mercoledì 13 febbraio 2019

NON SONO UN BURATTINO!

Carlo Biancheri

Il Vis-Conte dimezzato da san Giovanni Rotondo, presidente del Consiglio  pro-tempore, è andato in gran spolvero a Bruxelles al Parlamento Europeo non senza aver prima incontrato il Presidente della Commissione, infilando una prima gaffe diplomatica,  perché, quando si va in visita al Parlamento Europeo, non si incontra prima la Commissione giacché, in forza dei Trattati Europei, gli organi legislativi sono il Consiglio Europeo ed il Parlamento e non la Commissione la quale propone i testi normativi da approvare ed  è una sorta di potere esecutivo, con talune competenze proprie, in primis è custode dei Trattati. Ma che giurista è se non conosce queste cose?
Con cravatta  a tinta unita, azzurro chiaro, come quella che indossano i massoni, riconoscibili nelle foto ufficiali degli incontri intergovernativi - memorabile quella rosso fuoco di Trump -  quasi una captatio benevolentiae per quegli ambienti… e che strideva, tuttavia, con l’abito blu scuro, si è presentato in Parlamento. Forse ispirato dai notabili di paese che voglion far capire agli altri la loro autorevolezza, pensava di portare il verbo del cambiamento al popolo europeo: prima delusione, l’aula era quasi deserta e ciononostante ai pochi parlamentari presenti il nostro eroe ha voluto subito spiegare che in quanto rappresentante della stragrande maggioranza degli italiani – quanti i votanti che si sono astenuti? 40% circa?-  che il problema principale del mondo attuale consiste nella contrapposizione tra élite e popolo e che è ora di finirla con la conservazione; un messaggio,il suo, rivolto al popolo europeo, di certo in trepida attesa.
Tenuto conto che non si dimentica mai di essere avvocato, che verosimilmente considera essere una professione ‘superiore’, si è espresso con la prosopopea di Pericle chiedendosi amleticamente quale fosse in Europa la ‘domanda di senso’…, quale Europa vogliamo?
E poi, dopo un annuncio di una serie di viaggi in Africa da lui effettuati: Algeria e Tunisia, prossimamente in Marocco, Niger, Chad e Corno d’Africa, ha spiegato che l’Europa deve collaborare con l’Africa ed investire e bisogna esser grati all’Italia che ha sollevato la questione dei migranti e che ha fatto tanto per questo (il suo governo?!).
Se ci sono dissidi in Europa,a suo giudizio, va benissimo perché consentono di rappresentare il popolo. Il primo è quello del seggio al Consiglio di sicurezza dell’ONU che deve esser europeo (leggi: non tedesco…) e poi sulle sanzioni alla Russia l’Avvocato del popolo non  riesce ad individuarne il vantaggio, come dire della Crimea e dell’Ucraina chi se ne importa?…
I dissidi tra Stati (leggi: il ritiro dell’Ambasciatore francese a Roma per la prima volta dopo 70 anni!) sono dovuti all’incapacità della Unione Europea di trovare soluzioni: la colpa è sempre degli altri…
I flussi migratori non si governano da soli e bisogna tener conto di vite umane: abusate, vendute e spezzate.Il libro Cuore di De Amicis gli fà un baffo e, infatti, segue l’esortazione del tipo: smettiamo di essere divisi ma cerchiamo un’autentica solidarietà.
