venerdì 20 novembre 2015

EFEMERIDI: I PENTASTELLATI E IL PROBLEMA DELL'ISIS

  Carlo Biancheri

   Il comico in disarmo è scomparso: niente di nuovo dal Fronte occidentale. Che scruti il mare dal suo villone  con vista mozzafiato sulle alture di Genova?
   Trattandosi della prima forza di opposizione in termini numerici  - non di proposte serie – e  in predicato, secondo i sondaggi, di arrivare quasi al governo del paese ci tocca occuparcene.
   Con la questioncella dell’Isis ci ricordiamo ancora dell’ex catechista Di Battista che sosteneva l’opportunità di comprendere le ragioni dei tagliatori di teste…; lo stesso che oggi afferma che il Renzi fà affari con  gli Stati che finanziano l’Isis e cioè Arabia Saudita e Kuwait (ce ne sono anche altri, aggiungiamo noi…): che affari fà? Promuove gli investimenti in Italia dei loro fondi, in ragione della congiuntura economica? Vende loro…? Nulla di diverso da Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Stati Uniti e Spagna…, se non andiamo errati.
   Ma qual è il giudizio sull’Isis? Occorre potenziare le forze dell’ordine… Uhm… Che c’entra, direte voi?
Bene il giovine Di Maio, futuro presidente del Consiglio di una Italia che si ridurrebbe  alla condizione di  paese balcanico in breve tempo, si lamenta che noi non abbiamo più un’ambasciata siriana con cui parlare e che sicuramente ci aiuterebbe ad identificare chi siriano non è… Noi capiamo, allora,  che, come Putin, il giovine campano sostenga il Governo di Assad… No, lui pretende lo scambio di informazioni e si lamenta che  non ci sia un data-base europeo dove uno possa mettere un nome e sappia subito chi sbarca qui, da dove venga, per quale motivo e, magari…, chi sono i suoi parenti. Ma il data-base i dati da chi li prende? Dal governo libico (quale…) o da quello di N’Djamena, cioè il Tchad? O da Yamussukro dove si susseguono i presidenti per colpi di Stato?
   Il giovine in questione, con l’aria perbenino, dà l’impressione di non essersi avventurato all’estero oltre Bruxelles: ha mai viaggiato in Asia, fuori dai circuiti dei villaggi turistici? O nei paesi sub-sahariani? Qualcuno lo ha informato che in molte regioni del mondo non esiste l’anagrafe o non è affidabile? Lo sa che l’UE non riesce dopo anni a formulare la famosa lista dei ‘paesi certi’ dove rimandare i ‘presunti’ fuoriusciti? Lo hanno informato che il vertice di Malta con i dittatori/capi di Stato degli Stati africani è stato un fiasco perché  gli Stati membri UE non sono riusciti neppure a mettere insieme 100 milioni di Euro  (l’Italia ne ha offerti 10…) da dare in contropartita per ottenere la loro cooperazione e cioè riprendersi  i migranti economici che noi ‘reputiamo’ essere cittadini di quei  paesi? Come facciamo ad esser certi che lo siano veramente ? Con la cooperazione internazionale… Hanno idea i giovanotti e le signorine della stella di quali interlocutori (e quanti!) siano incaricati a ciò nei paesi asiatici o africani? E in che lingua comunichino e in quali tempi? Per dare un’idea della profondità delle proposte politiche del Movimento , il Di Maio vuole assumere 15.000 addetti. Chi sbarca, afferma, deve venir identificato entro un mese… e non in due anni, come adesso. Ci permettiamo di chiedere come… in mancanza di riscontri…, forse con la palla di vetro?
   E poi i servizi, l’Intelligence, che risolveranno tutto. È giovane il Di Maio e mal conosce la storia di questo paese dove i servizi d’Intelligence, definiti dalla stampa ‘deviati’, per carità di patria…, manca poco fanno un colpo di stato… La gente è certo stanca di molti politici di professione che sanno poco e sono coinvolti in scandali di corruzione ma quelli che vengono dalla società civile non ci rassicurano.

    Voi vi affidereste ad un chirurgo che fino al giorno prima dell’operazione faceva il  macellaio?

martedì 17 novembre 2015

LA RETROMARCIA DELLA STORIA?


