Carlo Biancheri
Secondo Marx
ciò che rileva è la struttura dell'economia che, pur con oscillazioni di
pensiero, determina la sovrastruttura che definiremo, per semplificare,
l'idealità, cioè il quadro complessivo di valori in cui si muove una società. Una
sorta di causa ed effetto che riflette, seppur in chiave materialistica, il
mito ottocentesco delle soluzioni definitive, un po’ come la favoletta del
progresso della Storia in Hegel. Gli eventi hanno dimostrato che in paesi
caratterizzati dal controllo pubblico dei mezzi di produzione non vi è
stata alcuna liberazione delle persone anzi vi è stata una oppressione di pochi
burocrati (in Cina li chiamano i principi rossi...) sulle masse abituate a
vivere in un'economia di sussistenza. Eppure la struttura dell'economia ha una
qualche influenza sulla sovrastruttura: in un'economia ad alta disoccupazione, ad
esempio, una vita senza futuro destabilizza il modo di essere, di pensare.
Non ci sono alternative, allo stato, all'economia di mercato ma un mercato senza regole è una giungla, aggiungeva Keynes. La mania di soluzioni politiche illuministiche, cioè pensate come un modello matematico a tavolino, del tipo: 'abbiamo fatto l'Italia ora bisogna fare gli italiani...', sembra che dopo centocinquant'anni non ci si sia ancora riusciti..., ha portato a delle iniziative pasticciate con impatto rilevante. Abbiamo più volte evocato in questo blog la frenesia liberalizzatoria che ha prevalso in tutte le istanze internazionali negli ultimi trent'anni: FMI,OCSE,GATT,UE ecc. che doveva portare ad un sicuro sviluppo dell'economia mondiale abbattendo tutte le barriere ed i protezionismi. Presidenti americani incoscienti tipo Reagan e Bush ma anche Clinton con la diminuzione dei controlli sui mercati mobiliari, la Thatcher, Blair, Sarkozy, Aznar e da noi l'anfitrione delle cene eleganti erano i cantori delle felici, progressive sorti di un liberismo di stampo darwiniano. In economia, poi, guai a non essere monetaristi. L'autoregolamentazione e lo smantellamento dei controlli su mercati di borsa e sugli intermediari, a partire dagli USA, che, dopo la crisi del '29, avevano introdotto, tra l'altro, una separazione tra banche d'affari e banche commerciali con il Glass Steagall Act (ora semi-risuscitato: ma gli stolti che lo avevano smantellato sono tutti vivi e nessuno dice nulla?) per distinguere tra investimento e raccolta dei depositi; la liquidità senza freni e la cartolarizzazione dubbia dei debiti, stile Greenspan, hanno costituito un modello fino al brusco risveglio della crisi finanziaria che alcuni impudenti, come l'allora presidente della FSA-Financial Services Authority inglese, spiegavano come conseguenza di una cattiva allocazione delle risorse del risparmio e non una truffa organizzata, specie per opera dei global players, come si trattava. La liberalizzazione comporta crescita economica ma se mal regolata può creare arbitraggi regolamentari e quindi imbrogli nella concorrenza. Se si estende come si fa nel GATS o in sede OCSE la clausola della nazione più favorita che va oltre al trattamento nazionale riconosciuto a soggetti stranieri provenienti da paesi dove non esistono oneri sociali per le imprese, ove la fiscalità è al limite del dumping, i controlli sono quasi inesistenti si finisce spesso per creare delle disuguaglianze che danneggiano chi opera in un mercato regolamentato ed in una società evoluta, falsando la concorrenza. Peraltro, non si dice mai che alcuni sono più uguali degli altri, per così dire... e che impongono non solo scelte politiche, come sanzioni o presenze militari, ma modelli e regolamentazioni. Se si prendono ad esempio i principi contabili, fondamentali per la redazione dei bilanci, bisogna sapere che l'Europa, la sola Europa, ha adottato alla lettera (carbon copy approach) i principi internazionali, IAS/IFRS, dettati dagli americani (e dalla famiglia anglosassone at large...) anche se gli stessi americani non li applicano, preferendo i loro US GAAP. Avevamo dei bilanci delle società che non riflettevano la situazione reale delle imprese, applicando il costo storico ed il principio di prudenza, portato agli eccessi, e che determinavano riserve occulte a scapito degli azionisti, segnatamente nella distribuzione dei dividendi. Per volere statunitense e nell'assunto di creare un linguaggio comune in sede internazionale, per rendere i bilanci comparabili e quindi consentire di investire su soggetti operanti in una vasta platea di mercati, si è passati al principio del fair value ed ad una serie di regole che si attagliano agevolmente ad un contesto di economia di mercato anglosassone che è diversa da quella europea. Per fare un esempio, chi può dire nell'immobiliare, quale sia il valore di mercato, con pochi margini di oscillazione, di un cespite in Italia rispetto a quello che si ha in un mercato trasparente come quello americano, dove gli acquisti avvengono tramite un sistema ad asta? Se le nostre imprese non avessero adottato questi principi contabili avrebbero dovuto produrre un altro set di conti se interessate a raccogliere fondi sul mercato statunitense. Altre grandi aree del mondo come Cina ed India non sono state così solerti come in Europa, in quanto applicano questi principi adattandoli, con il sistema del carve out..., secondo le esigenze nazionali...; non va dimenticato che qualche anno fa un ministro delle finanze cinese di fronte al fatto che le società cinesi non producevano utili disse: cambiamo i principi contabili!