Ne consegue che occorra il completamento  della unione economica e monetaria, cioè  i famosi  bonds che  garantiscano il debito di alcuni Stati membri  e che i paesi del Nord non vogliono perché non si fidano di noi.
Come argomento ha citato l’impegno  riformatore del suo governo con la legge di bilancio del 2019, una meraviglia; infatti, l’Italia ha rispettato i conti ed ha aiutato chi è rimasto indietro.
Ispiratevi anche voi perché così si costruirà l’Europa sociale che si occuperà di giovani, istruzione, innovazione, con costi a carico dell’Europa, si intende…!
La ricetta noi italiani la conosciamo: bisogna coniugare in maniera adeguata responsabilità e solidarietà… E allora la lotta alla disoccupazione va fatta con un’assicurazione europea contro la disoccupazione e l’Europa deve essere più equa e solidale ed il commercio mondiale più equo e più tutelante per i consumatori… E’ mancato, va detto, un riferimento alla suocera che deve esser meno intrusiva.
Alla presentazione di questo vasto programma il nostro eroe si aspettava forse un sincero corale applauso ma, purtroppo, è stata invece una gragnuola di sassi.
Ha cominciato un socialista tedesco a ricordargli che l’Italia che è amata in Europa è quella di De Gasperi, di Spinelli, di Draghi,  ma non un governo che si  è astenuto sul Global compact sull’immigrazione  o che ha bloccato la dichiarazione sul Venezuela (nell’interesse di Putin…).
Poi il fiammingo Verhofstadt – Salvini che controlla anche gli elettori belgi, giura che non ci sarà più!- che si è espresso in buon italiano, in quanto poliglotta, – forse nel Gargano non si conoscono bene le Fiandre, descritte nei quadri di David Teniers, tra gli altri, con quei personaggi sdentati come il parlamentare in questione- per nulla tenero e molto informato che ha cominciato col ricordare che le manovre economiche del  governo (Vis-)Conte sono del tutto sbagliate perché aumentano il debito in modo strutturale, invece di fare una riforma strutturale. Poi il blocco della TAV, che è un progetto di coesione europeo, il blocco della riforma di Dublino che dovrebbe, invece, interessare l’Italia, perché cambierebbe la situazione attuale che impone al paese di prima accoglienza, cioè noi, di prendersi carico dei migranti. Infine  l’opposizione a Frontex che dovrebbe tutelare le frontiere europee e, giacché i fiamminghi, come dimostrato in Congo, non sono teneri (…): lei è un burattino nelle mani di Salvini e di Di Maio!
Ahimé, anche Guy Verhofstadt ha pensato a Calvino ed al Visconte dimezzato della serie I nostri antenati.
Colpito dall’insolita accoglienza, il Vis-Conte ha replicato che l’offesa fosse rivolta a tutti gli italiani che lui rappresentava ma… si sbaglia, perché anche noi, che siamo italiani, crediamo che il fiammingo - non  cortese,  ma  animato dal furore della giustizia, come spesso avviene nei paesi nordici – abbia ragione, politicamente parlando.
E’ per questo che lei è per noi il Vis-Conte dimezzato.