Rosa Elisa Giangoia

 L’intensificarsi a tempi sempre più ravvicinati di attentati terroristici da parte di nuclei islamici a danno della nostro mondo occidentale deve farci riflettere sul fatto che situazioni ed eventi molto simili a quelli che stiamo vivendo sono già avvenuti nel passato, per la precisione in due momenti storici lontani e diversi tra di loro.
     Dapprima ci sono stati gli scontri tra cristiani e mussulmani conclusisi con le battaglie di Poitiers (732) e Akroinos (740), la cui realtà storica sfuma nella rielaborazione letteraria cavalleresca, mentre più precisi e confrontabili con gli attuali sono gli eventi verificatisi nell’arco di tempo che va dalla fine dell’Impero Romano d’Oriente con la caduta di Costantinopoli (1453) alla battaglia di Lepanto (1571).
  Infatti i Turchi, che i missionari bizantini avevano inutilmente cercato di convertire al cristianesimo, furono facilmente affascinati dall’islam per opera di imam e califfi arabi, in quanto si trattava di un credo molto più congeniale al loro temperamento, anche perché lo si praticava con la scimitarra. Ed essi accettarono con l’entusiasmo dei neofiti gli ordini impartiti ai “veri credenti” da Maometto, impegnandosi a fare «la guerra a coloro che non professano la credenza della verità», avendo fede che «chi cade sulla strada della jihad avrà i favori e la misericordia di Allah». Di qui si sviluppò la “guerra di corsa” praticata dai corsari barbareschi contro la cristianità. Nelle loro scorrerie nel Mediterraneo essi attaccavano e saccheggiavano le navi e i villaggi cristiani, dividevano il bottino sulla base di determinate carature, riservando sempre il dovuto “quinto” alla Sublime Porta, ossia al sultano che regnava a Costantinopoli e del quale essi erano fedeli vassalli, essendo stati nobilitati con “patenti” che non solo autorizzavano, ma incoraggiavano e sostenevano queste loro delittuose azioni. Così, mentre gli eserciti islamici penetravano minacciosamente nel cuore dell’Europa, giungendo fino alle porte di Vienna e sfilando per le strade di Ratisbona (1529), i traffici marittimi erano quotidianamente messi a repentaglio dagli assalti a sorpresa dei veloci vascelli con la bandiera verde con la mezzaluna. Nello stesso tempo le coste, soprattutto quelle italiane, venivano continuamente saccheggiate dai corsari islamici avidi non solo di tesori ma anche di uomini, di giovani e belle donne, nonché di fanciulli per alimentare il loro fiorentissimo mercato degli schiavi.
   Se leggiamo le testimonianze sulle incursioni dei barbareschi nelle località costiere italiane, possiamo notare che esse non sono quasi mai avvenute a casaccio, ma suggerite e pianificate da una “mente” militare. Le loro azioni risultano spesso precedute da un’attenta raccolta di informazioni (confessioni estorte a prigionieri o delazioni di rinnegati) e quindi messe a punto come una moderna operazione di commando. Anche se gli aggressori risultano essere un’accozzaglia di gente di varia provenienza (berberi, turchi, moriscos, rinnegati europei di vari paesi) tutti operano con ordine e disciplina. L’obbiettivo scelto è quasi sempre una località priva di difese e facile a essere colta di sorpresa, grazie anche alla leggerezza delle imbarcazioni e all’agilità degli assalitori.. La tattica privilegia l’attacco nel cuore della notte con lo scatenarsi tra urla e schiamazzi per creare scompiglio. Il saccheggio viene effettuato con metodicità, mentre gli assaliti non hanno né tempo né modo per organizzare la difesa. La spietatezza dei corsari è feroce: chi si difende viene ucciso, così i vecchi, i malati e coloro che non appaiono “vendibili”. Le persone abili (uomini, donne e fanciulli) vengono invece incatenate e caricate sui vascelli. Nello stesso tempo non tralasciano mai di devastare le chiese, di bruciare le immagini sacre e di distruggere le odiate campane. Per i prigionieri c’era solo la possibilità di un riscatto da parte dei loro congiunti, che arrivavano a dissanguarsi vendendo tutto e indebitandosi, o per intervento delle confraternite che sempre più spesso si costituivano.