Non ci saranno nel medio termine ritorni a barriere doganali e a controlli ed autorizzazioni sui flussi di movimenti di capitali se non per fine di repressione dei reati. Questo dovrebbe far riflettere chi impunemente ed in mala fede propala l'uscita da una moneta unica, mal costruita, ma insostituibile in un contesto di globalizzazione. Resta però il fatto che l'attuale classe politica nazionale è ben al di sotto delle problematiche che quotidianamente ci troviamo ad affrontare. Capisco che ci voglia l'apprendistato ma non può essere a scapito della collettività. I giovani deputati o senatori sanno poco e non hanno spesso una professionalità in un settore specifico, anzi spesso sono professionisti della politica... senza neppure un forte bagaglio culturale. La gente non sa dove andare dopo che chi ha gestito il potere politico ed economico ha convinto generazioni che si poteva vivere con l'effimero; il mondo è terra di conquista per il proprio narcisismo...
Forse bisogna atterrare... e uscire dal virtuale, riprendendo un atteggiamento 'artigianale' che privilegi la durata, la stabilità, la fatica: "lavorare stanca"... scriveva Pavese ma è la vita.
Non ci sono alternative, allo stato, all'economia di mercato ma un mercato senza regole è una giungla, aggiungeva Keynes. La mania di soluzioni politiche illuministiche, cioè pensate come un modello matematico a tavolino, del tipo: 'abbiamo fatto l'Italia ora bisogna fare gli italiani...', sembra che dopo centocinquant'anni non ci si sia ancora riusciti..., ha portato a delle iniziative pasticciate con impatto rilevante. Abbiamo più volte evocato in questo blog la frenesia liberalizzatoria che ha prevalso in tutte le istanze internazionali negli ultimi trent'anni: FMI,OCSE,GATT,UE ecc. che doveva portare ad un sicuro sviluppo dell'economia mondiale abbattendo tutte le barriere ed i protezionismi. Presidenti americani incoscienti tipo Reagan e Bush ma anche Clinton con la diminuzione dei controlli sui mercati mobiliari, la Thatcher, Blair, Sarkozy, Aznar e da noi l'anfitrione delle cene eleganti erano i cantori delle felici, progressive sorti di un liberismo di stampo darwiniano. In economia, poi, guai a non essere monetaristi. L'autoregolamentazione e lo smantellamento dei controlli su mercati di borsa e sugli intermediari, a partire dagli USA, che, dopo la crisi del '29, avevano introdotto, tra l'altro, una separazione tra banche d'affari e banche commerciali con il Glass Steagall Act (ora semi-risuscitato: ma gli stolti che lo avevano smantellato sono tutti vivi e nessuno dice nulla?) per distinguere tra investimento e raccolta dei depositi; la liquidità senza freni e la cartolarizzazione dubbia dei debiti, stile Greenspan, hanno costituito un modello fino al brusco risveglio della crisi finanziaria che alcuni impudenti, come l'allora presidente della FSA-Financial Services Authority inglese, spiegavano come conseguenza di una cattiva allocazione delle risorse del risparmio e non una truffa organizzata, specie per opera dei global players, come si trattava. La liberalizzazione comporta crescita economica ma se mal regolata può creare arbitraggi regolamentari e quindi imbrogli nella concorrenza. Se si estende come si fa nel GATS o in sede OCSE la clausola della nazione più favorita che va oltre al trattamento nazionale riconosciuto a soggetti stranieri provenienti da paesi dove non esistono oneri sociali per le imprese, ove la fiscalità è al limite del dumping, i controlli sono quasi inesistenti si finisce spesso per creare delle disuguaglianze che danneggiano chi opera in un mercato regolamentato ed in una società evoluta, falsando la concorrenza. Peraltro, non si dice mai che alcuni sono più uguali degli altri, per così dire... e che impongono non solo scelte politiche, come sanzioni o presenze militari, ma modelli e regolamentazioni. Se si prendono ad esempio i principi contabili, fondamentali per la redazione dei bilanci, bisogna sapere che l'Europa, la sola Europa, ha adottato alla lettera (carbon copy approach) i principi internazionali, IAS/IFRS, dettati dagli americani (e dalla famiglia anglosassone at large...) anche se gli stessi americani non li applicano, preferendo i loro US GAAP. Avevamo dei bilanci delle società che non riflettevano la situazione reale delle imprese, applicando il costo storico ed il principio di prudenza, portato agli eccessi, e che determinavano riserve occulte a scapito degli azionisti, segnatamente nella distribuzione dei dividendi. Per volere statunitense e nell'assunto di creare un linguaggio comune in sede internazionale, per rendere i bilanci comparabili e quindi consentire di investire su soggetti operanti in una vasta platea di mercati, si è passati al principio del fair value ed ad una serie di regole che si attagliano agevolmente ad un contesto di economia di mercato anglosassone che è diversa da quella europea. Per fare un esempio, chi può dire nell'immobiliare, quale sia il valore di mercato, con pochi margini di oscillazione, di un cespite in Italia rispetto a quello che si ha in un mercato trasparente come quello americano, dove gli acquisti avvengono tramite un sistema ad asta? Se le nostre imprese non avessero adottato questi principi contabili avrebbero dovuto produrre un altro set di conti se interessate a raccogliere fondi sul mercato statunitense. Altre grandi aree del mondo come Cina ed India non sono state così solerti come in Europa, in quanto applicano questi principi adattandoli, con il sistema del carve out..., secondo le esigenze nazionali...; non va dimenticato che qualche anno fa un ministro delle finanze cinese di fronte al fatto che le società cinesi non producevano utili disse: cambiamo i principi contabili!