MUORE LO STATO ITALIANO?

Il 15 febbraio 15 il governò firmerà l’intesa per l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.Che saranno autonome nel fisco, nell'istruzione, in tutto. Leggere quest'articolo di Daniele Balicco da "Alfabeta" Quando uno Stato muore.
Il prossimo venerdì 15 febbraio il governò firmerà l’intesa per l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Si tratta di una richiesta di devoluzione pressoché totale, una secessione mascherata da autonomia. Sono moltissime le ragioni per cui non c’è stata alcuna discussione pubblica su questa trattativa “privata” fra Stato e Regioni. Nessun giornale, nessuna radio, nessuna trasmissione televisiva nazionale (a differenza di quanto accade da mesi in Veneto) ne ha approfondito la portata, tecnica e politica. Difficile farlo, del resto, anche perché l’intesa siglata fra la ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie, la leghista Erika Stefani, e i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia, è tutt’ora segreta. Una volta firmata dal governo, questa proposta dovrà passare in parlamento. Non potrà però essere discussa: solo approvata o respinta, a maggioranza assoluta. Se passerà, non potrà più essere modificata in alcun modo, neppure attraverso referendum abrogativo, per dieci anni.
La ministra Erika Stefani parla di vera e propria rivoluzione. E ha ragione. La Lega, l’unico vero partito gramsciano rimasto, con tanto di intellettuali organici, una strategia lucidamente perseguita e una visione ideologia complessiva, sta per riuscire ad ottenere l’obiettivo per cui è nata: separare il Nord dal resto d’Italia. Non si tratta di federalismo; ma, questa volta, con indubbia intelligenza politica, di secessione mascherata da autonomia. Nell’intesa, Veneto e Lombardia (e, solo in un secondo tempo, Emilia Romagna) chiedono infatti l’attribuzione di 23 aree di competenza su 23, vale a dire su tutte quelle previste dall’articolo 117 della Costituzione. Una devoluzione totale di potestà, compreso fisco, demanio e istruzione.
Le questioni centrali sono due. La prima è ovviamente legata alle risorse finanziarie. L’obiettivo ultimo è quello di trattenere sul territorio i 9/10 del gettito fiscale. Il tutto mascherato da una procedura tecnica: da ora in avanti, infatti, per gestire le risorse che le Regioni potranno trattenere, verranno stabiliti dei bisogni standard parametrati sul gettito fiscale. L’idea è semplice: se un territorio è più ricco ha diritto ad avere più servizi e di miglior qualità. In questo modo, come ben spiega Giancarlo Viesti nel pamphlet Verso la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale (il testo si può scaricare gratuitamente dal sito dell’editore Laterza) si fa tranquillamente passare il concetto che i diritti di cittadinanza “a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto”. La seconda questione è però ancora più spinosa: l’istruzione. Qui, duole dirlo, si vede all’opera l’intelligenza politica di questa classe dirigente leghista, per quanto oscena, in nulla improvvisata. È la vecchia battaglia per l’egemonia. Si vuole una scuola regionale, con insegnanti dipendenti dalle Regioni e assunti secondo criteri discrezionali stabiliti dalle stesse. Fra cui, anzitutto, la residenza. Ma è solo il punto di partenza; la volontà politica è quella di intervenire direttamente sui curricula. Ci sarà poco da stupirsi, se fra qualche anno, il dialetto veneto o lombardo diventeranno materia di studio nelle scuole di istruzione primaria regionali.
L’avvio di questa trattativa “segreta” fra Stato e Regioni si deve al bellunese Gianclaudio Bressa: il 28 febbraio del 2018, in qualità di sottosegretario di Stato dell’ultimo governo Gentiloni, concluse con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna un’intesa preliminare. E così, mentre Renzi aveva avanzato, nel suo progetto di riforma costituzionale, un’ipotesi di ristrutturazione dello Stato, con una nuova centralizzazione delle competenze strategiche affiancata da un federalismo regionale equilibrato – e va detto: era l’unico aspetto di valore della riforma, per il resto pessima - ; il governo Gentiloni fa la mossa esattamente opposta, aprendo alla possibilità di una concreta disgregazione dello Stato, di una devoluzione pressoché totale che fu sempre osteggiata perfino da Berlusconi.
Forse la lunghissima transizione italiana è arrivata al suo compimento. In silenzio, e quasi di nascosto, il 15 febbraio 2019 potrebbe diventare una data storica. La data in cui uno Stato, l’Italia, muore.


Michele Carena


      Già l'autonomia regionale spinta, concessa dal centrosinistra,  fu fatta malissimo per la sovrapposizione di competenze ed affidando alle regioni compiti che obiettivamente non erano in grado di gestire, come, ad esempio, in materia internazionale valutazioni tali da far loro istituire addirittura rappresentanze a Bruxelles, in concorrenza con quella italiana. Adesso questa è  una secessione che è fatta da sciocchi provinciali, senza una visione, perché spariranno nel contesto internazionale dove vincono le aggregazioni: nessuno chiede l'opinione ai cechi o agli sloveni. Saranno più  ricchi ma dipenderanno in tutto da Stati più  grandi di cui saranno satelliti - fin che servono -, come la Germania.

Carlo Biancheri