   Gli schiavi fornivano soprattutto la forza motrice per muovere le navi, le famose galee,  dove le condizioni di vita erano disumane, regolate dall’aguzzino a colpi di fischietto e di staffile. Infine, quando non servivano più, venivano uccisi. Altri finivano nei “bagni”, una sorta di lager in cui le condizioni di vita erano orribili come si può evincere dalle lettere, conservate negli archivi di alcuni centri costieri italiani, che i disperati prigionieri riuscivano in qualche modo a far giungere per narrare il loro dramma.
      Su questo scenario si intrecciarono storie più o meno romanzesche, con protagonisti come il corsaro Barbarossa, rinnegato calabrese, e il suo giovane luogotenente Dragut, e anche il ritorno sulla scena del vecchio ammiraglio Andrea Doria insieme a Marcantonio Colonna, finché, dopo l’assedio di Malta e l’assedio di Famagosta, si arrivò all’epilogo con la battaglia di Lepanto.
      Questi pochi cenni storici sembrano sufficienti per ricordare che il soffrire acute sofferenze a causa dei seguaci dell’islam non è una novità, ma una ricorrenza storica che riemerge quando si vengono a creare determinate situazioni di conflittualità tra il mondo mussulmano e l’occidente.
      Per due volte nel corso dei secoli la situazione è stata superata: ci ritroviamo nuovamente in un’emergenza che, seppure ingigantita dai mezzi tecnici oggi a disposizione, presenta analogie con quanto già avvenuto e soprattutto è motivata e sostenuta sempre da istanze analoghe, anche se, ora come nel passato, possono mascherare più subdoli interessi economici. Ad essere diversi oggi siamo noi, che abbiamo compiuto un più lungo cammino mentale e culturale che ci ha portato ad allontanarci sempre più dall’idea della contrapposizione con il nemico e a privilegiare il dialogo e le situazioni di pace rispetto a quelle belliche.
       Ma dobbiamo avere chiara consapevolezza che la responsabilità del momento presente nei confronti della storia è enorme. La generazione attualmente al potere in occidente ha in mano un nodo di portata determinante che richiede lungimirante capacità d’azione. Non limitiamoci alla solidarietà nei confronti della Francia, ovvia da parte di chi, come tutti noi, può essere ugualmente oggetto d’attacco, ma esprimiamola con uno sforzo di riflessione che porti ad azioni risolutive per tempi lunghi, i tempi della storia. Evitiamo soprattutto la superficialità degli esibizionismi di gusto carnevalesco come quelli che in troppo alta misura circolano in questi giorni, dal farsi fotografare con la bandiera francese tatuata sulla guancia al velare con i colori della bandiera francese la propria immagine in facebook.
       Questi atteggiamenti sono speculari a quelli di chi vive di sola gioia materiale, di chi va a sentire chi canta Kiss the devil…, alle commemorazioni di chi si sente offeso per il furto del ‘tempo libero della nostra gioventù…’.
    Va ricordato che tra le vittime del terrorismo islamico ci sono molti eroi musulmani anche in Occidente che non hanno esitato a sacrificarsi per altri,cristiani e non, tuttavia concordiamo con quanto sostenuto dal candidato democratico/avversario della Clinton, Bernie Sanders, nelle presidenziali americane che sostiene la necessità che quanti nell’area mussulmana si professano islamici moderati, specie  nella regione in conflitto, lo dimostrino e si oppongano veramente  all’Is, invece di tacere, come sta avvenendo ora. Questo vale anche per le moschee in Occidente dove continuano ad esserci iman ambigui… (il papa più volte in Turchia ha chiesto a coloro che hanno posizioni eminenti nell’Islam di pronunciarsi contro la violenza ma il suo appello è rimasto senza esito…). Con ciò non vanno beatificati gli Sciti, anzi bisogna prendere atto della realtà dei fatti, ricordando, ad esempio, che Rohani, lo scorso anno, ha pronunciato ben 2000 condanne a morte, come denunciato dall’associazione “Nessuno tocchi Caino”... Gli americani in tutto questo disastro hanno responsabilità indiscusse: l’Is faceva gioco per contrastare l’Iran e gli Sciti…, i sauditi, alleati dei salafiti, sono stati sempre protetti dagli Stati Uniti, pur consapevoli che nel Golfo c’erano i finanziatori di Al Qaeda e dell’Is…
     


