Emanuele Porta
Risposta
Oggi è la domenica delle Palme, la liturgia del ‘servo sofferente’, l’inizio della settimana ‘grande’.
L’omelia
del papa è stata ineccepibile: amare Dio e amare il prossimo, perché il
senso della vita è l’amore. Amore non nel senso equivoco dei maîtres à penser
del pensiero contemporaneo che si rifanno a Nietzsche il quale
incoraggia a vivere l’istante come se si potesse gioire del presente
senza un futuro, senza un’attesa: anche l’istante d’amore, al di là
della fisicità, si consuma senza la speranza di un futuro. È una
tentazione diabolica teorizzare di ‘vivere per la morte’, teoria
insegnata in tante Università ecclesiastiche, sulle orme di un certo
filosofo che non merita neppure di esser nominato: si tratta, a nostro debole parere, di stoicismo ribattezzato oppure di orgoglio antropocentrico: L’homme revolté di Camus forse spiega qualcosa.
Eppure
il papa parla poco della vita di Dio, quella del Vangelo di Giovanni,
del Prologo, l’altra vita che dà senso alla presente… e del fatto che,
come suggerisce Kierkegaard, non c’è una spiegazione per tutte le cose
che avvengono in questo mondo. C’è lo ‘scacco’ che descrive non i
singoli mali del mondo – la pandemia, un rovescio di fortuna, la
miseria- ma il malum mundi, il limite che l’uomo incontra e che impedisce una felicità ‘piena’ in questo ‘tempo’terreno, quello che nella Salve Regina si chiama ‘valle di lacrime’.
Al di là della sua persona vediamo il contesto.
Viene dalla ‘fine del mondo’, l’Argentina, è gesuita, ha conosciuto la miseria del Sud America delle barriadas, dei pueblos jovenes, la Chiesa dopo Medellìn e la teologia della liberazione.
Inutile leggere Borges, bisogna vedere l’Argentina, las pampas,
un oceano di pianura senza confine, spazi sterminati come le vie di
Buenos Aires, una città in movimento perenne, ma senza una direzione. Si
avverte la necessità di un contatto umano per non perdersi in una
natura così vasta. L’Argentina alla creazione dello Stato aveva una
maggioranza di immigrati provenienti dall’Italia e, tuttavia, la lingua
ufficiale divenne lo spagnolo, semplicemente perché gli italiani delle
diverse parti d’Italia non parlavano italiano, ma il dialetto, e non si
capivano tra di loro. Già alla seconda generazione l’Italia è qualcosa
di ‘sentito dire’, un ricordo tramandato e l’attuale papa non ha
assolutamente alcunché di italiano. Ha scelto il nome di Francesco piccolino senza neppur esser stato ad Assisi dove si respira ancora il ‘tratto’ francescano e senza conoscere le Fonti francescane
(Tommaso da Celano, Bonaventura, i tre compagni, ecc.,ecc.) e quindi
senza poter comprendere bene che il matrimonio con Madonna Povertà non è
affatto ‘pauperismo’ manicheo (‘Francesco, viene uno con le belle
vesti…’,’Bene, lasciatelo venire, potrà far del bene…’), ma
identificazione con i ‘piccoli’, con gli ‘ultimi’ – quel che avrete
fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me…- nel
processo di Cristificazione che culmina col cherubino alato e cioè con
le stimmate a La Verna. I francescani in Sud America, storicamente sono
stati altra cosa. Basti pensare alle carrozze lussuose dei provinciali
nel Vice Reinado de Lima: guardiani dei conquistadores sebbene prossimi al popolo. Anche l’ecologia ante litteram
di Francesco, per quanto tante voci francescane si affannino a
sostenere il contrario, significa, per chi scrive, vedere semplicemente
nel creato un ‘riflesso’ di Dio creatore: tutto il creato canta la
gloria di Dio… Dopo tutto, la chiave di Francesco è: la vostra pace sia nella Sua voluntade.
