Carlo Biancheri
A seguito della decisione del Tribunale di Roma che, in modo oscuro, ha disapplicato un provvedimento amministrativo, nell’assunto che gli emigranti inviati in Albania non potessero esser rimpatriati nel paese di origine in quanto i rispettivi paesi non sarebbero sicuri in tutte le loro parti, ai sensi della sentenza della Corte di Giustizia n. C406/22, emanata in risposta ad una questione pregiudiziale, sottoposta alla Corte dal Tribunale di Brno nella Repubblica Ceca e riguardante la richiesta d’asilo di un cittadino moldavo, avuto riguardo a quella parte della Moldavia, c.d, Repubblica di Transnistria, riconosciuta soltanto dalla Russia di Putin in ambito internazionale, in quanto occupata da truppe russe, dopo lo sfaldamento dell’Unione sovietica, ci siamo presi la briga di vedere la sentenza in questione.
Si tratta di argomento di urgente attualità in quando adesso il Tribunale di Bologna ha contestato dinanzi alla Corte di giustizia il decreto legge del governo sui paesi sicuri con dei quesiti che forse uno studente di legge che affronti il diritto comunitario al primo anno di giurisprudenza sarebbe reticente a formulare.
Preliminarmente avvertiamo che la sentenza in questione è disponibile soltanto in lingua ceca e in francese: non esiste la versione inglese.
Siamo certi che al Tribunale di Roma conoscano perfettamente la lingua ceca giuridica ed il diritto comunitario … per essersi formati un’opinione.
Conoscendo la piazza dubitiamo fortemente, peraltro, che capiscano il jargon del francese comunitario, oltre a non essere avvezzi a trattare di direttive e di regolamenti abrogati in parte o tuttora vigenti: né ci sono a Roma interpreti che in così breve tempo dalla pubblicazione siano in grado di tradurre correttamente in italiano giuridico una sentenza redatta in francese, peraltro complessa. Dagli anni ’70 in poi in Italia pochissimi conoscono il francese decentemente…
La prima conseguenza è: fischi per fiaschi.
In Egitto e Bangladesh quali sono le parti di territorio cui non si applichi la legislazione di tutela che vige nelle altre parti del Paese, giacché di questo si tratta? Che elementi hanno i giudici per avventurarsi in simili considerazioni? Qualche turista italiano in vacanza li ha informati?
A Bologna invece hanno scoperto l’acqua calda.
I giudici si chiedono: prevale il diritto comunitario o quello nazionale? È inquietante la domanda in quanto formulata da giudici che dovrebbero ben conoscere queste cose perché obbligati ad applicarle. Non staremo a citare tutte le sentenze della Corte di giustizia che affermano che i giudici nazionali debbono disapplicare le norme dello Stato membro quando siano contrastanti esplicitamente con la normativa comunitaria. Inoltre, i Regolamenti comunitari sono direttamente applicabili anche senza necessità di norma di recepimento interno, quando precisi e quando non necessitino di chiarimenti, mentre le direttive, anche se non recepite allorché dispongono obblighi specifici, possono essere direttamente applicate dal giudice, disattendendo le norme nazionali. Altro che emendamento della Lega per sancire la superiorità del diritto interno su quello comunitario; ciò comporterebbe l’uscita dai Trattati europei e in questo contesto internazionale solo degli amici di Putin possono proporre una simile sciocchezza.
Non solo, a Bologna chiedono anche di conoscere quali siano gli Stati sicuri per i richiedenti asilo. Evidentemente anche nella dotta Bologna non si parla ceco ma neppure il francese perché è tutto ben indicato nella sentenza succitata.
La sentenza fa tutta la storia dell’acquis comunitario al riguardo.
Si parte dalla direttiva del 2005/85/CE (poi abrogata dalla direttiva 2013/22) che al paragrafo 1 dà facoltà agli Stati membri di designare i paesi sicuri (…). Ma i giudici di Bologna cosa chiedono?
Si mettano l’animo in pace: vale il principio di sussidiarietà.
Esistono tuttavia dei criteri che sono gli art.29 e 30:
il richiedente asilo deve esser originario del paese in questione, oppure apolide ma con residenza in quel paese e non deve aver fatto valere ragioni personali specifiche che portino a non considerare quel paese come sicuro.
Le condizioni minime per pretendere lo statuto di rifugiati sono contenute in un’altra direttiva 2004/85/CE.
Con direttiva 2011/95/UE vengono indicai gli atti persecutori all’art.9 dove compaiono anche vessazioni a carattere psicologico e sessuale e quindi il quesito sui gay del tribunale di Bologna appare del tutto ultroneo.
C’è di più.
La direttiva 2013/32 all’art.37, scrive la Corte di giustizia, al par.1 indica:
un paese di origine è considerato sicuro allorché sulla base dell’applicazione della legge e del diritto nel quadro di un regime democratico e delle circostanze politiche generali, come definita dall’art.9 della direttiva 2011/95, si può dimostrare che in modo generale ed uniforme non si è mai fatto ricorso alla persecuzione, né alla tortura né a pene e trattamenti inumani e degradanti e che non sussistono minacce a motivo di una violenza cieca, determinata da situazioni di conflitto armato internazionale o interno. Inoltre, nella valutazione del paese si fa rinvio alle decisioni e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura per il rispetto delle libertà fondamentali e se sussistano nel paese in questione sanzioni efficaci per punire eventuali violazioni.
Nel 2024 è stato, peraltro, approvato un Regolamento (2024/1348) che abroga la direttiva 2013/32 che consente agli Stati membri di considerare uno Stato sicuro anche se una delle sue parti non lo sia: quindi un allentamento della norma…
Detto Regolamento tuttavia entrerà in vigore il 12 giugno 2026,ne consegue che attualmente la normativa applicabile è ancora quella precedente.
Come appare a nostro debol parere, la quasi totalità dei quesiti dei giudici è contenuta nella famosa sentenza in questione che dubitiamo sia stata letta e compresa.
Ma questo è gravissimo per il Paese.
...
Nessun commento:
Posta un commento