mercoledì 4 novembre 2015

RACCAPRICCIO

  
Carlo Biancheri

  Abbiamo assistito con insofferenza ad un dibattito a Ballarò e su La7 a proposito dei due famosi libri in uscita che utilizzeranno le informazioni  carpite in Vaticano da disonesti (se non mascalzoni) e date a giornalisti in cambio…
   Quel che spaventa è che ormai in tutti gli argomenti i maîtres à penser siano i conduttori televisivi ed i giornalisti. Novelli Robespierre, pur avendo, nella migliore delle ipotesi (!)una vaga infarinatura culturale, parlano e si adirano, come  Soloni, su temi che non conoscono.
   La tesi è che il papa non ce la farà a cambiare un ‘lupanare’ in una Chiesa che loro vogliono perfetta, pur non essendo credenti. Si esprimono come se la vita di fede fosse una questione di logica, divulgatori di un razionalismo di bassa lega, tuonano che c’è contraddizione negli uomini di Chiesa e che il Vangelo… Sennonché, quando il Vangelo viene citato lo è a sproposito. Ad esempio, il Giannini afferma con veemenza: «Certo, il Vangelo dice è ‘necessario che avvengano gli scandali…’» oportet’, con tono scandalizzato, mentre l’altro assentiva. Ma… veramente, a leggere la Bibbia di Gerusalemme troviamo: «È inevitabile… che gli scandali avvengano, ma guai…ecc.» (Matteo 18,6); la cosa è molto diversa, signor Giannini , a meno che da consumato biblista, lei reputi che la traduzione della Bibbia di Gerusalemme non sia corretta… Ci domandiamo se questi signori  non si muovano meglio in altri ambiti, altre credenze diffuse di tipo deista, col dio orologiaio…
   L’equazione, infatti, in una logica che sfiora l’eccitazione, è che se uno si professa cristiano deve essere perfetto. Un po’ quello che sostenevano i Bogomili in Bulgaria e poi i loro figli spirituali, i Catari, in Provenza, non senza qualche affinità con i Calvinisti, poi… e …, allora, il cerchio si chiude? I Calvinisti sono molto stimati da certi ‘fratelli’, per intenderci…
   Se prima di parlare si documentassero un po’, saprebbero che la Chiesa è definita ‘casta  et meretrix’ e che il Concilio Vaticano II, che loro ignorano, dice che è bisognosa di continua purificazione.
   Se c’è un papa che cerca di far coincidere vita e predicazione, come dice Gregorio Magno nei Dialoghi del Santo padre Benedetto, non vuol dire che non ne debba sbagliare una come, ad esempio, la nomina di quei due.
   Che in Vaticano, che è altra cosa dalla Chiesa, pur non essendo fuori di essa, ne succedano delle belle  nel corso dei secoli, basta conoscere un po’ di Storia oppure leggere I sotterranei del Vaticano del massone Gide, ma questo cosa prova se non che la fede richiede una continua purificazione? «Ah! Ma mia nonna che andava in Chiesa…», tu non ci vai e i soldi non li dai, lascia  a chi ne fa parte di esaminare cos’è che non va.    Essendo lontanissimi dal Vangelo che, infatti, citano a sproposito, ignorano  il ‘chi vuol venire dietro di me…’
   Questi moralisti che pretendono comportamenti coerenti con la loro logica cosa avrebbero detto a Pietro dopo che il gallo cantò per la terza volta? «Lascia  il tuo ruolo di pascere le pecore perché non ne sei degno. Vergognati». Loro pensano che la salvezza sia come aderire al Club Canottieri Roma: tu cosa sei? cattolico? E tu, sei romanista? Ignorando anche Marx, non sanno che per i credenti teoria e prassi tendono… a coincidere ma la perfezione è nella ‘parusia’. La chiave è il credere e poi la Chiesa è l’arca dei peccatori perdonati, il che implica il pentimento ovviamente…
    Un credente è contento di questo papa ma sa anche che non è la fine della Storia e che è il Vicario di Cristo ed è uomo…
   Alla fine della fiera, capiamo che ciò che interessa ai fornitori di notizie è che la famosa libertà di stampa non conosca vincoli perché questo sì è l’assoluto, come insegnano i ‘santi padri’ illuministi. Ma quando si trasforma in licenza… o in idiozie propalate alla gente? Si vorrà riconoscere il diritto di sentire tutte le opinioni o dobbiamo vivere in processi sommari in tv? La guerra sino-americana scoppiò per notizie false di cronisti cretini che si rivelarono a cose fatte infondate.


