa e lazzi, mandava in giro il Tarugi, tutto elegante, per le vie
di Roma con il cane Capriccio in braccio, perché si era ingrassato e camminava
male, sempre come penitenza… ma solo lui, molte volte, era accettato, come
compagno, dai condannati a morte che si avviavano al patibolo per la via Giulia
o la via del Pellegrino a Roma.
‘State buoni se potete…’; ecco
questa era la dimensione umana che gli veniva dalle frequentazioni da ragazzo
del Convento di San Marco, dove c’erano i frati domenicani che erano stati con
Savonarola, dal periodo trascorso vicino a Montecassino e a Gaeta, al Monte
Spaccato. Cassiano è il suo referente che collima con i dodici gradi di
perfezione di San Benedetto. Come un fiume carsico la sapienza benedettina,
insabbiata dagli immensi monasteri e dai monaci forzati nei secoli per via del
maggiorascato, riemerge periodicamente. Nella Regola di San Benedetto,
diversamente dal comunismo storico che sfocia sempre nel potere tirannico di
pochi, detentori dell’ideologia e quindi guide verso la liberazione promessa, si
mette in comune tutto volontariamente (Omniaque omnibus sint communia… nec
quisquam suum aliquid dicat Cap. XXXIII Reg.) e l’Abate dirige in quanto
prende semplicemente il posto del Cristo nella comunità. Per questo l’Abate deve
ascoltare tutti anche l’ultimo (quia saepe iuniori Dominus revelat quod
melius est Reg. Cap. III). Filippo riprende Benedetto nello
Spernere mundum, spernere se, spernere se sperni e cioè
distaccarsi/disprezzare la vanità del mondo, se stessi e se stessi nel
distaccarsi, lungo il cammino dell’umiltà rappresentata con la scala di
Giacobbe: si sale quando si è umili, si scende quando ci si
inorgoglisce.Siamo lontani dallo spirito di conquista… e si comprende anche il fascino che uno come
Goethe,massone e deista, (‘il mio santo’) abbia subito.