Un
papa gesuita che ha studiato un po’ in Germania e i tedeschi hanno
creato tragedie ogni trent’anni nella Storia degli ultimi
centoquarant’anni…
Quei
tedeschi che quando si allontanano dall’umanità e dalla grandezza di
un Bach finiscono in Wagner – orchestrazione perfetta, musica confusa
ebbe a dire Verdi- o in Hegel che si immagina che esista la Storia con
una sua razionalità, quasi fosse un’entità metafisica, una sorta di
affabulazione, un grande affresco dove la realtà è per così dire
immaginata: esse est percipi sosteneva un altro della partita. I tedeschi, incuranti del ‘parvus error in principio,magnus in termino’, nella
facoltà teologica di Tubinga hanno pensato bene di sostituire al
realismo tomista, Hegel, appunto, con tutto cioè che ne consegue: panentesimo?
Altro che Storia umana e Storia della salvezza (v. H.I. Marrou): è un
tutt’uno per cui progresso umano e spirituale si identificano.
Di
questo si sono serviti i teologi della liberazione (ma anche Teilhard
de Chardin) che un grande pensatore e teologo italiano Mons. Natale
Bussi di Alba, nominato da Fenoglio in punto di morte tutore della
figlia, e compagno di scuola di Pavese, stimatissimo da don Alberione,
ora proclamato santo, paragonava a dei salumai dinanzi alla Divina Commedia: il salumaio ha dinanzi a sé aperta la Divina Commedia, arriva un avventore e chiede un etto di salame e il salumaio, dopo aver tagliato il salame, strappa una pagina della Divina Commedia per incartarlo...
I
gesuiti poi, troppo spesso, usano i mezzi mondani nell’intento di
convertire il mondo. Sul punto abbiamo già trattato in altro post con
Pascal e le Lettres provinciales. Tutto si incentra su obbedienza
e volontà e del resto il fondatore era un militare e di ‘Compagnia’ si
tratta… Il contrario di quel che si legge nel profeta Osea: la porterò
(la prostituta e cioè tutti noi) nel deserto e parlerò al suo cuore.
Questo
papa si esprime in modo demitizzante e questo è anche sensato,
perché dopo la dichiarazione di infallibilità papale i cattolici hanno
spesso scambiato il papa con Cristo stesso, mentre è solo il successore
di Pietro il quale, abbiamo letto oggi, tradisce tre volte e scappa
quando Gesù viene arrestato nell’orto degli ulivi né risulta che fosse ai piedi della croce. È anche apostrofato come ipocrita da Paolo come si legge negli Atti e
quindi anche lui è stato debole. Del resto, se non fosse così, cosa
dovremmo dire di papi come Bonifacio VIII, Alessandro VI, Leone X,
figlio di Lorenzo il Magnifico, Clemente VII, Paolo III, ecc.? Ora c’è
la moda di santificare i papi – Dante e Giotto li mettevano all’inferno-
ma, come insegna san Tommaso, il Doctor comunis, nella Summa, non si tratta di dogma; bisogna crederlo perché la Chiesa lo crede.
Santa
Caterina da Siena, analfabeta, Dottore della Chiesa, chiamava un papa
della cattività avignonese (!) ‘dolce Cristo in terra’ nelle bellissime
lettere, ma definiva anche la Chiesa ‘giardino puzzolente’. Ecco il
paradosso è tutto qui: natura e grazia. Ma Teresa di Lisieux fa
l’esempio dei ditali – la nostra natura-: ce ne sono di grandi e
piccoli, l’importante è che siano pieni d’acqua (la grazia).
Lo stesso direi per l’attuale papa.
La frantumazione dialettale degli italiani in Argentina riguarda anche
RispondiEliminapapa Francesco, rimasto legato al piemontese imparato dalla nonna
paterna Rosa: Fin dai primi giorni del suo pontificato i giornali hanno
parlato della sua conoscenza della canzone degli emigrati piemontesi in
sud America "Rassa nostrana" e della sua abitudine all'uso del "Cerea".
Poi una volta ha usato l'espressione "monia quacia" e recentemente ha
fatto riferimento alla preghiera alla "Consolà", la Madonna Consolata,
antica patrona di Torino, e alla poesia-preghiera dedicatale dal poeta
dialettale Nino Costa, le cui poesie ha voluto fossero comprese tra i
libri a lui più cari, pubblicati qualche anno fa da Rizzoli.
L'origine piemontese, in realtà, appare in Francesco una patina sottile, con piccole increspature, forse ad effetto, mentre più a fondo sembra contraddistinguerlo il vissuto sud americano, in particolare nel pensiero.