venerdì 30 ottobre 2015

METTETECI ALLA PROVA

Carlo Biancheri


   Questo è lo slogan ricorrente degli adepti del comico in disarmo e del guru cultore di Scientology, una setta, come noto, dove proliferano i "fideisti"; del resto non è un invito a credere e basta lo slogan del titolo?
   Per la verità non vorremmo tediare i nostri venticinque lettori facendo un'analisi del pensiero, diciamo così..., del Grillo, del Casaleggio, o del giovane Di Maio, della Lombardi, di Di Battista - quello che vuole capire le ragioni dell'Is...- o del Tominelli: c'è poco da analizzare perché i contenuti sono poverissimi; manca una strategia complessiva al di là del "decidono i cittadini" (lo rispettano sempre?) e, soprattutto, non c'è una proposta seria, articolata che vada oltre un mero gioco di rimessa, la sola cosa che sembrano fare. Perché non proporre una legge di stabilità alternativa che ci spieghi, tra l'altro, con quali risorse finanziare il reddito di cittadinanza? Perché non indicano come affrontare l'emergenza immigrati? Perché non ci parlano del funzionamento della Pubblica Amministrazione?        Del processo di riduzione e semplificazione delle norme? Del funzionamento della Giustizia? Quando si avventurano sugli aspetti tecnici, le sciocchezze abbondano. Per esempio, continuano a sostenere che, siccome nell'azionariato di Banca d'Italia ci sono i vigilati, la vigilanza è di parte. Lo hanno letto lo Statuto della Banca d'Italia, o meglio, hanno capito come funziona? Lo sanno quante sono le Banche centrali quotate in borsa nel mondo? Citiamo solo la Bank of England, la Banca Centrale del Giappone, la National Bank australiana: forse non esercitano la vigilanza perché gli azionisti sono dei privati? E tutti i Regulators del mondo, Consob inclusa, non sono, per caso, finanziati dai vigilati? Non sono indipendenti? Conoscono i ragazzi direttive/regolamenti comunitari del settore? O i principi della IOSCO, la International Organization of Securities Commissions, cioè i vigilanti borsistici? O quelli di Basilea, cioè quelli bancari? Precludono, forse, in assoluto la presenza dei vigilati per evitare i conflitti d'interesse? Non si parte per caso dal presupposto manicheo, da parte di alcuni del gruppo, diciamo così..., che la banca sia un male in sé? Parliamo dell'a, b, c, per chi voglia pronunciarsi in queste materie ed invece, ahimè, in Parlamento, sentiamo degli esagitati aggredire il Ministro Padoan, ripetendo, come un mantra, assunti insensati, senza che il Presidente di turno, all'oscuro di tutto, ovviamente..., riprenda il parlamentare facendogli notare che l'aggressione è immotivata perché basata su aria fritta.
   Abbiamo già scritto che dedicarsi alla cosa pubblica è una vocazione che suppone qualità morali e competenza, altrimenti si cade nella oclocrazia, nel populismo; diversamente da quello che scrivono certe cassandre sui giornali, il disordine attuale non è solo un problema tecnico, di formazione della classe dirigente: quello a cui assistiamo è il risultato di qualcosa che viene da lontano, provocato da cause molteplici ed che ci ha portato ad un malessere, ad una confusione totale.
Si dice spesso che le ideologie sono finite. Noi diremmo "certe ideologie", autoreferenziali, incapaci di confronto: si può forse operare nella vita sociale senza avere una visione del mondo, un'antropologia? E dunque un'ideologia, intesa come un insieme di valori di riferimento? Privilegio la vita rispetto alla non vita; tutti gli uomini sono uguali indipendentemente dal colore della pelle o dalle credenze... Cos'è questo? Come lo chiamiamo? Weltanschauung? Sono italiano e la chiamo ideologia.