Non ci saranno nel medio termine ritorni a barriere doganali e a controlli ed autorizzazioni sui flussi di movimenti di capitali se non per fine di repressione dei reati. Questo dovrebbe far riflettere chi impunemente ed in mala fede propala l'uscita da una moneta unica, mal costruita, ma insostituibile in un contesto di globalizzazione. Resta però il fatto che l'attuale classe politica nazionale è ben al di sotto delle problematiche che quotidianamente ci troviamo ad affrontare. Capisco che ci voglia l'apprendistato ma non può essere a scapito della collettività. I giovani deputati o senatori sanno poco e non hanno spesso una professionalità in un settore specifico, anzi spesso sono professionisti della politica... senza neppure un forte bagaglio culturale. La gente non sa dove andare dopo che chi ha gestito il potere politico ed economico ha convinto generazioni che si poteva vivere con l'effimero; il mondo è terra di conquista per il proprio narcisismo...
Forse bisogna atterrare... e uscire dal virtuale, riprendendo un atteggiamento 'artigianale' che privilegi la durata, la stabilità, la fatica: "lavorare stanca"... scriveva Pavese ma è la vita.
Lei si deve candidare per la presidenza degli Stati Uniti!
RispondiEliminaGrazie, grazie ma mi basta Casalpusterlengo...
EliminaPost troppo criptico, per iniziati.
RispondiEliminaMagari se riuscisse a facilitare un po' il discorso.
Lei Biancheri dice che ormai è storicamente dimostrato che non può esistere altro sistema economico se non quello del libero mercato che però dovrebbe essere in qualche modo regolamentato. Io però direi che se lo si regolamenta non è più libero e poi chi avrebbe l'autorità e il potere di imporre, ad esempio alla Cina o all'India o ad altri paesi, di avere le nostre stesse leggi pensionistiche e previdenziali con conseguente innalzamento dei prezzi dei loro prodotti?
RispondiEliminaPer questo gli accordi internazionali di liberalizzazione vanno negoziati da gente capace e consapevole e non da tecnici che si adeguano al liberismo in modo acritico e che seguono le indicazioni di ministri incapaci quando ci sono... Bisogna opporsi al dumping. L'insipienza e la demagogia dei nostri politici, quasi tutti, ahimè, sono acclarate, come si vede dai dibattiti miserrimi sui temi importanti di questi giorni: le posizioni nel migliore dei casi sono amatoriali, nel peggiore ...
EliminaE' vero, il post CHE FARE? è difficile da capire, ma le sue spiegazioni hanno chiarito molto.- C'è però da dire che non è che sia difficile in sé, ma è che alla maggior parte della gente, magari anche istruita, anche laureata, mancano le nozioni di base di economia, perché questa materia, la cui conoscenza è ormai indispensabile, appunto perché sta al fondamento del nostro vivere nella società civile attuale, non si studia nei licei. E allora, intanto che si parla di riforma della scuola (che poi non capisco che riforma sia immettere in ruolo quelli che hanno vinto un concorso bandito da Ministero!) perché non proporre l'Economia in tutte le scuole superiori, magari sfrondando un po' la Filosofia, in cui si studiano molti autori che mi sembrano inutili.
RispondiEliminaConcordo su molte sue considerazioni ma sulla filosofia che è molto male insegnata perché siamo ancora a Gentile, ahimè, ed è storia della filosofia anzi storia della storiografia (!) non taglierei proprio nulla. Un po' di testi di Aristotele forse insegnerebbero a pensare senza correr dietro alle idee correnti; proprio Aristotele scriveva che in un mondo di matti i savi sono reputati matti dagli altri: a leggere le notizie di oggi ci sembra una considerazione particolarmente calzante ...
Elimina