EliminaNel caso vi fosse sfuggito, vi inoltro questo articolo con molti complimenti alla signora Giangoia che penso sia la stessa persona che ha firmato la mirabile prefazione all'Eneide pubblicata da Rizzoli sempre nella collana dei libri preferiti da Papa Francesco.
RispondiEliminaGiovanni Bogino
La fase 2 di papa Francesco. Come Enea, abbandonare la città distrutta e salire sui monti
di Maria Antonietta Calabrò - l’Huffingotn Post 8 aprile 2020
La fase 2 per Francesco non è il ritorno alla fase 1. Non è il ritorno al mondo produttivo di prima. Sia esso economico, con la sua produzione di scarti umani di rifiuti inquinanti. Sia esso ecclesiale, con le sue consolidate modalità. Francesco è preoccupato. E lo confida in un’intervista pensata per le nazioni anglosassoni su cui si sta abbattendo la furia del coronavirus, concessa al suo biografo Austen Ivreigh, e pubblicata in italiano da La Civiltà Cattolica.“Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà”, dichiara Francesco. “Quale sarà, in quel dopo, il mio servizio come vescovo di Roma, come capo della Chiesa? Quel dopo ha già cominciato a mostrarsi tragico, doloroso, per questo conviene pensarci fin da adesso. Attraverso il dicastero per lo Sviluppo umano integrale è stata organizzata una commissione che lavora su questo e si riunisce con me”. Ecco Papa Francesco ha organizzato una task force e pensa a un futuro “tragico e doloroso”, e confessa che “sta vivendo questo momento con molta incertezza. È un momento di molta inventiva, di creatività”. “Ogni crisi - sostiene Francesco - è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato si’, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione”. Aggiunge: “Sì, vedo segni iniziali di conversione a un’economia meno liquida, più umana. Ma non dovremo perdere la memoria una volta passata la situazione presente, non dovremo archiviarla e tornare al punto di prima. È il momento di fare il passo. Di passare dall’uso e dall’abuso della natura alla contemplazione. Noi uomini abbiamo perduto la dimensione della contemplazione; è venuto il momento di recuperarla”. Il filo conduttore dell’intervista sono le immagini di grandi classici della letteratura antica e moderna. Dai I promessi sposi di Alessandro Manzoni, la cui storia si colloca nelle drammatiche vicende della peste del 1630 a Milano. Un romanzo zeppo di personaggi ecclesiastici: il prete codardo, don Abbondio, il santo cardinale, arcivescovo Borromeo, i frati cappuccini che si prodigano nel «lazzaretto». Che fa al caso della Chiesa odierna e tra cui Francesco preferisce Fra Cristoforo al cardinale Borromeo .
Ma anche Dostoevskij. “Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo. È celebre il romanzo di Dostoevskij, Memorie del sottosuolo. Noi depotenziamo i poveri, non diamo loro il diritto di sognare la loro madre. Non sanno che cosa sia l’affetto, molti vivono nella dipendenza dalla droga. E vederlo può aiutarci a scoprire la pietà, quella pietas che è unadimensione rivolta verso Dio e verso il prossimo. Scendere nel sottosuolo, e passare dalla società ipervirtualizzata, disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E senon cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro.” Tuttavia sono soprattutto Virgilio e l’Eneide ad essere citati dal Papa . “L’Eneide - dice - che, nel contesto della sconfitta, dà il consiglio di non abbassare le braccia: “Preparatevi a tempi migliori, perché in quel momento questo ci aiuterà ricordare le cose che sono successe ora. Abbiate cura di voi per un futuro che verrà. E quando questo futuro verrà, vi farà bene ricordare ciò che è accaduto”.
Ma questo Francesco è il Papa della Chiesa Cattolica Apostolica Romana o è stato nominato Segretario dell'ONU, senza che nessuno ne sapesse nulla?
RispondiEliminaBisogna tener presente che il Papa stava tenendo un messaggio "Urbi et
Eliminaorbi", quindi rivolto al mondo intero, verso cui è piuttosto
tradizionale che, sulla base della beatitudine evangelica che valorizza
la pace, il discorso sia di tipo universale e individui le zone del
mondo in cui la pace viene violata con sofferenza e dolore di molte
persone, nei cui confronti il Papa esprime solidarietà e vicinanza. I
temi di tipo spirituale di solito sono stati svolti dai Pontefici nelle
omelie delle liturgie.
E così è stato in questo caso.