   Aristotele è stato sbeffeggiato fino alla fine dell'Ottocento dalle truppe cammellate dei conformisti del 'pensiero critico', cioè da Kant in poi, che ci avrebbe svegliato, pensava lui, dal sonno dogmatico, poi i fenomenologi, poi i cultori dei sentieri interrotti... nel bosco... che cioè non conducono da nessuna parte (Chemins qui ne mènent nulle part... o Holzwege). Con quali esiti? L'egolatria..., il soggettivismo.
   I realisti - non ci stancheremo di ringraziare Wittgenstein del Tractatus logico-philosophicus che in due parole sostiene che in filosofia o si è realisti od idealisti, tertium non datur...- si rifanno, come Marx del resto, ad Aristotele. Ed Aristotele, come scrive magistralmente Francesco Calvo in Cercare l'uomo. Socrate Platone Aristotele (Il Mulino), dice che l'atomo costitutivo dello Stato è l'individuo, nel presupposto che lo Stato sia una koinonia di individui, ma per Aristotele l'individuo considerato isolatamente è un'astrazione, non potendo neppure sussistere se non inserito in una più vasta comunione di individui; la nozione di autarchia non deve mai esser interpretata in modo anarchico, quasi che l'individuo potesse ritirarsi da tutti in una completa solitaria soddisfazione di sé: chi vive solo o è un dio o è una bestia, sostiene Aristotele...
   L'individuo si accoppia come gli animali ma con coloro che gli sono affini per natura (v. Etica Eudemia). Da questa tendenza ha origine la famiglia, la oikia, la casa, la forma minima di koinonia che Hegel definirà la prima forma dell'eticità concreta dove i due "esercitano l'essere presso di sé nel proprio altro" - e qui siamo nel mondo come rappresentazione.. aggiungerà dopo qualcun altro...
Nella famiglia si manifesta subito il koinon, la casa che costituisce la prima comunità. Tutto il primo libro della Politica è dedicato ai rapporti che si stabiliscono all'interno della casa: padrone-schiavo; marito-moglie; padre-figlio, e l'economia domestica in vista del bene comune. Ogni forma di koinonia per Aristotele si sviluppa nella direzione contraria a quella di un livellamento e di una omogeneità forzosa dei membri della comunità. Sia detto per inciso, per Platone, al contrario, il Bene è estrinseco all'individuo cui non resta altra scelta che aderirvi: perciò lo Stato sarà il governo degli ottimati e al limite di un unico saggio... Per Aristotele, invece, ogni unione politica, che si tratti di famiglia, di villaggio o di Stato deve costituirsi in modo da preservare la diversità dei suoi membri perché solo questa diversità e la cooperazione che la cementa sostiene all'interno della comunità l'integrazione del benessere proprio e di quello comune, fino al riconoscimento che il vero benessere comune è quello che si realizza nell'identificazione dell'interesse proprio come il ridondare dell'uno sull'altro.
   Se si applicassero queste categorie al dibattito sulla step child adoption, a quali conclusioni si perverrebbe? La sig.na Cirinnà sostiene, come una Erinni, che si tratti di un diritto... ma che soddisfa chi? I partners dello stesso sesso? E non viene privilegiato un diritto, escludendo quella cooperazione di cui parla Aristotele, dove deve trovar spazio anche il diritto del bambino e di tutti quelli con cui si vive in koinonia e cioè la Società? Gli uomini non sono isole... e questa è la prova provata che la filosofia di Locke e compagni è solo l'espressione di un egoismo borghese che costruiva la società come un insieme di individui , con regolamento dei confini.
   Aggiungiamo che il mito rousseauiano del buon selvaggio ha fatto il resto perché, contrariamente a quel che pensava il nevrotico svizzero, già ospite del Lazzaretto di Genova, l'uomo vive naturalmente in comunità... e si realizza solo in essa.
   Quel che manca è un'antropologia che vada oltre l'anomia e il piatto materialismo: dice nulla che nella crisi solo i centri estetici non ne abbiano risentito? E questo è progresso nella Storia? 

sabato 19 settembre 2015

LA BUONA SCUOLA DI RENZI E' DAVVERO BUONA?

Rosa Elisa Giangoia

     Innanzitutto bisogna dire che, dopo decenni di politica del risparmio che ha danneggiato la scuola pubblica in Italia, questa riforma, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio, che già nel suo primo discorso in Senato aveva affermato di pensare che «non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità della scuola», stanzia per la scuola 3 miliardi di euro e assume 102.700 insegnanti precari. Questo dato positivo, però, non è altro che la necessaria normalizzazione di una incancrenita situazione di negligenze e ingiustizie che aveva fatto sì che laureati che avevano compiuto tutto il percorso professionalmente formativo, di volta in volta in vigore, per diventare insegnanti fossero utilizzati dal governo in condizione di precariato. La situazione negli anni era diventata estremamente confusa, con concorsi statali bloccati, insegnanti “stabili” con contratti da precari, decine di migliaia di contratti di supplenza annuale: di conseguenza è risultato difficile stabilire le priorità e le garanzie dei diritti, per cui sono esplose, all’interno della categoria dei docenti, tensioni e conflitti.
    Nello stesso tempo riemergevano situazioni difficili da tempo presenti nella scuola: condizioni strutturali ed edilizie a rischio per molti edifici scolastici, la mai realmente attuata autonomia scolastica, la necessità di ammodernare le strutture e la didattica, tutte in gran parte determinate dai tagli di circa 8 miliardi di euro e dalla soppressione di circa 120.00 lavoratori della riforma del ministro Gelmini.
    Quando si inizia a delineare questa attuale riforma (settembre 2014) il Presidente del Consiglio avvia un dialogo diretto con la cittadinanza, attraverso forme di democrazia partecipata che (un po’ demagogicamente) vorrebbero coinvolgere docenti famiglie e studenti, tramite un questionario on-line e position-papers. I risultati sono senz'altro deludenti: le risposte al questionario sono solo 207.000!
    Ma nell'itinerario di elaborazione della riforma il momento di svolta avviene il 26 novembre 2014, quando la Corte Europea del Lussemburgo obbliga il governo italiano a regolarizzare i contratti precari degli insegnanti prorogati dopo 36 mesi di lavoro. Da quel momento si avvia, attraverso gli opportuni atti legislativi, il piano di stanziamento dei 3 miliardi di investimento per le procedure di assunzione. Nel disegno di Renzi avviene però un deciso cambiamento: dalla riforma scompare l’attenzione ai problemi educativi e prevale l’elaborazione tecnico-politica di un piano teso più a risolvere le situazioni dei docenti che a garantire una nuova formazione agli studenti.
    A questo punto l’iter della riforma procede veloce: il 24 giugno il Governo blinda il testo e pone la fiducia al Senato e il 9 luglio la riforma è approvata alla Camera. Di fatto la prospettiva iniziale di elaborazione condivisa della riforma è stata completamente capovolta: si è arrivati all'approvazione di un testo blindato al quale non è stato possibile porre emendamenti o discuterlo in Aula!
     Esaminiamo le innovazioni salienti
     Innanzitutto viene fortemente modificata la figura del dirigente scolastico, a cui è data la facoltà di scegliere i docenti rendendo pubblici i criteri seguiti, non solo per coprire l’organico, ma anche senza una loro classe, da utilizzare per supplenze e nel monte ore del 30% per potenziare alcune materie caratterizzanti l’offerta formativa. Se applicato con assoluta correttezza e trasparenza questo criterio di avere gli insegnanti migliori per raggiungere gli obiettivi prefissati dal P.O.F. potrebbe essere ottimale, ma c’è da fidarsi dell’assoluta correttezza e trasparenza? Saranno i fatti a dircelo.
   Inoltre il dirigente scolastico avrà a disposizione fondi per premiare i docenti che più si impegneranno e potrà scegliere un gruppo di insegnanti “collaboratori” per far funzionare e governare la scuola, cosa che, per la verità, già avveniva con le “funzioni obiettivo”. Ma resta aperto un problema: quello di individuare chi controllerà i dirigenti scolastici.
    Altre presunte innovazioni sono in realtà un ritorno al passato.
    Si dice infatti che entro il 1° dicembre dell’anno corrente verrà bandito un concorso per insegnanti a cui potranno accedere i precari non assunti, di cui entreranno in ruolo il 60%, mentre gli altri formeranno una specie di fascia di esodati che dovrebbero iniziare nuovi percorsi di formazione per partecipare a futuri concorsi, fino a quando non risulteranno vincitori. In questo modo si ripropone la situazione anteriore al 1974, quando si entrava in ruolo solo per vincita di concorso. Ma in quegli anni ci fu un enorme aumento della popolazione scolastica, specie alle superiori, che costrinse all'utilizzo generalizzato di precari (non selezionati o reduci da diversi insuccessi nei concorsi) che dopo qualche anno vennero indiscriminatamente immessi in ruolo ope legis con un notevole abbassamento del livello culturale e professionale dei docenti che fu l’inizio del decadere della scuola e del crollo di considerazione da parte dell’opinione pubblica nei confronti della categoria. Anche nel caso attuale sarà la realtà dei fatti a determinare l’evolversi della situazione, in quanto non è prevedibile il fabbisogno di docenti nel prossimo decennio, date le variabili demografiche dovute a natalità e immigrazione.
    Anche la card di 500 euro l’anno che verrà data ai docenti da spendere per “consumi culturali” ricalca i rimborsi e le detrazioni fiscali che si erano varate qualche decennio fa per gli stessi fini, ma che hanno avuto vita e attuazione brevissima per la mancanza di fondi rapidamente sopravvenuta. Speriamo che questa volta la storia non si ripeta… Allo stesso modo, dopo i corsi di aggiornamento semi-vacanze-premio degli anni ’60, negli anni ’70 e ’80 grande sviluppo ha avuto la pratica dei corsi di aggiornamento per insegnanti che ha tenuto in piedi associazioni culturali e professionali a cui erano demandati e che gli insegnanti frequentavano, con più o meno profitto, ma senza alcuna verifica, con il miraggio di scatti di carriera. Poi tutto si è dissolto… e non se n’è più parlato, come se la necessità di aggiornare gli insegnanti non fosse costante. Ora la Buona Scuola prevede una “formazione comunitaria” in servizio per i docenti a cui vengono destinati 40 milioni di euro da ripartire tra tutte le scuole. Vedremo chi li organizzerà, come verranno gestiti e soprattutto se questa volta la positività dell’aggiornamento verrà in qualche modo verificata.
   Centrale vorrebbe essere nella Buona Scuola il rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro, in quanto prevede 400 ore di stage  in aziende o enti pubblici per gli studenti degli istituti tecnici o professionali, mentre per i liceali, 200 facoltative.  Gli stage, con tempi più ridotti e organizzati in modo piuttosto dilettantesco, li abbiamo già sperimentati, con scarsi risultati soprattutto per la futura occupazione dei giovani che continua ad essere al 44%. Speriamo che ora tutto venga organizzato in modo ottimale, utile per trovare lavoro  dopo il diploma, nonostante i soli 100 milioni di euro stanziati.
   Resta comunque irrisolto il problema che i ragazzi italiani escono a 19 anni, mentre in altri paesi europei e non la soglia è di 18.
   Di nuovo la riforma prevede la detrazione fino a 400 euro per chi iscrive i propri figli in scuole paritarie, che in genere hanno rette piuttosto alte, per cui la detrazione copre una minima parte, mentre stanzia per il funzionamento delle scuola da 111 a 200 milioni di euro, che comunque non eviteranno i contributi (più o meno) volontari delle famiglie al momento dell’iscrizione ad una scuola pubblica.
   In questa riforma manca però qualcosa di molto importante. Mancano completamente la dimensione didattica, pedagogica e antropologica, nonché l’attenzione sociale. Innanzitutto non si considerano i problemi del disagio, degli alunni e degli studenti poveri, non si considera che, mentre nei paesi del nord Europa l’istruzione è completamente gratuita, in Italia ogni studente costa mediamente 700 euro all'anno alla famiglia, che sovente non è in grado di sostenerlo. Inoltre non si affronta in modo globale il problema dell’insuccesso scolastico (17%) e dell’abbandono che nel nostro paese si aggira intorno al 20%, ponendoci tra i paesi fanalini di coda dell’Ocse. Queste dinamiche si correlano anche alla condizione stipendiale degli insegnanti, se pensiamo ai premi che possono dare i dirigenti scolastici in netto contrasto con il programma di Obama (Teaching for America) che assegna stipendi più alti ai docenti che scelgono scuole difficili, socialmente disagiate e periferiche, in somiglianza con quanto era stato fatto in Italia alcuni decenni fa riguardo ai magistrati, categoria privilegiata dallo Stato a tutto danno dei docenti.
   Completamente eluso rimane l’interrogativo di fondo su quali persone e soprattutto quali cittadini vogliamo che la scuola formi e attraverso quali percorsi culturali, cosa che era ben chiara a Giovanni Gentile nel delineare il liceo classico e la sfaccettatura degli istituti tecnici. A questa domanda inoltre dovrebbe precedere l’interrogarsi sul fatto che nel nostro paese l’analfabetismo è ancora intorno al 3,5 %, mentre la percentuale dei laureati sul totale degli occupati è un sesto di quella degli USA e un terzo di quella della Francia, senza contare il fatto che la maggior parte dei nostri migliori laureati trovano lavoro all’estero, per cui noi li prepariamo per gli altri…
   Nella riforma manca uno specifico insegnamento sulla cittadinanza, inoltre le forme di partecipazione alla gestione della scuola non sono incentivate e non si promuove l’educazione ad un loro corretto uso. Manca, in definitiva, l’educazione ai valori del bene comune, ai valori del vero, del bene e del bello.
   A questo riguardo occorrerebbe affrontare la questione in profondità, con saggezza e competenza.